La crociera che verrà
La crociera che verrà
Italian Cruise Watch: la crociera che verrà
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Con l’Italian Cruise Day, organizzato a Venezia dalla sua Risposte Turismo, Francesco Di Cesare ha fornito al mercato il primo studio organico sull’industria delle crociere in Italia e nel mondo.
Intitolata Italian Cruise Watch, l’analisi contiene una massa di dati vasta e scientificamente compilata su un settore che dal 2000 al 2010 è cresciuto del 400%, essenziale al trade che ne ricava volumi di vendita crescenti: dal 21% medio del fatturato stimato per il 2000, al 35% previsto nel 2012, tra l’altro con oltre il 40% di new-cruiser.
Intorno ai dati una giornata di dibattito, nel Cruise Terminal 103 di Venezia, ha toccato tutti i punti sensibili dell’industria, che coinvolge massicciamente porti, istituzioni e territorio, fornitori e trade, tutti autorevolmente rappresentati all’incontro di Venezia.
L’Italia terzo mercato europeo
Parlano i numeri: entro fine 2011 le navi avranno portato circa 11 milioni di passeggeri – più 16% sul 2010, già avanti dell’8% sul 2009 – in una trentina di porti italiani.
Civitavecchia e Venezia sono nella top ten mondiale: il primo insidia il primato di Barcellona, con 2,5 milioni di passeggeri, e l’Italia ha il 36% degli imbarchi europei. Siamo il terzo mercato europeo (dopo Gran Bretagna e Germania) con 900.000 passeggeri nel 2010 (più 11%) e penetrazione di mercato all’1,4%, contro il 2,4 in Gran Bretagna e il 3,4% in Usa: crisi permettendo, c’è di che crescere.
L’Italia vale quasi il 5% del totale internazionale, che nel 2010 ha sfiorato i 19 milioni di passeggeri (stima di Cruise Watch) su un’offerta totale di 460.000 posti – a breve saranno mezzo milione – con un centinaio di compagnie, pur concentrata per il 45% nel gruppo Carnival, un altro 35% tra RCCL, MSC e Genting HK (capofila di NCL). Dal 2000 la quota di mercato dei Caraibi è scesa dal 40 al 35%, il Mediterraneo è cresciuto dal 12 al 18%, e in Italia vengono tutti.
I dati di European Cruise Council confermano: più 8% la crescita media costante dal 1994, con 117 nuove navi tra il 2000 e il 2010, e altre 21 da ora al 2013: il 43% con oltre 3.000 posti. Il traffico nei porti italiani è cresciuto a tre cifre, con picco del 550% a Savona dal 2000. I più trafficati sono nell’ordine Civitavecchia, Venezia, Napoli.
E Clia (Cruise Lines International Association) stima in 38 miliardi di dollari l’impatto dell’industria sugli Usa; 14,4 miliardi di euro in Europa, e 4,5 miliardi per l’Italia (dati ECC), quasi un terzo in cantieristica, che da noi vanta un’affermata specializzazione.
Massiccio l’indotto: «Noi dedichiamo il 10% della flotta charter alle crociere – ha detto tra l’altro Marco D’Ilario, direttore vendite Alitalia – e puntiamo al 20%». Più forte ancora l’impatto sul territorio: intervistando gli amministratori di Regioni, Provincie, Comuni e camere di commercio Di Cesare ha scoperto che il 90% parla di priorità delle crociere.
Meno margini per tutti
In questo quadro la crisi globale ha frenato (ma non fermato) la crescita, ridotto i margini di tutti i player, e moltiplicato il potenziale destabilizzante di nodi critici dell’industria, attraversata da forti tensioni evolutive: la progressiva integrazione verticale delle compagnie, che entrano nella gestione dei terminal e nella distribuzione, Costa con Alpitour in Welcome Travel Group, MSC Crociere a quanto pare in BluHolding; poi il gigantismo delle navi, e il successo del Mediterraneo d’inverno; la segmentazione per target dei prezzi al consumo, in sostanziale ribasso l’estate scorsa: per la prima volta di fronte a un booking quanto mai tardivo – come si è detto più volte a Venezia – che ha prodotto distonie sensibili nel dialogo storicamente lineare tra produzione e distribuzione. Fenomeno che insieme al rincaro del petrolio contribuisce all’erosione dei margini delle compagnie, oltre che della distribuzione. E tra l’altro inasprisce il dialogo tra le compagnie e i porti.
«I porti, terra di conquista della politica»
Sulla questione dei porti Gianni Onorato di Costa Crociere, Domenico Pellegrino di MSC Crociere e Gianni Rotondo di RCCL Italia si sono confrontati con Edoardo Monzani di Stazioni Marittime Genova e Roberto Perocchio di Venezia Terminal passeggeri.
Se le compagnie entrano nella gestione dei terminal crociere è per garantirsi servizio e qualità, non altri utili: su questo hanno insistito Onorato e Pellegrino, parlando di prezzi al consumo per la crociera quasi invariati dagli anni ’80, tendenzialmente appiattiti al ribasso mentre il carburante, variabile ingestibile, è diventato più costoso del lavoro. «Le nuove navi costano almeno 500 milioni di euro ciascuna – ha detto Onorato – alle compagnie servono profitti che garantiscano il supporto del credito».
Nel conto dei costi entrano le tariffe portuali, con picco per i servizi tecnico-nautici: qui, ha ammesso Perocchio, i porti nei momenti di grande euforia del mercato hanno cavalcato le crociere, con le quali ora invece condividono il calo di margini. Proprio ora che la crescita della domanda, e delle navi, impone investimenti strutturali: «le compagnie vogliono servizi e pagarli poco. Mentre per servire – ha ripetuto Monzani – il porto deve spendere», ad esempio per il cold ironing, che taglia drasticamente le emissioni di CO2 delle navi in porto, e per attrezzarsi ad accogliere le navi durante l’inverno, ad esempio le tre grandi unità di MSC che toccano Venezia per tutta la stagione.
Allora il rischio, ha denunciato Pellegrino, è che le compagnie riducano le toccate per tagliare costi portuali, esaltando la nave come prima destinazione della crociera, a danno del territorio e dell’indotto: se è vero che in Italia almeno 60 porti – secondo alcuni oltre 80 – vantano una vocazione crocieristica, «tutti restano privi di governance e strategia nazionale – ha protestato Pellegrino – oggetto di investimenti che non rispondono ad alcuna logica di sistema. Dove servono interventi non se ne fanno, e se ne fanno altrove. I porti restano territorio di conquista della politica, che distribuisce nel management poltrone prive di competenze».
«Mentre invece in Italia ora c’è davvero bisogno di fare squadra», ha insistito Gianni Rotondo, country manager di RCCL, che nel 2011 ha toccato l’Italia con 19 navi, delle quali sette in partenza da porti italiani. «Perché è vero che l’Italia ha forte appeal – ha aggiunto – ma se un eccesso di offerta comprime i margini le navi si muovono, vanno a cercare la domanda dov’è», confermando tra l’altro l’imminente destinazione di Voyager of the Seas al mercato cinese.
La quota è troppo bassa, ma ‘aggancia’
Altro snodo chiave toccato nell’analisi di Di Cesare è la distribuzione, trattato a Venezia da una sessione intitolata “L’arte di vendere crociere”: moderata da Cristina Ambrosini, direttore de L’Agenzia di Viaggi, con Alessandra Cabella per Silversea, Luca Battifora per il network G40, Gian Paolo Vairo per Welcome Travel Group, Federico Costa con il suo cruiser operator Top Cruises, Giampaolo Romano per CartOrange, rete di agenti homebased.
Condivisa ormai la certezza che la vendita di crociere, prodotto complesso e vario, richiede l’impegno di un adv competente, il dibattito ha raccolto il sasso lanciato in sessione plenaria da Eliseo Capretti, adv da un milione di euro l’anno fatturato in crociere con i suoi sette punti vendita Ocean Viaggi: i prezzi, ha protestato Capretti, sono scesi troppo, sviliscono il prodotto e il lavoro delle agenzie. Fenomeno innescato da ansia da riempimento, come l’ha onestamente definita Domenico Pellegrino, in una stagione che per la prima volta ha imposto ai vettori, dopo anni di forte early booking, la gestione di un’ondata di vendite sotto data, mentre peraltro il turismo organizzato perdeva nel complesso 1,5 milioni di passeggeri.
«Proprio ora invece – ha notato Battifora – sarebbe il momento di dedicare più investimenti alla distribuzione, che processa il 90% delle vendite. Soprattutto a quella che una volta alzata la serranda i clienti li va a cercare, e non resta ad aspettare».
A gratificare il trade ora pensa Silversea – top di gamma con un cliente «pronto a spendere ma non a farsi tradire», come ha sottolineato Cabella – che commissiona il prezzo finito della crociera. «Tutti i vettori vorrebbero vendere B2C – ha detto Cabella – ma tutti hanno bisogno dell’intermediazione, come ne hanno bisogno i tour operator».
In più ora, nel contesto dominato dal duopolio dei leader, il trade conta sull’ampia gamma offerta dai cruiser operator come Top Cruises: «Per dare a ogni cliente il suo prodotto ideale – ha sottolineato Federico Costa – impegnandoci tutti senza risparmio, perché senza volontà di apprendere ogni sforzo è vano in questo mestiere di numeri e passione». Sul cliente, che visitano a casa sua, sono forse in vantaggio gli adv di CartOrange, privi di negozio ma costretti dal format di vendita a una formazione inappuntabile o quasi.
E tuttavia ora, per un prodotto che in questi mesi ha garantito la sopravvivenza delle agenzie in aree estese del mercato, dalla Sicilia al Triveneto, il prezzo ridotto non si può snobbare: del tutto in controtendenza la considerazione di Gian Paolo Vairo, ad di Welcome Travel Group. «Può essere l’occasione per agganciare il cliente – ha detto – l’obiettivo prioritario è portare gente in agenzia. Vero peraltro che in termini di pricing il mercato italiano non è ancora maturo, soggetto a un duopolio isterico. Piuttosto ora spingiamo la produzione a semplificare davvero il processo di vendita. Chiediamo alle compagnie una sensibilità commerciale più evoluta. Fermo restando che l’equilibrio si costruisce sempre dopo la rivoluzione, e allora vanno bene anche i 190 euro per la minicrociera di tre notti».