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Crocieristica americana a rischio?

Rodolfo

Super Moderatore
28 gennaio 2008


Industria crocieristica americana a rischio se passa la ridefinizione di una norma della legislazione marittima statunitense (Da INFORMARE)


Lo sostiene l'associazione delle autorità portuali, che teme gli effetti di una proposta avanzata dall'amministrazione doganale USA


Secondo l'American Association of Port Authorities (AAPA), una proposta di ridefinizione di una normativa della legislazione marittima statunitense avanzata dalla U.S. Customs and Border Protection (CBP) metterebbe in crisi l'industria crocieristica americana.


La proposta riguarda le navi da crociera che scalano più di un porto statunitense e prevede che l'itinerario crocieristico effettuato da tali navi sia per almeno la metà operato in porti esteri, dove dovranno essere effettuate soste di almeno 48 ore in ciascun scalo. «Ciò - ha sottolineato l'associazione delle autorità portuali americane - determinerebbe il completo sfacelo dell'industria crocieristica nazionale».


«Questa proposta di nuova interpretazione della norma - ha detto il presidente e amministratore delegato dell'AAPA, Kurt Nagle - rappresenterebbe un notevole cambiamento della politica statunitense e causerebbe un danno immediato e significativo alle città crocieristiche della nazione, ai porti, ai passeggeri e al lavoro e agli americani che, per il loro sostentamento, dipendono dall'industria crocieristica». «La revisione della norma proposta dalla CBP - ha aggiunto - è completamente aliena alle pratiche del settore».


Nagle ha spiegato che la proposta di revisione è stata definita «con l'intento di salvaguardare il lavoro di poche centinaia di marinai del settore mercantile impiegati su navi da crociera di bandiera statunitense che operano nelle Hawaii» e che, però, «minaccia migliaia di lavoratori americani» impiegati a terra, negli hotel, nei ristoranti, nelle società di trasporto, presso i tour operator e nelle altre aziende collegate con il comparto crocieristico. «L'amministrazione doganale - ha sottolineato Nagle - sta reagendo in maniera eccessiva, come se utilizzasse una mazza per schiacciare una mosca».


L'AAPA ha ricordato che attualmente, in base al Passenger Vessel Services Act del 1886, una nave passeggeri di bandiera estera che tocca più di un porto statunitense in un itinerario crocieristico deve fermarsi in almeno un porto estero. La proposta dell'amministrazione doganale USA prevede che queste navi si fermino per almeno 48 ore in ciascun porto estero e, inoltre, che il periodo di tempo trascorso nei porti esteri ammonti ad almeno il 50% del tempo complessivo trascorso nei porti statunitensi. Tutto ciò - ha rilevato l'associazione - contrasta con la pratica attuale, che prevede che molti scali nei porti abbiano una durata di otto ore o inferiore, e pone a rischio le crociere tra la California meridionale e le Hawaii, tra la California meridionale e l'isola di Catalina, tra la West Coast e l'Alaska e il Messico, tra la East Coast e il Canada.


«Questo cambiamento alla norma - ha detto il direttore esecutivo della Port of Los Angeles, Geraldine Knatz - potrebbe avere un impatto negativo sui programmi di vacanza di più di un milione di viaggiatori che si imbarcano o sbarcano nel nostro porto ogni anno. Molte delle nostre crociere hanno una durata da tre a cinque giorni e quindi sono troppo brevi per rispettare la durata di scalo di 48 ore. In effetti questo cambiamento alla norma farebbe naufragare un'esperienza crocieristica di cui milioni di turisti delle crociere godono ogni anno dai porti nazionali. Con circa un milione di dollari di stipendi diretti e di ricavi per scalo di nave, ciò rappresenterebbe anche un danno economico per la nostra economia regionale».
 
Re: Crocieristica americana a rischio?

So che era un accenno già trattato da Paolo, sotto il "Jones Act", ma poichè è un argomento ritornato alla ribalta, ho pensato di riproporlo a vantaggio di chi non lo conoscesse.
 
Re: Crocieristica americana a rischio?

Leggendolo sembra utopico. Conoscendo gli Americani.....ma, niente é impossibile.

Un saluto.
 
Re: Crocieristica americana a rischio?

Interessante,,,anche se capisco poco il motivo di questo provvedimento, capisco male o si tratta di salvaguardare le navi battenti bandiera Statunitense :?: :wink:
 
Re: Crocieristica americana a rischio?

Argomento estremamente interessante e complesso. Grazie a Rodolfo per averlo portato all'attenzione di questo forum. Se la norma applicata sarà questa sono a rischio gli scali in porti statunitensi che sono normalmente inseriti in itinerario crocieristico. Limitando il discorso ai Caraibi basti pensare a Key West ed a Charlotte Amalie (St. Thomas). Le navi di compagnie a capitale statunitense, basti pensare a Carnival, Royal Caribbean, Princess, battono tutte bandiere di Paesi stranieri: Panama, Bahamas, Bermuda.

Passando alle Hawaii il discorso si fa estremamente complesso. NCL America ha il "monopolio" sulle crociere settimanali dalle Hawaii da Honolulu, rese possibili dal fatto che le sue 3 navi battono bandiera statunitense. La Norwegian Star, al suo debutto su queste rotte nel 2001, essendo registrata alle Bahamas (Nassau) era costretta dalla normativa statunitense ad inserire uno scalo straniero nelle sue crociere alle Hawaii. NCL America è comunque in perdita, e a breve la Pride of Hawaii sarà trasferita alla NCL assumendo il nome di Norwegian Jade: riposizionamento il Europa per la stagione estiva sotto bandiera bahamense. In sostanza la nuova normativa potrebbe comportare la scomparsa delle crociere alle Hawaii dalla California, rese oggi possibili dallo scalo di poche ore, scalo spesso "tecnico", delle navi della concorrenza ad Ensenada (Messico). E crociere di questo tipo sono proposte da numerose compagnie: Royal Caribbean, Princess, Holland America, solo per citarne alcune.

La storia di NCL America è estremamente complessa. Sono state necessarie tutta una serie di modifiche alla legislazione marittima statunitense per consentire alle navi della compagnia di battere bandiera statunitense. La normativa stabilisce infatti che solo le navi costruite negli Stati Uniti possono battere la bandiera di questo Paese. La Pride of Aloha, ex Norwegian Sky, è stata invece interamente costruita in Germania: avrebbe dovuto essere in origine la Costa Olympia. Stesso discorso per la Pride of Hawaii: Made in Germany. La Pride of America è stata solo in parte costruita in un cantiere statunitense, essendo stata ordinata da una compagnia americana fallita in seguito alle ripercussioni abbattutesi sul settore crocieristico in conseguenza dell'attacco terroristico dell'11 settembre 2001: la nave comunque è stata in gran parte realizzata in Germania. Tra parentesi la restrizione applicata a queste navi è che possono operare sotto bandiera statunitense esclusivamente alle Hawaii. L'Alaska ad esempio è loro preclusa.

Alla fine spero che questa nuova legislazione non trovi mai attuazione. Le conseguenze per l'industria crocieristica sarebbero davvero pesanti. Pensiamo solo alle crociere in Alaska da Seattle: lo scalo in Canada (Victoria o Prince Rupert) passerebbe da poche ore a 48 ore.

Su altre crociere, e penso a quelle verso California e Messico di 3 e 4 giorni, con la nuova legislazione sarebbe necessario tagliare gli scali di Catalina e di San Diego, oppure aumentare la sosta ad Ensenada a 48 ore.
 
Re: Crocieristica americana a rischio?

Non capisco, in ogni caso, perchè questa forma di protezionismo, mai abrogata, abbia permesso il suo mancato rispetto da parte del naviglio battente bandiera diversa da quella dello U.S. Non ho trovato il motivo, fra le varie deroghe, della possibilità di sottrarsi, fino ad ora, da parte delle compagnie straniere alle disposizioni del cabotaggio interno.
Se poi come giustamente hai detto tu, Paolo, le navi dovessero cambiar bandiera per rispettare il PVSA, una volta che si addivenisse alla sua applicazione, le compagnie sarebbero sottoposte a vincoli di legge assai precisi, come la percentuale del 75% dell'equipaggio di nazionalità statunitense, con notevole aumento di costi, e l'impossibilità da parte delle navi di essere costruite o ristrutturate, oltre certi limiti, in cantieri d'oltre mare. E se praticamente tutte le navi sono state costruite in Europa, come possono ottenere la bandiera a stelle e strisce? Evidentemente si dovrà mettere una "pezza" alla legge, per non sconvolgere più di tanto il mercato. Tra l'altro il buon Arison, per esempio, sarebbe costretto in futuro ad interrompere la "collaborazione" con Fincantieri. Senza dubbio mi manca qualche elemento e son portato a conclusioni fosche, ma in ogni caso la faccenda mi sembra piuttosto ingarbugliata.
 
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