......il viaggio continua.....
17 febbraio,navigazione
Partiamo da Valparaiso alle 12, per problemi tecnici siamostati in porto più del previsto, ma stamattina non ci è stato possibile uscireperché non si conosceva l’orario di partenza. Ci accompagnano meduse giganti,bianche e acquose. Oggi è martedì grasso e in Laboratorio produciamo maschere.A cena ho sfoggiato il mio bell’abito indiano arancione e verde.
Il mare è molto forte e il vento sembra squassare la nave:in cabina ne soffia così tanto che siamo costretti a chiamare il guest service.Arrivano due operai, controllano, confermano e…incerottano la porta con nastroisolante. Sa di capanna, ma il nastro è color argento!Fioccano i soprannomi: sfilano davanti a noi, quandoceniamo, la “Santanchè” (somiglianza comportamentale con la nota politica dipura fede berlusconiana), gli Adams – coppia abbastanza giovane un po’ dark,Bud Spencer (che a quanto dicono ha già sfondato due poltrone!), “Solo io cel’ho” (serve una spiegazione?), il Pugile, i Quattro Corvi dell’Apocalisse(parrucchino, la solitaria, berretto in testa, anonimo), la “vietnamita”(snella signora che veste all’orientale e balla bene), il “Bell’Antonio” (uomobrutto e nemmeno simpatico), il Camallo, Viviana, P.S. ( che non vuol dire postscriptum, ma mi ricorda una conoscente italiana che ha queste iniziali e che,come lei, è invadente sciatta forse unta…), i Felicissimi, la Tordella 1 e laTordella 2 (per chi ricorda il Corrieredei Piccoli…).Condividiamo le nostre scelte con i musicisti del ponte 3,con i “Guerini” (Pia e Guerino), i “Gaudiosi”, gli “Zoran” (Rosanna e Zoran), i“Maurizi” (Maurizio ed Elisa).
18 febbraio,navigazioneLaboratorio: magnete in ceramica. Dipingo le case coloratedi Valparaiso che non abbiamo visto (questa volta).Alle 17 andiamo a Messa e per la prima volta nella mia vitaassisto all’imposizione della cenere.Mare molto forte.
19 febbraio,navigazione Mare ancora moltoforte, anche i nostri “confinanti” devono far incerottare la porta diinterconnessione della cabina.Laboratorio: diario di viaggio. Lo terrò per me, visto cheil primo l’ho regalato a Rosanna. Chi pensa che durante la navigazione ci si annoi, sbaglia:io leggo, scrivo, prendo il sole se c’è, intreccio conversazioni con personeche mi piacciono, ascolto buona musica classica (da quando è salito un nuovotrio lo faccio con costanza), di sera andiamo a teatro e – dopo cena – aballare (è una parola grossa! Ci muoviamo in coppia sulla pista), ecc. Ho anche conservato in una valigia scarpe e vestiti pesanti,perché ormai siamo proiettati verso il caldo.Le ragazze del Tour Office in teatro parlano dei prossimiscali, delle cose da vedere, di clima moneta tradizioni cucina e – qualchevolta – accennano alla storia.Si sta anche organizzando un Coro Deliziosa (ma saràdelizioso l’ascolto?) e io sono stata selezionata come contralto.Incredibile!!! Tutti mi hanno sempre detto che sono stonata, quando canticchiomarito e figli mi ripetono gentilmente:<<Spegni la radio!>> ed orasono in un Coro.
20 febbraio,navigazioneOggi sole e mare finalmente caldo. Siamo o no nel Pacifico?Dunque mare “pacifico” di nome e di fatto.
21 febbraio, RapaNui / Isola di PasquaSbarchiamo in lancia ad Hanga Roa, saliamo su minibus conaccompagnatore locale – Jorge – e partiamo alla scoperta dei Moai. Ce ne sono 887sull’isola abitata da poco più di 5000 persone, patrimonio dell’Unesco dal1996. Ne vediamo subito uno non lontano dal porticciolo. Ma l’emozione èpalpabile quando ci fermiamo sul bordo di una vallata e vediamo il moai con gliocchi e l’acconciatura. Poco distante, altra piattaforma (ahu in lingua locale) e 15 giganti senza occhi, imponenti solennisilenziosi giganteschi custodi di… ma cosa dovevano proteggere? Nellepiattaforme (sono nel complesso 270 sparse sul territorio dell’isola) che lisorreggono forse c’erano sepolture di uomini illustri che vivevano lungo lacosta; nell’interno invece abitavano i poveri. L’80% dei moai è stato ricavatodalla caldera del vulcano Ranu Ranaku: noi ci andiamo arrampicandoci lungo lacollina, accompagnati da moai di varie dimensioni, finché arriviamoall’imboccatura della cava, dove scorgiamo il moai non-finito, volto abbozzatoe corpo saldamente ancorato alla pietra. Come un nonfinito michelangiolesco. Forsenon è stato scolpito per intero perché gli abitanti sono fuggiti (per andaredove? erano in pericolo? chi li minacciava?). Scendendo verso la pianuravediamo ancora la piattaforma dei 15, lontani e soli. Incontriamo un moaiparticolare, forse è inginocchiato: prega? si nasconde? Jorge ci dice che nonsi sa se sia il primo o l’ultimo… Aggiunge che i moai potrebbero essereespressione di culti religiosi, di luoghi di cerimonie, di allineamentiastronomici, di potere politico. Potrebbero essere semplicemente dei monumentinei cimiteri. In realtà davanti alle piattaforme ci sono pietre in fila.L’unica cosa certa è che gli abitanti cominciarono a scolpire i moai nel 600d.C. e si estinsero nel 1630, forse vinti in guerre tribali o vittime di fame esete. Si dice che per far arrivare i moai vicino al mare li facessero scivolaresu tronchi, quindi dalla distruzione della flora deriverebbero anche quelladella fauna e della popolazione stessa. I 1000 anni di storia sarebberorappresentati dai 15 moai, dunque la piattaforma sarebbe cresciuta secolo doposecolo.Dopo un pranzetto nella trattoria “Tia Berta” a base diempanadas di tonno e formaggio, io e Piero camminiamo lungo la strada che portaal molo, intorno alla quale vediamopochi negozi e qualche bar. La vita è semplice, i turisti vengono qui per amoredell’archeologia o della natura, quindi niente vip da strapazzo. Trascorriamoun po’ di tempo in un bar per connetterci e recuperare il rapporto con ilmondo, vado in bagno uscendo dalla porta posteriore del locale e vedo unportico, fiori bellissimi, piccole curatissime case che creano una specie diquadrato verde al loro interno. Fotografo un ibiscus gigantesco. Il w.c. èpulito, pareti dipinte a colori vivaci: pesci coralli fiori.Lungo il mare ci sono piscine naturali dove sguazzano ibambini con le loro tavole. I moai sono lontani, eppure presenti con le lorosuggestioni.A bordo gli animatori hanno organizzato la notte bianca eanche noi due ci vestiamo di bianco: a bordo piscina di poppa ci sono addobbibianchi, palloncini, musica.Il ricordo un po’ malinconico dei moai mi fa compagnia.
22 febbraio, navigazione
Oggi è il compleanno di Ambra, chissàse come e con chi festeggia i suoi 63 anni!
Laboratorio: si usa la gomma Eva, una specie di foglio ametà strada fra la carta e la plastica. Si taglia, si arrotola, si annoda,insomma si fa quel che si vuole. Io, sempre pensando al Soroptimist, che è la miaassociazione, faccio anelli blu con fiore giallo o viceversa (a chi lidarò?). In serata, a teatro, acrobati bravi.
23 febbraio,navigazioneLaboratorio: braccialetto con filo gommato e perline dilegno. Viene fuori un monile molto etnico e “primitivo”.In teatro, si esibisce tale Sinagoga, che ha partecipato almusical “Notre Dame” di Cocciante. Voce potente.
24 febbraio,navigazioneLaboratorio: tshirt per Piero, dipingo due moai sullapiattaforma utilizzando varie tonalità di grigio. Bella.Intanto ci avviciniamo all’isoletta di Pitcairn, la circumnavighiamo,vediamo la baia di Bounty. Questo è lo scoglio che ha ospitato alcuni deifamosi ammutinati che da Tahiti lì hanno importato provviste e donne (cosìriportano alcuni scritti, prima le provviste – sicuramente più importanti – epoi le donne, le belle e dolci tahitiane con le quali i non ancora ammutinatiavevano intrecciato relazioni sentimentali durante i cinque mesi di sostaforzata a Tahiti). In realtà questa Pitcairn era già conosciuta e segnalatasulle mappe, ma in modo sbagliato. Gli ammutinati quindi potevano staretranquilli, la flotta britannica non li avrebbe scovati. Era il 1789. Sembravail luogo ideale, ma gli uomini, come è noto, non cambiano, quindi cominciaronoa litigare, tanto da essere contestati dalle loro donne e dai numerosi figliche nel frattempo avevano generato.In pratica, di ex ammutinati morti per cause naturali se necontano solo tre. L’ultimo a morire, tale Adams, ottenne persino il perdonoreale.Come fanno a vivere in 65 sull’isola? È uno scoglio o poco più, vegetazione ricca,coste alte e rocciose, un piccolo approdo. Forse la regina Elisabetta qualchevolta manda i suoi emissari con doni e/o invita questi poveretti in gita aLondra!Bene, che ci siano o no ancora discendenti degli ammutinati,non si sa. La cosa certa è che i pochi abitanti quando sanno che passa unagrande nave si preparano…una delegazione di circa quaranta persone, compreso unimprobabile “ammutinato” è salita a bordo e ha organizzato un mercatino diartigianato sul quale come assatanate si sono lanciate le crocieriste,incuriosite dall’ammutinato e dai suoi colleghi, ma anche dai prodottiacquistabili con euro, dollari e carta di credito.Non mi sono sottratta a questa opportunità, ho visto unaimpressionante quantità di francobolli (ma noi non siamo collezionisti),tshirts e polo, oggetti belli di legno. Ho comprato dei magneti di legno suiquali è incollato un francobollo con veliero, due cucchiai di legno e duetshirts con vascello, una verde per me, l’altra viola per Piero.Prezzi ovvi.
25 febbraio,navigazionePiove, laboratorio: origami.Di pomeriggio dormo sul mio terrazzino, visto che di notte,a letto, dormo poco. Respiro aria di mare e di libertà.Prove del Coro. Canto. Ne sono straordinariamenteorgogliosa! E soddisfatta.
26 febbraio,navigazioneNiente laboratorio, leggo con passione la storia di unpittore che dalla Lorena, nel 1600, venne a imparare l’arte in Italia, prima aRoma e poi a Napoli. E’ un personaggio affascinante, inquietante. Influenzatodal clima controriformistico, ma sicuramente afflitto dall’aegritudo diagostiniana memoria, dal male di vivere insomma.In teatro, musica classica. Bene.Dopo cena, al bar Excite, festa tedesca con musica e birra.Pochi tedeschi, solo una signora in costume tipico, ma è napoletana.Continuiamo ogni sera a mettere l’orologio indietro diun’ora. Sembra nulla, ma ci stanca. Al mattino ci svegliamo prestissimo,stamattina poco dopo le sei.Ci avviciniamo alla metà del giro e, se faccio un primo eprovvisorio bilancio, devo dire che sono felice: vivo su una nave, ma ho tuttigli spazi e l’indipendenza che amo. Posso leggere studiare scrivere cucireriposare in terrazza, mentre la nave va placidamente sul mare calmo e azzurro.Vedo tanta gente, conosco molte persone carine, gironzolo sui ponti, guardofoto e merci da (eventualmente) comprare, sto un po’ sul bordo della piscina,se ne ho voglia vado alle conferenze di un prof che illustra (o dovrebbeillustrare) le prossime tappe. Direi che l’unico elemento negativo è il cibo,non per la prima colazione – che facciamo al buffet, dove c’è ampia scelta,dopo aver bevuto il caffè in cabina – ma per pranzo e cena. Ho fotografatoalcuni menu per non dimenticare…una sera ci propinano gamberi per antipasto, alsugo per gli spaghetti e allo spiedo per secondo, un’altra volta baccalà ozucchine o melanzane, sempre come ingredienti di piatti diversi e moltoelaborati in una stessa sera. Tutto appesantito da infinite salsette…forse pertenere contenti i francesi che qui sono la maggioranza. Noi abbiamo deciso diordinare dal menu il pesce “senza…”, la carne “senza…” in modo da arrivare afine viaggio con lo stomaco a posto e senza aver preso troppi kg.
27 febbraio,PapeeteDalle 6 del mattinomi metto in vedetta. L’ingresso del porto è bello, c’è tanto verde, la cittàconta quasi 200.000 abitanti. Questa isola ha una penisola, Tahiti. Il solonome evoca Gauguin e le sue donne con fiori nei capelli. Scendiamo alle 9,accolti con danze canti e fiori da un gruppo allegro e colorato. Il fiore checi offrono è il tiare, sembra unmughetto più grande dei nostri, è bianco e profumatissimo. Troviamo subito ilMercato comunale, una costruzione luminosa e moderna dove sono esposti a pianoterra generi alimentari e souvenirs di paglia, al primo piano tessuti, perle eoggetti vari. La perla nera o grigia con venature argentee o verdastre ecc. èla regina.Escursione nel pomeriggio: costa orientale, piccole spiagge,mare aperto molto mosso. Vediamo l’approdo dei primi navigatori, la spiaggettadei soffioni, senza sabbia, coperta da coralli e madrepore, luoghi panoramici,chioschetti dove le donne vendono banane mignons. La guida ci dice che ipolinesiani amano il passato, rispettano gli anziani, vivono serenamente. Sannonon pensare, è questo forse che ha incantato Gauguin?Nel pomeriggio usciamo da soli, entriamo nella piccola esemplice cattedrale di Notre Dame impreziosita da una Via Crucis naive e da unostensorio di legno. Efficaci.Il mio problema, in ogni luogo, è trovare una buonaconnessione per poter mandare le mie recensioni al giornale. Oggi non va.Dopo cena, nuova passeggiata: non c’è una movida in sensoitaliano o europeo. E’ venerdì, a pochi metri dalla nave ci sono le“Roulottes”, camioncini attrezzati che diventano ristoranti: in un momento dalcassone escono tavoli sedie tovaglie di plastica fornelli stoviglie. L’aspettoigienico mi sembra trascurato, ma la gente che mangia, le famigliole con ibambini sono allegre e in salute. Cerchiamo qualche bar, qualche posto dagiovani, non per noi ovviamente, ma per vedere e capire: un bar schieraall’ingresso due pirati di catapesta, ci sono ragazzi e musica live; un altromi sembra dedicato alle coppie omosessuali. In diretta assisto ad unappassionato abbraccio lesbico. Piove a scrosci brevi ma violenti. Vorremmoripararci da qualche parte, mi affaccio nel bar (il secondo) ma l’invitopressante di una ragazza a sedermi accanto a lei non mi convince. Preferiamo iportici, finché non smette di piovere. Donne che sembrano vecchie intreccianoprofumate corone di fiori freschi da vendere. Ma io non ne compro perché nonsono tahitiana e soprattutto…perché non c’è Gauguin!
28 febbraio,PapeeteQuando leggemmo l’itinerario, ci chiedemmo che necessità cifosse di stare due giorni a Papeete. Ora lo sappiamo, e se invece di due igiorni fossero stati tre o quattro, ne saremmo stati ancora più felici.Usciamo presto, liberi da vincoli ed escursioni organizzate.Devo far sistemare il pc che non risponde agli stimoli. Troviamo un negozio conassistenza Apple e ci fiondiamo. Un ragazzo gentilissimo mi dice che è unproblema di data e di orario, a Roma sono le 20, ma qui stanno scoccando le 11,il pc si disorienta, bisogna metterlo a posto. Dopo venti minuti, il mio pctorna gloriosamente fra le braccia del giovanotto che mi sorride e mi dice cheper lui è stato un piacere, non vuole che io paghi. Lo avrei abbracciatoall’istante, non perché mi faceva risparmiare ma perché mi restituiva il mioamato pc sano salvo e guarito! Dunque, problemarisolto e passeggiata serena, altre sorprese ci attendono. Il Parco Bouganvilleè un piccolo giardino pieno di fiori e piante in centro, dietro l’ufficiopostale (ormai mi sento una papeetese!). Ci sono, sul limite che affaccia versoil mare, delle bancarelle con parei perle magneti e monoi. Ma ci sono ancheuomini colorati che suonano e cantano, accompagnando una fanciulla (di Gauguin?) che danza dolcemente, avvolgendo intorno al corpo i suoi parei. Ci sediamo esubito arriva una persona che ci offre degli spicchi di frutta. Non sappiamo sesia uomo o donna. E’ vestita truccata e pettinata da donna, ma ha i lineamentimaschili, la voce baritonale, la barba (rasata ma visibile). Ci ricordiamoquello che ci ha raccontato la guida Gerald: in famiglia il terzo figlio, semaschio, deve essere educato come una femmina perché dovrà curarsi deigenitori. Lo vestono lo educano lo abituano gli parlano come a una bambina. Inqualche modo, sono i genitori a indicargli (indicarle) la strada. Alcuni poi sisposano, hanno figli, ma quella preparazione alla vita nel sesso diverso licondiziona per sempre. Gerald ha detto che sono tanti, che non dobbiamogiudicarli o condannarli…sono il frutto di una tradizione antica.Che lunga digressione, torno alla danzatrice che noiguardiamo rapiti.Come tutte le donne, ha un fiore fra i capelli. Dicono chese è messo a destra, vuol dire che la ragazza è libera, se è a sinistra, che èimpegnata. E se i fiori sono due? Forse la donna vuol far sapere che èimpegnata, ma potrebbe liberarsi. Finita la danza, misi avvicina e mi chiede di danzare con lei. Le dico di no in modo deciso, malei insiste, insiste molto e non sono capace di resistere. Mi sembrerebbe dioffenderla. Vado con lei al centro della piazza, mi mette sui fianchi un pareoe mi invita a seguire i suoi movimenti, un leggero ancheggiare, un movimentomorbido delle braccia e delle mani, un girare ora a destra ora a sinistra orasu me stessa. Piero fotografa. Io sono felice, anche se so che non sono giovanee magra come lei, né so ballare come lei.Nel pomeriggio, nuova passeggiata, dopo l’acquisto di unacamicia per Piero: non è la tahitiana blu a fiori gialli o rossi, ma unaraffinata chemise (qui parliamo in francese da mattino a sera!) bianca condisegni geometrici grigi sul lato destro. Ottimo il cotone, liscio e leggerocome seta. La proprietaria dell’elegante boutique mi ha venduto anche alcunedeliziose donnine polinesiane magnetiche di legno, fatte palesemente a mano. Miha fatto notare che alcune avevano il reggiseno a triangolo, altre due noci dicocco, le coconettes. Naturalmente hoscelto queste ultime e la signora gentilmente, pur in presenza di altriclienti, le ha cercate in un mucchio, indicandomi anche i colori dei costumi.Insomma, mi ha dedicato un bel po’ di tempo per oggettini che costano meno diun euro!Altro parco, lato mare, già visto dalla nave. Aiuole,fontane, ninfee, prati verdi, canoe sovrapposte sulla spiaggia. Sotto ampipadiglioni ricoperti di foglie di un albero tipo palma ci sono persone cheleggono, una festa di bambini con palloncini e senza schiamazzi, amici cheparlano pacatamente. C’è gente che si riposa o legge sul prato. Tutto èsilenzio e serenità. Ci sono anche tanti “monumenti”, semplici maestose pietreche ricordano la conquista dell’autonomia, gli esperimenti nucleari (e le vittime),i governanti saggi.Di sera, a bordo, splendido spettacolo folk.
1 marzo, MooreaQui arrivò capitan Cook nel 1867, nella baia di Opinoho doveè ancorata la nave. Questo è un luogo magico: la natura è rigogliosa, selvaggiae incontaminata, ma non aggressiva. Solo prepotente. Ci sono picchi molto alti(2000 metri) e vallate verdi che si tingono di blu quando toccano il mare. Icolori sono quelli delle cartoline che ho spedito (solo due!), i fiori sonodovunque, le casette hanno giardini curati e ridenti. Vediamo i misteriosi marae, templi o altari di pietre. Si sapoco della loro storia. A me viene spontaneo pensare che i romani gli altari lichiamavano arae, ma non oso farealcun collegamento.Nel pomeriggio, con una coppia appena conosciuta, ce neandiamo alla spiaggia dell’Hotel Hybiscus, non si può venire in Polinesia senzafare un bagno! La spiaggia è libera, l’albergo è pronto ad offrirla, ma nondispone di sedie lettini ombrelloni. A noi va bene così, siamo dentro il sogno.E dentro le cartoline, con palme e sabbia dorata. L’acqua è calda, io nonuscirei più. La nuova amica non haindossato o portato il costume, questa gita in spiaggia non era prevista. Sitoglie la tshirt, rimane in reggiseno e pantaloncini e fa il bagno lo stesso. Ciaccampiamo presso una scaletta, dove c’è un po’ d’ombra e dove Piero puòsedersi tranquillamente. Il mare è sempre più blu…come dice una vecchiacanzoncina. Anche qui, andando via, ispeziono il w.c. per togliermi il costumebagnato: la receptionist mi accompagna in una stanzetta e mi indica il bagnoulizia, profumo di fiori e petali sul lavandino.Sono emozionata, mi sembra di non aver visto mai un postocosì assolutamente bello e di non aver mai vissuto un pomeriggio così dolce.
2 marzo, Bora BoraL’escursione è alle 11.15 e siccome siamo in rada non èpossibile scendere prima dalla nave. Mi sento ostaggio.Saliamo sul truck, un camion addobbato con fiori e foglie efacciamo il giro dell’isola, che è più grande di Moorea, più turistica, conalberghi per vip direttamente sul mare, nel senso che i bungalows sono poggiatisu palafitte. Qualcuno ha il pavimento trasparente per vedere i pesci. Non miattira dormire sull’acqua. Anche qui, colori da cartolina. Visitiamo una“fabbrica” di parei e una ragazza ci offre frutta e acqua, oltre a spiegarci latecnica dei colori e dei disegni. Ne compro uno, non so più se è il sesto o ilsettimo…ma dall’Italia fioccano le richieste! Prima che finisca ilgiro ufficiale, ho il tempo di ferirmi al braccio destro sfregandolo con forzasul finestrino del truck. Il ragazzo Costa mi disinfetta, ma il bagno cheandiamo a fare su una bella spiaggia è limitato: sembro una rotonda comunistache si immerge con braccio levato e pugno chiuso! Il mare è molto calmo, menocaldo di ieri, popolato da tanti pesci, anche abbastanza grandi.Dopo, giro nei negozietti del molo e nuovi acquisti: monoi,saponi al tiare, un bel tessuto bianco con disegni geometrici neri. Ne farò untubino.Anche qui, donne-uomo o uomini-donna e semprel’interrogativo: sono condizionati dalla famiglia e dalla tradizione? Sonobisessuali?In genere, queste isole da favola mi hanno fatto pensare aifrancesi che le hanno colonizzate: sono stati bravi, queste popolazioni sonotranquille e serene, sembrano ospitali e solidali, vivono in luoghi curati erispettano i vecchi, i bambini e l’ambiente. A proposito, siccome la sepolturadei morti in cimitero è costosa, molti seppelliscono i loro cari in giardino.Abbiamo visto parecchi esempi.Altra cosa sono i grossi cani che circolano in libertà efanno un po’ paura e i granchi robusti che scavano in terra le loro tane, dacui escono velocissimi per catturare fiori freschi (non per abbellire le tanema per mangiarli). Dal truck abbiamo gettato fiori e fogli e subito sono emersidal buio e hanno trascinato dentro il profumato bottino.3 marzo,navigazioneLettura, laboratorio (di mattina un portacellulare oportaocchiali in feltro, nel pomeriggio una specie di targa da appendere allaporta, es. non disturbare! – ma io ho pensato alla nostra barca che ci aspettaa Maratea, perciò sulla base verde ho applicato un veliero, onde, pesci e l’hochiamato Goduria), un po’ di sole.Tutto ok.
4 marzo,navigazioneOggi siamo alla metà del viaggio. Mi piacerebbe tornare al 6gennaio, rivedere il Brasile, camminare per il Pelourinho a Salvador de Bahia,ritrovare i parenti a Montevideo, andare alla Milonga di Buenos Aires nelpomeriggio e restare lì tutta la sera a guardare i portenos ballare consentimento…E poi me ne starei a Moorea, incantata a contemplare marecielo spiagge e palme. Ma è il 4 marzo e non si torna indietro. Oggi è sanLucio e la Betty festeggia il compleanno, penso con affetto a tutti e due.Lucio è mio fratello e vorrei vederlo sereno, dopo tante sventure. Betty èun’amica sensibile e intelligente, anche a lei auguro tanta serenità.Ho finito di leggere Piangipure, romanzo di Lidia Ravera: ne è passato di tempo da “Porci con le ali”che scandalizzò tanti benpensanti! La Ravera è ormai adulta e racconta lastoria di una donna anziana che vive alla soglia degli 80 anni un nuovo amore.Dolcezza, ironia, ricordi…Ho trovato questo libro in biblioteca, è dedicato aduna certa Silvia, autografato dall’autrice. Sicuramente la destinataria delladedica non lo ha apprezzato, altrimenti non lo avrebbe abbandonato qui. Io nonriesco a lasciare neanche un dépliant, ho un rapporto d’amore con la cartastampata che mi impedisce il distacco.
Salto di data. Niente 5, direttamente 6 marzo.Mi dispiace perdere un giorno di vita e di crociera. Siamosul 180° meridiano, dove corre la linea internazionale del cambio di data.
7 marzo, regno diTonga Siamo a Nuku’Alofa,la capitale di questo regno sperduto nel Pacifico. Scendiamo dalla nave e ciaccolgono con canti e danze, c’è anche una banda formata da ragazze in divisa.A tutti una collana di piccoli fiori arancioni al collo. Carina, ma punge. Mela metto in testa come una coroncina. Il nome di questa capitale che conta menodi duemila abitanti (1000 adulti e 700 bambini) vuol dire “Patria dell’amore”.Io e Piero andiamo verso il centro, troviamo un mercatino per turisti e poi unmercato vero, con frutta verdura e oggetti di paglia che servono ai tongani perla vita quotidiana. Le donne indossano un gonnellino di foglie intrecciate astriscioline: è il segno del rispetto che ci portano, il gonnellino si usanelle occasioni importanti. Gli uomini usano una gonna nera tipo pareo sullaquale avvolgono una stuoia. Prima di fotografare un bambino che è con la mammaal mercato, chiedo il permesso. La mamma, felice, chiama anche gli altri trefiglioletti, se li stringe e sorride: fotografo il bel gruppo famigliare.L’escursione si fa in scuolabus, un po’ rannicchiati. La guida è una ragazza di26 anni, si chiama Eunice Pongipongi, racconta di aver studiato in NuovaZelanda e di vivere ora con marito e figlio. Conosciamo il bimbetto perché unasosta si effettua nel luogo dello sbarco di Cook, dove c’è un banchetto consouvenirs: la madre di Eunice è la venditrice, il piccolo Joe si attacca allegambe della mamma. Nel corso dell’escursione vediamo qualche palazzo reale,anche quello dove abita la regina madre, la Chiesa cattolica di Sant’Antonio,le tombe reali e alcuni cimiteri. Qui al cimitero sono sepolti i poveri, iricchi hanno nei loro giardini più degna sepoltura. I tumuli di terra sonoaddobbati con fiori e teli colorati, più o meno preziosi. Uno è abbellito conun copriletto damascato bianco. Eunice ci dice che quando muore qualcuno, iparenti meno vicini provvedono al pranzodei parenti stretti. Se non c’è il tempo, ci si rivolge ad un’impresa dicatering che pensa a tutto e che mette a disposizione anche ampi spazi.Le case sono di proprietà di chi le abita, i tetti sonocoperti di foglie dell’albero del pane. I giardini sono curatissimi. Il reregna, con un parlamento formato (ci avrei scommesso!) da soli uomini. Le donneballano con il corpo unto di olio di cocco. Se si tratta di ragazze, si attendeche l’olio goccioli insieme al sudore: sarebbe la prova della verginità dellaballerina. Io ho l’impressione che in questo regno gli unici a non avereproblemi siano i reali e i loro adepti. Intorno mi sembra di vedere unadignitosa povertà, per nascondere la quale uomini e donne ostentano dentid’oro, anche da giovani.L’isola è piatta, niente colline e piccole valli verdi comein Polinesia. Però c’è un trilite,una porta in pietra costituita da tre massi. Forse è uno strumento per misurareil tempo o i solstizi, evoca Stonehege. E’ del 1200 circa.Dopo essere stata a Papeete, Moorea e Bora Bora, questa impronunciabilecapitale mi lascia piuttosto indifferente.
8 marzo,navigazioneFesta della donna, in laboratorio produciamo fiori di cartache gli animatori offriranno alle signore durante la festa al ponte 9, intornoalla piscina. A cena, porto tre rose, due rosse per le mie vicine di tavolo,una gialla per Nita, la giovane e graziosa cameriera peruviana. Gradite.A teatro, i Maori si esibiscono in tutto il loro potentesplendore: disegni neri sul viso, grandi tatuaggi sulle gambe, lingue fuori eocchi sbarrati per incutere terrore. Le ragazze hanno il mento decorato consegni neri, sembrano barbute. Il loro canto è dolce, i loro movimenti sonotrascinanti. A fine spettacolo, corsa sul palcoscenico per foto ricordo.9 marzo,navigazioneLaboratorio, maschera Maori. Non poteva mancare. Alla miaapplico anche una lunghissima lingua.Dopo cena, i Maori ballano nel gran bar centrale; voglionocoinvolgere qualche donna per inserirla in un gruppo, mi faccio coinvolgeremolto volentieri, gioco con loro, faccio tremolare le mani – come loro – efaccio ruotare le “palle” bianche e morbide che mi hanno consegnato. Mi divertomolto.10 marzo, AucklandSiamo in Nuova Zelanda, terra di pecore e lana, di giocatoridi rugby, di coni vulcanici spenti, su cui sorge la città che è tutto un saliree uno scendere. La guida che ci accompagna si chiama Nadia, è milanese e da 8anni vive qui. Racconta molto bene gli elementi che differenziano questo Paesedall’Italia, fa notare il sentimento forte di democrazia ed il rispetto attentodelle regole – da parte di tutti. Ci sono bei quartieri con costruzionivittoriane, visitiamo un datato giardino d’inverno e dall’esterno ammiriamo ilgrande Museo che rappresenta tutta la loro storia, dai colonizzatori Maori aquelli inglesi, fino alla prima guerra mondiale. La città è molto estesa, labaia assai ampia percorsa da frequentissimi ferry. La gente preferisce viverelontano dal centro, in case singole, più o meno grandi, con giardino. Grandi eben tenuti sono i parchi, con vegetazione rigogliosa. I campi da cricket siaffittano gratis. Dove c’era acqua, ora ci sono mangrovie, piuttosto invasive.Piccolo quartiere elegante e raffinato è Davenport, con belle case, spiaggia egiardini. La strada principale è la Victoria Street, su cui si affaccia unabella biblioteca dalle grandi vetrate e dal tetto in legno. Il centro diAuckland è attraversato dalla Queen Street, che noi percorriamo varie volte: cisono negozi di lusso (Prada Dior Vuitton Gucci) ed empori cinesi; da una vialaterale, in salita, si arriva alla Sky Tower, solito gigante in cemento eacciaio, alta 328 metri. Naturalmente ci andiamo, ammiriamo il panoramamare-terra-cielo da tutti i punti e livelli possibili ed assistiamo anche al lancio di uno jumper che,percorsa una breve passerella, debitamente attrezzato, si lancia nel vuoto. Chebello essere giovani e che peccato essere stati giovani quando queste emozioniforti non si potevano provare!
11 marzo, AucklandOre 7.30, pedicure. Ore 9.00, discesa a terra e, di nuovo,Queen Street. Mi piacerebbe girare in un supermercato per vedere cosa compra lagente del posto. Vorrei anche comprare le bustine per fare la bevanda al lime,le ho viste a Tonga, ma siccome erano made in New Zeland non le ho comprate. Eho fatto male, perché qui non le trovo. Ci sono prodotti di multinazionali,Garnier Oreal Nivea Ferrero Lindt. I prezzi di tutto mi sembrano molto alti,non compro nulla.All’interno del porto, mi fermo per scegliere magneti ealtre sciocchezze.Alle 13.00 si parte. Ciao, Auckland, città di mare e vele!
12 marzo,navigazioneLaboratorio: portacellulare in tessuto con felci neozelandesi.Come sempre, ci troviamo a pranzo con i Gaudiosi, parliamodi tante cose, riflettiamo, ci divertiamo insieme. Siamo accomunati, peresempio, dalle iniziali dei nostri nomi, P e L. La mamma di P si chiamava comela mamma del mio P.P il gaudioso sfodera qualche soprannome: la vedova franceseche qualche volta si è unita a noi quattro a pranzo diventa la Veuve Cliquot!La navigazione procede, non siamo assolutamente né stanchiné annoiati. Solchiamo il mare di Tasman dirigendoci verso l’Australia. Quandoandai in Olanda – il mio primo mitico viaggio senza genitori e altri parenti –facemmo amicizia in treno con una coppia di olandesi che ci invitarono una seraa casa loro, dopo cena. La conversazione languiva; eravamo cinque ragazze e ununico povero maschio (costretto a combattere con i nostri bagagli, i nostritempi, la nostra voglia di shopping!), tutti universitari con conoscenzascolastica del francese. I due tulipani parlavano con noi in inglese, noirispondevamo a monosillabi imbarazzati e imbarazzanti. Ogni tanto veniva fuoriuna frase, tipo: “Hans somiglia ad AbelTasman!” e noi sorridevamo compiaciuti.Torniamo alla nostra Deliziosa nave: nel menu sono statiaggiunti piatti della tradizione italiana. Mangiamo un po’ meglio. Il maitreGiovanni, alto caprese purosangue, si occupa di noi con garbo eprofessionalità. Altri due maitres, Fernando e “Pirandello” (un ragazzo diAgrigento) ci sorridono e cercano di accontentarci quando chiediamo, moltoraramente, qualcosa che non troviamo, ad esempio un cacao amaro per la primacolazione. A cena si sprecano le gags tra Piero mio e Pietro, il nostrocameriere filippino, bravo e permaloso (basta un nostro sguardo a farloirrigidire!).L’atmosfera è piacevole nel complesso. Stasera “Festaitaliana”, ci vestiamo con i colori della nostra bandiera, cantiamo in coro“Volare” e, come da tradizione, balliamo con i camerieri.Ho finito di leggere “Hosognato la cioccolata per anni” di Trudi Birger. Il titolo mi ha ingannato,non ci sono ricette o ricordi di infanzia, ma lager, olocausto, fornicrematori.E l’ odio irriducibile dell’autrice ebrea nei confronti deitedeschi.E’ una storia che fa riflettere, dovrebbero leggerla irevisionisti.
13 marzo,navigazioneNiente Laboratorio, si cuce e non ne ho voglia.Piccolo bucato steso al sole, lettura, sole e bagno inpiscina con idromassaggio.Mi lacrima l’occhio destro.Cena di gala per salutare gli ospiti che scenderanno aSydney.Menu pessimo.Dopo cena salutiamo Fausto e Sonja, ci rivedremo ancora incrociera? O andremo a trovarli in Svizzera? O verranno loro da noi? Questa èstata la terza crociera in cui ci siamo ritrovati.Discussione molto vivace con il mio vicino di tavola che,dopo aver per un mese mandato indietro tutti i piatti perché non di suo gusto,ora che io mi sono lamentata delle scelte “monografiche” dello chef mi harisposto molto male, con la solita arroganza.A bordo abbiamo capito che gode di alcuni privilegi perché èamico di qualche papavero.
14 marzo, SydneyLa nave purtroppo si ferma in rada. E’ un bel fastidioessere collegati alla terraferma con le scialuppe: file all’imbarco e allosbarco, perdita di tempo, mancanza di libertà (scendo quando voglio? No).Dopo pranzo usciamo: sbarchiamo dietro l’Opera, quelmeraviglioso insieme di gusci bianchi opalescenti che sembrano conchiglie ovele, ce ne andiamo in centro, percorriamo come due vecchi residenti GeorgeStreet e ritroviamo prima le Arcades e poi lo spettacolare Vittoria Building:entrambe sono strutture vittoriane restaurate splendidamente e diventateraffinati centri commerciali. Ci sono bar e cioccolaterie, negozi diabbigliamento e antiquariato, di giocattoli e accessori, wi fi free. Perciò cifermiamo a lungo per comunicare con il nostro mondo degli affetti e delleamicizie. Nelle Arcades il wc è così raffinato che lo fotografo!A cena chiedo per antipasto del prosciutto crudo: miarrivano due immonde fette di lardo, non sono così pronta da mandarle subitoindietro o fotografarle e postarle su Facebook!A teatro ci saluta Gaetano, il Direttore di crociera chesbarca. Verrà la mia amica Patricia, ma mi dispiace veder partire lui che, seradopo sera, ho imparato ad apprezzare per la signorilità dei modi, l’originalitàdell’abbigliamento, la scelta di spettacoli quasi sempre molto piacevoli.Usciamo dopo cena, solita difficoltà di tender e tempoperso. Questa volta ci sbarcano ai Rocks, un porto vicino al centro,sorvegliato dall’alto dal famoso ponte di ferro, sul quale si affacciano bar e ristorantiaffollati. Passeggiamo e arriviamo di fronte al Luna Park. Poi, infreddoliti,torniamo in nave. Il tender è affollato, ci tocca andare al piano superiorecoperto, ma aperto ai lati.
Mi lacrimano tutti e due gli occhi.Luciana Grillo Fine della secondatratta
17 febbraio,navigazione
Partiamo da Valparaiso alle 12, per problemi tecnici siamostati in porto più del previsto, ma stamattina non ci è stato possibile uscireperché non si conosceva l’orario di partenza. Ci accompagnano meduse giganti,bianche e acquose. Oggi è martedì grasso e in Laboratorio produciamo maschere.A cena ho sfoggiato il mio bell’abito indiano arancione e verde.
Il mare è molto forte e il vento sembra squassare la nave:in cabina ne soffia così tanto che siamo costretti a chiamare il guest service.Arrivano due operai, controllano, confermano e…incerottano la porta con nastroisolante. Sa di capanna, ma il nastro è color argento!Fioccano i soprannomi: sfilano davanti a noi, quandoceniamo, la “Santanchè” (somiglianza comportamentale con la nota politica dipura fede berlusconiana), gli Adams – coppia abbastanza giovane un po’ dark,Bud Spencer (che a quanto dicono ha già sfondato due poltrone!), “Solo io cel’ho” (serve una spiegazione?), il Pugile, i Quattro Corvi dell’Apocalisse(parrucchino, la solitaria, berretto in testa, anonimo), la “vietnamita”(snella signora che veste all’orientale e balla bene), il “Bell’Antonio” (uomobrutto e nemmeno simpatico), il Camallo, Viviana, P.S. ( che non vuol dire postscriptum, ma mi ricorda una conoscente italiana che ha queste iniziali e che,come lei, è invadente sciatta forse unta…), i Felicissimi, la Tordella 1 e laTordella 2 (per chi ricorda il Corrieredei Piccoli…).Condividiamo le nostre scelte con i musicisti del ponte 3,con i “Guerini” (Pia e Guerino), i “Gaudiosi”, gli “Zoran” (Rosanna e Zoran), i“Maurizi” (Maurizio ed Elisa).
18 febbraio,navigazioneLaboratorio: magnete in ceramica. Dipingo le case coloratedi Valparaiso che non abbiamo visto (questa volta).Alle 17 andiamo a Messa e per la prima volta nella mia vitaassisto all’imposizione della cenere.Mare molto forte.
19 febbraio,navigazione Mare ancora moltoforte, anche i nostri “confinanti” devono far incerottare la porta diinterconnessione della cabina.Laboratorio: diario di viaggio. Lo terrò per me, visto cheil primo l’ho regalato a Rosanna. Chi pensa che durante la navigazione ci si annoi, sbaglia:io leggo, scrivo, prendo il sole se c’è, intreccio conversazioni con personeche mi piacciono, ascolto buona musica classica (da quando è salito un nuovotrio lo faccio con costanza), di sera andiamo a teatro e – dopo cena – aballare (è una parola grossa! Ci muoviamo in coppia sulla pista), ecc. Ho anche conservato in una valigia scarpe e vestiti pesanti,perché ormai siamo proiettati verso il caldo.Le ragazze del Tour Office in teatro parlano dei prossimiscali, delle cose da vedere, di clima moneta tradizioni cucina e – qualchevolta – accennano alla storia.Si sta anche organizzando un Coro Deliziosa (ma saràdelizioso l’ascolto?) e io sono stata selezionata come contralto.Incredibile!!! Tutti mi hanno sempre detto che sono stonata, quando canticchiomarito e figli mi ripetono gentilmente:<<Spegni la radio!>> ed orasono in un Coro.
20 febbraio,navigazioneOggi sole e mare finalmente caldo. Siamo o no nel Pacifico?Dunque mare “pacifico” di nome e di fatto.
21 febbraio, RapaNui / Isola di PasquaSbarchiamo in lancia ad Hanga Roa, saliamo su minibus conaccompagnatore locale – Jorge – e partiamo alla scoperta dei Moai. Ce ne sono 887sull’isola abitata da poco più di 5000 persone, patrimonio dell’Unesco dal1996. Ne vediamo subito uno non lontano dal porticciolo. Ma l’emozione èpalpabile quando ci fermiamo sul bordo di una vallata e vediamo il moai con gliocchi e l’acconciatura. Poco distante, altra piattaforma (ahu in lingua locale) e 15 giganti senza occhi, imponenti solennisilenziosi giganteschi custodi di… ma cosa dovevano proteggere? Nellepiattaforme (sono nel complesso 270 sparse sul territorio dell’isola) che lisorreggono forse c’erano sepolture di uomini illustri che vivevano lungo lacosta; nell’interno invece abitavano i poveri. L’80% dei moai è stato ricavatodalla caldera del vulcano Ranu Ranaku: noi ci andiamo arrampicandoci lungo lacollina, accompagnati da moai di varie dimensioni, finché arriviamoall’imboccatura della cava, dove scorgiamo il moai non-finito, volto abbozzatoe corpo saldamente ancorato alla pietra. Come un nonfinito michelangiolesco. Forsenon è stato scolpito per intero perché gli abitanti sono fuggiti (per andaredove? erano in pericolo? chi li minacciava?). Scendendo verso la pianuravediamo ancora la piattaforma dei 15, lontani e soli. Incontriamo un moaiparticolare, forse è inginocchiato: prega? si nasconde? Jorge ci dice che nonsi sa se sia il primo o l’ultimo… Aggiunge che i moai potrebbero essereespressione di culti religiosi, di luoghi di cerimonie, di allineamentiastronomici, di potere politico. Potrebbero essere semplicemente dei monumentinei cimiteri. In realtà davanti alle piattaforme ci sono pietre in fila.L’unica cosa certa è che gli abitanti cominciarono a scolpire i moai nel 600d.C. e si estinsero nel 1630, forse vinti in guerre tribali o vittime di fame esete. Si dice che per far arrivare i moai vicino al mare li facessero scivolaresu tronchi, quindi dalla distruzione della flora deriverebbero anche quelladella fauna e della popolazione stessa. I 1000 anni di storia sarebberorappresentati dai 15 moai, dunque la piattaforma sarebbe cresciuta secolo doposecolo.Dopo un pranzetto nella trattoria “Tia Berta” a base diempanadas di tonno e formaggio, io e Piero camminiamo lungo la strada che portaal molo, intorno alla quale vediamopochi negozi e qualche bar. La vita è semplice, i turisti vengono qui per amoredell’archeologia o della natura, quindi niente vip da strapazzo. Trascorriamoun po’ di tempo in un bar per connetterci e recuperare il rapporto con ilmondo, vado in bagno uscendo dalla porta posteriore del locale e vedo unportico, fiori bellissimi, piccole curatissime case che creano una specie diquadrato verde al loro interno. Fotografo un ibiscus gigantesco. Il w.c. èpulito, pareti dipinte a colori vivaci: pesci coralli fiori.Lungo il mare ci sono piscine naturali dove sguazzano ibambini con le loro tavole. I moai sono lontani, eppure presenti con le lorosuggestioni.A bordo gli animatori hanno organizzato la notte bianca eanche noi due ci vestiamo di bianco: a bordo piscina di poppa ci sono addobbibianchi, palloncini, musica.Il ricordo un po’ malinconico dei moai mi fa compagnia.
22 febbraio, navigazione
Oggi è il compleanno di Ambra, chissàse come e con chi festeggia i suoi 63 anni!
Laboratorio: si usa la gomma Eva, una specie di foglio ametà strada fra la carta e la plastica. Si taglia, si arrotola, si annoda,insomma si fa quel che si vuole. Io, sempre pensando al Soroptimist, che è la miaassociazione, faccio anelli blu con fiore giallo o viceversa (a chi lidarò?). In serata, a teatro, acrobati bravi.
23 febbraio,navigazioneLaboratorio: braccialetto con filo gommato e perline dilegno. Viene fuori un monile molto etnico e “primitivo”.In teatro, si esibisce tale Sinagoga, che ha partecipato almusical “Notre Dame” di Cocciante. Voce potente.
24 febbraio,navigazioneLaboratorio: tshirt per Piero, dipingo due moai sullapiattaforma utilizzando varie tonalità di grigio. Bella.Intanto ci avviciniamo all’isoletta di Pitcairn, la circumnavighiamo,vediamo la baia di Bounty. Questo è lo scoglio che ha ospitato alcuni deifamosi ammutinati che da Tahiti lì hanno importato provviste e donne (cosìriportano alcuni scritti, prima le provviste – sicuramente più importanti – epoi le donne, le belle e dolci tahitiane con le quali i non ancora ammutinatiavevano intrecciato relazioni sentimentali durante i cinque mesi di sostaforzata a Tahiti). In realtà questa Pitcairn era già conosciuta e segnalatasulle mappe, ma in modo sbagliato. Gli ammutinati quindi potevano staretranquilli, la flotta britannica non li avrebbe scovati. Era il 1789. Sembravail luogo ideale, ma gli uomini, come è noto, non cambiano, quindi cominciaronoa litigare, tanto da essere contestati dalle loro donne e dai numerosi figliche nel frattempo avevano generato.In pratica, di ex ammutinati morti per cause naturali se necontano solo tre. L’ultimo a morire, tale Adams, ottenne persino il perdonoreale.Come fanno a vivere in 65 sull’isola? È uno scoglio o poco più, vegetazione ricca,coste alte e rocciose, un piccolo approdo. Forse la regina Elisabetta qualchevolta manda i suoi emissari con doni e/o invita questi poveretti in gita aLondra!Bene, che ci siano o no ancora discendenti degli ammutinati,non si sa. La cosa certa è che i pochi abitanti quando sanno che passa unagrande nave si preparano…una delegazione di circa quaranta persone, compreso unimprobabile “ammutinato” è salita a bordo e ha organizzato un mercatino diartigianato sul quale come assatanate si sono lanciate le crocieriste,incuriosite dall’ammutinato e dai suoi colleghi, ma anche dai prodottiacquistabili con euro, dollari e carta di credito.Non mi sono sottratta a questa opportunità, ho visto unaimpressionante quantità di francobolli (ma noi non siamo collezionisti),tshirts e polo, oggetti belli di legno. Ho comprato dei magneti di legno suiquali è incollato un francobollo con veliero, due cucchiai di legno e duetshirts con vascello, una verde per me, l’altra viola per Piero.Prezzi ovvi.
25 febbraio,navigazionePiove, laboratorio: origami.Di pomeriggio dormo sul mio terrazzino, visto che di notte,a letto, dormo poco. Respiro aria di mare e di libertà.Prove del Coro. Canto. Ne sono straordinariamenteorgogliosa! E soddisfatta.
26 febbraio,navigazioneNiente laboratorio, leggo con passione la storia di unpittore che dalla Lorena, nel 1600, venne a imparare l’arte in Italia, prima aRoma e poi a Napoli. E’ un personaggio affascinante, inquietante. Influenzatodal clima controriformistico, ma sicuramente afflitto dall’aegritudo diagostiniana memoria, dal male di vivere insomma.In teatro, musica classica. Bene.Dopo cena, al bar Excite, festa tedesca con musica e birra.Pochi tedeschi, solo una signora in costume tipico, ma è napoletana.Continuiamo ogni sera a mettere l’orologio indietro diun’ora. Sembra nulla, ma ci stanca. Al mattino ci svegliamo prestissimo,stamattina poco dopo le sei.Ci avviciniamo alla metà del giro e, se faccio un primo eprovvisorio bilancio, devo dire che sono felice: vivo su una nave, ma ho tuttigli spazi e l’indipendenza che amo. Posso leggere studiare scrivere cucireriposare in terrazza, mentre la nave va placidamente sul mare calmo e azzurro.Vedo tanta gente, conosco molte persone carine, gironzolo sui ponti, guardofoto e merci da (eventualmente) comprare, sto un po’ sul bordo della piscina,se ne ho voglia vado alle conferenze di un prof che illustra (o dovrebbeillustrare) le prossime tappe. Direi che l’unico elemento negativo è il cibo,non per la prima colazione – che facciamo al buffet, dove c’è ampia scelta,dopo aver bevuto il caffè in cabina – ma per pranzo e cena. Ho fotografatoalcuni menu per non dimenticare…una sera ci propinano gamberi per antipasto, alsugo per gli spaghetti e allo spiedo per secondo, un’altra volta baccalà ozucchine o melanzane, sempre come ingredienti di piatti diversi e moltoelaborati in una stessa sera. Tutto appesantito da infinite salsette…forse pertenere contenti i francesi che qui sono la maggioranza. Noi abbiamo deciso diordinare dal menu il pesce “senza…”, la carne “senza…” in modo da arrivare afine viaggio con lo stomaco a posto e senza aver preso troppi kg.
27 febbraio,PapeeteDalle 6 del mattinomi metto in vedetta. L’ingresso del porto è bello, c’è tanto verde, la cittàconta quasi 200.000 abitanti. Questa isola ha una penisola, Tahiti. Il solonome evoca Gauguin e le sue donne con fiori nei capelli. Scendiamo alle 9,accolti con danze canti e fiori da un gruppo allegro e colorato. Il fiore checi offrono è il tiare, sembra unmughetto più grande dei nostri, è bianco e profumatissimo. Troviamo subito ilMercato comunale, una costruzione luminosa e moderna dove sono esposti a pianoterra generi alimentari e souvenirs di paglia, al primo piano tessuti, perle eoggetti vari. La perla nera o grigia con venature argentee o verdastre ecc. èla regina.Escursione nel pomeriggio: costa orientale, piccole spiagge,mare aperto molto mosso. Vediamo l’approdo dei primi navigatori, la spiaggettadei soffioni, senza sabbia, coperta da coralli e madrepore, luoghi panoramici,chioschetti dove le donne vendono banane mignons. La guida ci dice che ipolinesiani amano il passato, rispettano gli anziani, vivono serenamente. Sannonon pensare, è questo forse che ha incantato Gauguin?Nel pomeriggio usciamo da soli, entriamo nella piccola esemplice cattedrale di Notre Dame impreziosita da una Via Crucis naive e da unostensorio di legno. Efficaci.Il mio problema, in ogni luogo, è trovare una buonaconnessione per poter mandare le mie recensioni al giornale. Oggi non va.Dopo cena, nuova passeggiata: non c’è una movida in sensoitaliano o europeo. E’ venerdì, a pochi metri dalla nave ci sono le“Roulottes”, camioncini attrezzati che diventano ristoranti: in un momento dalcassone escono tavoli sedie tovaglie di plastica fornelli stoviglie. L’aspettoigienico mi sembra trascurato, ma la gente che mangia, le famigliole con ibambini sono allegre e in salute. Cerchiamo qualche bar, qualche posto dagiovani, non per noi ovviamente, ma per vedere e capire: un bar schieraall’ingresso due pirati di catapesta, ci sono ragazzi e musica live; un altromi sembra dedicato alle coppie omosessuali. In diretta assisto ad unappassionato abbraccio lesbico. Piove a scrosci brevi ma violenti. Vorremmoripararci da qualche parte, mi affaccio nel bar (il secondo) ma l’invitopressante di una ragazza a sedermi accanto a lei non mi convince. Preferiamo iportici, finché non smette di piovere. Donne che sembrano vecchie intreccianoprofumate corone di fiori freschi da vendere. Ma io non ne compro perché nonsono tahitiana e soprattutto…perché non c’è Gauguin!
28 febbraio,PapeeteQuando leggemmo l’itinerario, ci chiedemmo che necessità cifosse di stare due giorni a Papeete. Ora lo sappiamo, e se invece di due igiorni fossero stati tre o quattro, ne saremmo stati ancora più felici.Usciamo presto, liberi da vincoli ed escursioni organizzate.Devo far sistemare il pc che non risponde agli stimoli. Troviamo un negozio conassistenza Apple e ci fiondiamo. Un ragazzo gentilissimo mi dice che è unproblema di data e di orario, a Roma sono le 20, ma qui stanno scoccando le 11,il pc si disorienta, bisogna metterlo a posto. Dopo venti minuti, il mio pctorna gloriosamente fra le braccia del giovanotto che mi sorride e mi dice cheper lui è stato un piacere, non vuole che io paghi. Lo avrei abbracciatoall’istante, non perché mi faceva risparmiare ma perché mi restituiva il mioamato pc sano salvo e guarito! Dunque, problemarisolto e passeggiata serena, altre sorprese ci attendono. Il Parco Bouganvilleè un piccolo giardino pieno di fiori e piante in centro, dietro l’ufficiopostale (ormai mi sento una papeetese!). Ci sono, sul limite che affaccia versoil mare, delle bancarelle con parei perle magneti e monoi. Ma ci sono ancheuomini colorati che suonano e cantano, accompagnando una fanciulla (di Gauguin?) che danza dolcemente, avvolgendo intorno al corpo i suoi parei. Ci sediamo esubito arriva una persona che ci offre degli spicchi di frutta. Non sappiamo sesia uomo o donna. E’ vestita truccata e pettinata da donna, ma ha i lineamentimaschili, la voce baritonale, la barba (rasata ma visibile). Ci ricordiamoquello che ci ha raccontato la guida Gerald: in famiglia il terzo figlio, semaschio, deve essere educato come una femmina perché dovrà curarsi deigenitori. Lo vestono lo educano lo abituano gli parlano come a una bambina. Inqualche modo, sono i genitori a indicargli (indicarle) la strada. Alcuni poi sisposano, hanno figli, ma quella preparazione alla vita nel sesso diverso licondiziona per sempre. Gerald ha detto che sono tanti, che non dobbiamogiudicarli o condannarli…sono il frutto di una tradizione antica.Che lunga digressione, torno alla danzatrice che noiguardiamo rapiti.Come tutte le donne, ha un fiore fra i capelli. Dicono chese è messo a destra, vuol dire che la ragazza è libera, se è a sinistra, che èimpegnata. E se i fiori sono due? Forse la donna vuol far sapere che èimpegnata, ma potrebbe liberarsi. Finita la danza, misi avvicina e mi chiede di danzare con lei. Le dico di no in modo deciso, malei insiste, insiste molto e non sono capace di resistere. Mi sembrerebbe dioffenderla. Vado con lei al centro della piazza, mi mette sui fianchi un pareoe mi invita a seguire i suoi movimenti, un leggero ancheggiare, un movimentomorbido delle braccia e delle mani, un girare ora a destra ora a sinistra orasu me stessa. Piero fotografa. Io sono felice, anche se so che non sono giovanee magra come lei, né so ballare come lei.Nel pomeriggio, nuova passeggiata, dopo l’acquisto di unacamicia per Piero: non è la tahitiana blu a fiori gialli o rossi, ma unaraffinata chemise (qui parliamo in francese da mattino a sera!) bianca condisegni geometrici grigi sul lato destro. Ottimo il cotone, liscio e leggerocome seta. La proprietaria dell’elegante boutique mi ha venduto anche alcunedeliziose donnine polinesiane magnetiche di legno, fatte palesemente a mano. Miha fatto notare che alcune avevano il reggiseno a triangolo, altre due noci dicocco, le coconettes. Naturalmente hoscelto queste ultime e la signora gentilmente, pur in presenza di altriclienti, le ha cercate in un mucchio, indicandomi anche i colori dei costumi.Insomma, mi ha dedicato un bel po’ di tempo per oggettini che costano meno diun euro!Altro parco, lato mare, già visto dalla nave. Aiuole,fontane, ninfee, prati verdi, canoe sovrapposte sulla spiaggia. Sotto ampipadiglioni ricoperti di foglie di un albero tipo palma ci sono persone cheleggono, una festa di bambini con palloncini e senza schiamazzi, amici cheparlano pacatamente. C’è gente che si riposa o legge sul prato. Tutto èsilenzio e serenità. Ci sono anche tanti “monumenti”, semplici maestose pietreche ricordano la conquista dell’autonomia, gli esperimenti nucleari (e le vittime),i governanti saggi.Di sera, a bordo, splendido spettacolo folk.
1 marzo, MooreaQui arrivò capitan Cook nel 1867, nella baia di Opinoho doveè ancorata la nave. Questo è un luogo magico: la natura è rigogliosa, selvaggiae incontaminata, ma non aggressiva. Solo prepotente. Ci sono picchi molto alti(2000 metri) e vallate verdi che si tingono di blu quando toccano il mare. Icolori sono quelli delle cartoline che ho spedito (solo due!), i fiori sonodovunque, le casette hanno giardini curati e ridenti. Vediamo i misteriosi marae, templi o altari di pietre. Si sapoco della loro storia. A me viene spontaneo pensare che i romani gli altari lichiamavano arae, ma non oso farealcun collegamento.Nel pomeriggio, con una coppia appena conosciuta, ce neandiamo alla spiaggia dell’Hotel Hybiscus, non si può venire in Polinesia senzafare un bagno! La spiaggia è libera, l’albergo è pronto ad offrirla, ma nondispone di sedie lettini ombrelloni. A noi va bene così, siamo dentro il sogno.E dentro le cartoline, con palme e sabbia dorata. L’acqua è calda, io nonuscirei più. La nuova amica non haindossato o portato il costume, questa gita in spiaggia non era prevista. Sitoglie la tshirt, rimane in reggiseno e pantaloncini e fa il bagno lo stesso. Ciaccampiamo presso una scaletta, dove c’è un po’ d’ombra e dove Piero puòsedersi tranquillamente. Il mare è sempre più blu…come dice una vecchiacanzoncina. Anche qui, andando via, ispeziono il w.c. per togliermi il costumebagnato: la receptionist mi accompagna in una stanzetta e mi indica il bagnoulizia, profumo di fiori e petali sul lavandino.Sono emozionata, mi sembra di non aver visto mai un postocosì assolutamente bello e di non aver mai vissuto un pomeriggio così dolce.
2 marzo, Bora BoraL’escursione è alle 11.15 e siccome siamo in rada non èpossibile scendere prima dalla nave. Mi sento ostaggio.Saliamo sul truck, un camion addobbato con fiori e foglie efacciamo il giro dell’isola, che è più grande di Moorea, più turistica, conalberghi per vip direttamente sul mare, nel senso che i bungalows sono poggiatisu palafitte. Qualcuno ha il pavimento trasparente per vedere i pesci. Non miattira dormire sull’acqua. Anche qui, colori da cartolina. Visitiamo una“fabbrica” di parei e una ragazza ci offre frutta e acqua, oltre a spiegarci latecnica dei colori e dei disegni. Ne compro uno, non so più se è il sesto o ilsettimo…ma dall’Italia fioccano le richieste! Prima che finisca ilgiro ufficiale, ho il tempo di ferirmi al braccio destro sfregandolo con forzasul finestrino del truck. Il ragazzo Costa mi disinfetta, ma il bagno cheandiamo a fare su una bella spiaggia è limitato: sembro una rotonda comunistache si immerge con braccio levato e pugno chiuso! Il mare è molto calmo, menocaldo di ieri, popolato da tanti pesci, anche abbastanza grandi.Dopo, giro nei negozietti del molo e nuovi acquisti: monoi,saponi al tiare, un bel tessuto bianco con disegni geometrici neri. Ne farò untubino.Anche qui, donne-uomo o uomini-donna e semprel’interrogativo: sono condizionati dalla famiglia e dalla tradizione? Sonobisessuali?In genere, queste isole da favola mi hanno fatto pensare aifrancesi che le hanno colonizzate: sono stati bravi, queste popolazioni sonotranquille e serene, sembrano ospitali e solidali, vivono in luoghi curati erispettano i vecchi, i bambini e l’ambiente. A proposito, siccome la sepolturadei morti in cimitero è costosa, molti seppelliscono i loro cari in giardino.Abbiamo visto parecchi esempi.Altra cosa sono i grossi cani che circolano in libertà efanno un po’ paura e i granchi robusti che scavano in terra le loro tane, dacui escono velocissimi per catturare fiori freschi (non per abbellire le tanema per mangiarli). Dal truck abbiamo gettato fiori e fogli e subito sono emersidal buio e hanno trascinato dentro il profumato bottino.3 marzo,navigazioneLettura, laboratorio (di mattina un portacellulare oportaocchiali in feltro, nel pomeriggio una specie di targa da appendere allaporta, es. non disturbare! – ma io ho pensato alla nostra barca che ci aspettaa Maratea, perciò sulla base verde ho applicato un veliero, onde, pesci e l’hochiamato Goduria), un po’ di sole.Tutto ok.
4 marzo,navigazioneOggi siamo alla metà del viaggio. Mi piacerebbe tornare al 6gennaio, rivedere il Brasile, camminare per il Pelourinho a Salvador de Bahia,ritrovare i parenti a Montevideo, andare alla Milonga di Buenos Aires nelpomeriggio e restare lì tutta la sera a guardare i portenos ballare consentimento…E poi me ne starei a Moorea, incantata a contemplare marecielo spiagge e palme. Ma è il 4 marzo e non si torna indietro. Oggi è sanLucio e la Betty festeggia il compleanno, penso con affetto a tutti e due.Lucio è mio fratello e vorrei vederlo sereno, dopo tante sventure. Betty èun’amica sensibile e intelligente, anche a lei auguro tanta serenità.Ho finito di leggere Piangipure, romanzo di Lidia Ravera: ne è passato di tempo da “Porci con le ali”che scandalizzò tanti benpensanti! La Ravera è ormai adulta e racconta lastoria di una donna anziana che vive alla soglia degli 80 anni un nuovo amore.Dolcezza, ironia, ricordi…Ho trovato questo libro in biblioteca, è dedicato aduna certa Silvia, autografato dall’autrice. Sicuramente la destinataria delladedica non lo ha apprezzato, altrimenti non lo avrebbe abbandonato qui. Io nonriesco a lasciare neanche un dépliant, ho un rapporto d’amore con la cartastampata che mi impedisce il distacco.
Salto di data. Niente 5, direttamente 6 marzo.Mi dispiace perdere un giorno di vita e di crociera. Siamosul 180° meridiano, dove corre la linea internazionale del cambio di data.
7 marzo, regno diTonga Siamo a Nuku’Alofa,la capitale di questo regno sperduto nel Pacifico. Scendiamo dalla nave e ciaccolgono con canti e danze, c’è anche una banda formata da ragazze in divisa.A tutti una collana di piccoli fiori arancioni al collo. Carina, ma punge. Mela metto in testa come una coroncina. Il nome di questa capitale che conta menodi duemila abitanti (1000 adulti e 700 bambini) vuol dire “Patria dell’amore”.Io e Piero andiamo verso il centro, troviamo un mercatino per turisti e poi unmercato vero, con frutta verdura e oggetti di paglia che servono ai tongani perla vita quotidiana. Le donne indossano un gonnellino di foglie intrecciate astriscioline: è il segno del rispetto che ci portano, il gonnellino si usanelle occasioni importanti. Gli uomini usano una gonna nera tipo pareo sullaquale avvolgono una stuoia. Prima di fotografare un bambino che è con la mammaal mercato, chiedo il permesso. La mamma, felice, chiama anche gli altri trefiglioletti, se li stringe e sorride: fotografo il bel gruppo famigliare.L’escursione si fa in scuolabus, un po’ rannicchiati. La guida è una ragazza di26 anni, si chiama Eunice Pongipongi, racconta di aver studiato in NuovaZelanda e di vivere ora con marito e figlio. Conosciamo il bimbetto perché unasosta si effettua nel luogo dello sbarco di Cook, dove c’è un banchetto consouvenirs: la madre di Eunice è la venditrice, il piccolo Joe si attacca allegambe della mamma. Nel corso dell’escursione vediamo qualche palazzo reale,anche quello dove abita la regina madre, la Chiesa cattolica di Sant’Antonio,le tombe reali e alcuni cimiteri. Qui al cimitero sono sepolti i poveri, iricchi hanno nei loro giardini più degna sepoltura. I tumuli di terra sonoaddobbati con fiori e teli colorati, più o meno preziosi. Uno è abbellito conun copriletto damascato bianco. Eunice ci dice che quando muore qualcuno, iparenti meno vicini provvedono al pranzodei parenti stretti. Se non c’è il tempo, ci si rivolge ad un’impresa dicatering che pensa a tutto e che mette a disposizione anche ampi spazi.Le case sono di proprietà di chi le abita, i tetti sonocoperti di foglie dell’albero del pane. I giardini sono curatissimi. Il reregna, con un parlamento formato (ci avrei scommesso!) da soli uomini. Le donneballano con il corpo unto di olio di cocco. Se si tratta di ragazze, si attendeche l’olio goccioli insieme al sudore: sarebbe la prova della verginità dellaballerina. Io ho l’impressione che in questo regno gli unici a non avereproblemi siano i reali e i loro adepti. Intorno mi sembra di vedere unadignitosa povertà, per nascondere la quale uomini e donne ostentano dentid’oro, anche da giovani.L’isola è piatta, niente colline e piccole valli verdi comein Polinesia. Però c’è un trilite,una porta in pietra costituita da tre massi. Forse è uno strumento per misurareil tempo o i solstizi, evoca Stonehege. E’ del 1200 circa.Dopo essere stata a Papeete, Moorea e Bora Bora, questa impronunciabilecapitale mi lascia piuttosto indifferente.
8 marzo,navigazioneFesta della donna, in laboratorio produciamo fiori di cartache gli animatori offriranno alle signore durante la festa al ponte 9, intornoalla piscina. A cena, porto tre rose, due rosse per le mie vicine di tavolo,una gialla per Nita, la giovane e graziosa cameriera peruviana. Gradite.A teatro, i Maori si esibiscono in tutto il loro potentesplendore: disegni neri sul viso, grandi tatuaggi sulle gambe, lingue fuori eocchi sbarrati per incutere terrore. Le ragazze hanno il mento decorato consegni neri, sembrano barbute. Il loro canto è dolce, i loro movimenti sonotrascinanti. A fine spettacolo, corsa sul palcoscenico per foto ricordo.9 marzo,navigazioneLaboratorio, maschera Maori. Non poteva mancare. Alla miaapplico anche una lunghissima lingua.Dopo cena, i Maori ballano nel gran bar centrale; voglionocoinvolgere qualche donna per inserirla in un gruppo, mi faccio coinvolgeremolto volentieri, gioco con loro, faccio tremolare le mani – come loro – efaccio ruotare le “palle” bianche e morbide che mi hanno consegnato. Mi divertomolto.10 marzo, AucklandSiamo in Nuova Zelanda, terra di pecore e lana, di giocatoridi rugby, di coni vulcanici spenti, su cui sorge la città che è tutto un saliree uno scendere. La guida che ci accompagna si chiama Nadia, è milanese e da 8anni vive qui. Racconta molto bene gli elementi che differenziano questo Paesedall’Italia, fa notare il sentimento forte di democrazia ed il rispetto attentodelle regole – da parte di tutti. Ci sono bei quartieri con costruzionivittoriane, visitiamo un datato giardino d’inverno e dall’esterno ammiriamo ilgrande Museo che rappresenta tutta la loro storia, dai colonizzatori Maori aquelli inglesi, fino alla prima guerra mondiale. La città è molto estesa, labaia assai ampia percorsa da frequentissimi ferry. La gente preferisce viverelontano dal centro, in case singole, più o meno grandi, con giardino. Grandi eben tenuti sono i parchi, con vegetazione rigogliosa. I campi da cricket siaffittano gratis. Dove c’era acqua, ora ci sono mangrovie, piuttosto invasive.Piccolo quartiere elegante e raffinato è Davenport, con belle case, spiaggia egiardini. La strada principale è la Victoria Street, su cui si affaccia unabella biblioteca dalle grandi vetrate e dal tetto in legno. Il centro diAuckland è attraversato dalla Queen Street, che noi percorriamo varie volte: cisono negozi di lusso (Prada Dior Vuitton Gucci) ed empori cinesi; da una vialaterale, in salita, si arriva alla Sky Tower, solito gigante in cemento eacciaio, alta 328 metri. Naturalmente ci andiamo, ammiriamo il panoramamare-terra-cielo da tutti i punti e livelli possibili ed assistiamo anche al lancio di uno jumper che,percorsa una breve passerella, debitamente attrezzato, si lancia nel vuoto. Chebello essere giovani e che peccato essere stati giovani quando queste emozioniforti non si potevano provare!
11 marzo, AucklandOre 7.30, pedicure. Ore 9.00, discesa a terra e, di nuovo,Queen Street. Mi piacerebbe girare in un supermercato per vedere cosa compra lagente del posto. Vorrei anche comprare le bustine per fare la bevanda al lime,le ho viste a Tonga, ma siccome erano made in New Zeland non le ho comprate. Eho fatto male, perché qui non le trovo. Ci sono prodotti di multinazionali,Garnier Oreal Nivea Ferrero Lindt. I prezzi di tutto mi sembrano molto alti,non compro nulla.All’interno del porto, mi fermo per scegliere magneti ealtre sciocchezze.Alle 13.00 si parte. Ciao, Auckland, città di mare e vele!
12 marzo,navigazioneLaboratorio: portacellulare in tessuto con felci neozelandesi.Come sempre, ci troviamo a pranzo con i Gaudiosi, parliamodi tante cose, riflettiamo, ci divertiamo insieme. Siamo accomunati, peresempio, dalle iniziali dei nostri nomi, P e L. La mamma di P si chiamava comela mamma del mio P.P il gaudioso sfodera qualche soprannome: la vedova franceseche qualche volta si è unita a noi quattro a pranzo diventa la Veuve Cliquot!La navigazione procede, non siamo assolutamente né stanchiné annoiati. Solchiamo il mare di Tasman dirigendoci verso l’Australia. Quandoandai in Olanda – il mio primo mitico viaggio senza genitori e altri parenti –facemmo amicizia in treno con una coppia di olandesi che ci invitarono una seraa casa loro, dopo cena. La conversazione languiva; eravamo cinque ragazze e ununico povero maschio (costretto a combattere con i nostri bagagli, i nostritempi, la nostra voglia di shopping!), tutti universitari con conoscenzascolastica del francese. I due tulipani parlavano con noi in inglese, noirispondevamo a monosillabi imbarazzati e imbarazzanti. Ogni tanto veniva fuoriuna frase, tipo: “Hans somiglia ad AbelTasman!” e noi sorridevamo compiaciuti.Torniamo alla nostra Deliziosa nave: nel menu sono statiaggiunti piatti della tradizione italiana. Mangiamo un po’ meglio. Il maitreGiovanni, alto caprese purosangue, si occupa di noi con garbo eprofessionalità. Altri due maitres, Fernando e “Pirandello” (un ragazzo diAgrigento) ci sorridono e cercano di accontentarci quando chiediamo, moltoraramente, qualcosa che non troviamo, ad esempio un cacao amaro per la primacolazione. A cena si sprecano le gags tra Piero mio e Pietro, il nostrocameriere filippino, bravo e permaloso (basta un nostro sguardo a farloirrigidire!).L’atmosfera è piacevole nel complesso. Stasera “Festaitaliana”, ci vestiamo con i colori della nostra bandiera, cantiamo in coro“Volare” e, come da tradizione, balliamo con i camerieri.Ho finito di leggere “Hosognato la cioccolata per anni” di Trudi Birger. Il titolo mi ha ingannato,non ci sono ricette o ricordi di infanzia, ma lager, olocausto, fornicrematori.E l’ odio irriducibile dell’autrice ebrea nei confronti deitedeschi.E’ una storia che fa riflettere, dovrebbero leggerla irevisionisti.
13 marzo,navigazioneNiente Laboratorio, si cuce e non ne ho voglia.Piccolo bucato steso al sole, lettura, sole e bagno inpiscina con idromassaggio.Mi lacrima l’occhio destro.Cena di gala per salutare gli ospiti che scenderanno aSydney.Menu pessimo.Dopo cena salutiamo Fausto e Sonja, ci rivedremo ancora incrociera? O andremo a trovarli in Svizzera? O verranno loro da noi? Questa èstata la terza crociera in cui ci siamo ritrovati.Discussione molto vivace con il mio vicino di tavola che,dopo aver per un mese mandato indietro tutti i piatti perché non di suo gusto,ora che io mi sono lamentata delle scelte “monografiche” dello chef mi harisposto molto male, con la solita arroganza.A bordo abbiamo capito che gode di alcuni privilegi perché èamico di qualche papavero.
14 marzo, SydneyLa nave purtroppo si ferma in rada. E’ un bel fastidioessere collegati alla terraferma con le scialuppe: file all’imbarco e allosbarco, perdita di tempo, mancanza di libertà (scendo quando voglio? No).Dopo pranzo usciamo: sbarchiamo dietro l’Opera, quelmeraviglioso insieme di gusci bianchi opalescenti che sembrano conchiglie ovele, ce ne andiamo in centro, percorriamo come due vecchi residenti GeorgeStreet e ritroviamo prima le Arcades e poi lo spettacolare Vittoria Building:entrambe sono strutture vittoriane restaurate splendidamente e diventateraffinati centri commerciali. Ci sono bar e cioccolaterie, negozi diabbigliamento e antiquariato, di giocattoli e accessori, wi fi free. Perciò cifermiamo a lungo per comunicare con il nostro mondo degli affetti e delleamicizie. Nelle Arcades il wc è così raffinato che lo fotografo!A cena chiedo per antipasto del prosciutto crudo: miarrivano due immonde fette di lardo, non sono così pronta da mandarle subitoindietro o fotografarle e postarle su Facebook!A teatro ci saluta Gaetano, il Direttore di crociera chesbarca. Verrà la mia amica Patricia, ma mi dispiace veder partire lui che, seradopo sera, ho imparato ad apprezzare per la signorilità dei modi, l’originalitàdell’abbigliamento, la scelta di spettacoli quasi sempre molto piacevoli.Usciamo dopo cena, solita difficoltà di tender e tempoperso. Questa volta ci sbarcano ai Rocks, un porto vicino al centro,sorvegliato dall’alto dal famoso ponte di ferro, sul quale si affacciano bar e ristorantiaffollati. Passeggiamo e arriviamo di fronte al Luna Park. Poi, infreddoliti,torniamo in nave. Il tender è affollato, ci tocca andare al piano superiorecoperto, ma aperto ai lati.
Mi lacrimano tutti e due gli occhi.Luciana Grillo Fine della secondatratta
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