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Emozioni Sudafricane e relax a Mauritius

gimale

Well-known member
Eccomi qui pronta a raccontarvi questo nuovo viaggio. Ormai chi mi ha seguito nei miei diari precedenti sa che alterno crociere ad altri tipi di viaggio. Questo è uno di quelli.

Se ho fatto questo viaggio è “colpa” di Roberto B. e del suo diario del giro del mondo 2024: quando ho visto le fotografie fatte in Sudafrica ho subito pensato “devo andarci anche io!”

In realtà per quest’anno era in previsione il viaggio in Canada ma convincere la mia “altra metà” a cambiare meta non è stato affatto difficile; ho dovuto solo cedere alla richiesta di prolungare la vacanza con qualche giorno a Mauritius, e come si fa a dire di no?!!

Così, quando siamo andati a ritirare i biglietti per il viaggio in Uzbekistan ho chiesto alcuni cataloghi e mi sono messa alla ricerca del viaggio che più si addiceva alle mie aspettative. Mi sono rivolta ad un tour operator specializzato in mete africane ed in particolare in Sudafrica. Il viaggio scelto prevedeva anche una estensione a Mauritius: perfetto!

Contattato direttamente, il tour operator mi indirizzata alla agenzia più vicina a dove vivo e a Novembre 2024 è iniziato il lavoro di organizzazione. In realtà ha fatto praticamente tutto l’agenzia sempre venendo incontro alle mie richieste. Ad esempio i voli prevedevano un lungo scalo notturno a Dubai e l’arrivo a Johannesburg troppo tardi per poter effettuare la vista di Soweto; ho cercato una alternativa ed ho trovato un volo sempre da Malpensa fino a Zurigo e poi da Zurigo diretto a Johannesburg: con questo volo notturno avremmo potuto riposare e arrivare a Johannesburg in tempo per le escursioni.

Abbiamo scelto gli Hotel dove soggiornare in particolare a Cape Town e a Mauritius e dopo qualche giorno ricevo la telefonata dalla agenzia e mi chiedono “ha problemi se invece di tornare il 30 giugno tornerete il 1° Luglio?” subito ho pensato che ci fosse qualche problema sul viaggio scelto e che dovesse essere cambiato l’itinerario; alla mia risposta che sarebbe stato lo stesso mi hanno detto: “ benissimo perché il resort di Mauritius ha una promozione e vi regala una notte in più!”

Definito tutto ho iniziato ad informarmi su temperature, abbigliamento e cose da vedere a Mauritius; ho visitato i siti di tutti gli hotel e preso appuntamento con il servizio di medicina dei viaggi della nostra ASL. Ad aprile abbiamo fatto la visita ed, avendo già fatto le principali vaccinazioni lo scorso anno per il viaggio in Perù, ci hanno consigliato solo il vaccino per il colera. Ci hanno consigliato anche di parlare con il nostro medico per una eventuale profilassi anti-malarica visto che la zona del Parco Kruger è a rischio.​

Ed è iniziato il conto alla rovescia interrotto dalla crociera con Musica nel mediterraneo fino a Lisbona per festeggiare il mio compleanno. Il tempo di fare qualche lavatrice ed ecco che dopo 10 giorni dal rientro è arrivato il momenti di rifare le valigie.
 
Il 16 giugno siamo partiti dalla Liguria per raggiungere Malpensa; siamo arrivati in anticipo non avendo, stranamente, trovato nessun rallentamento ma Swiss Air aveva già aperto il check in e in brevissimo tempo eravamo già in prossimità del gate. Ci siamo sistemati nella lounge per aspettare l’inizio dell’imbarco e poi il viaggio è iniziato!

Sono un paio di anni che per i viaggi aerei lunghi, e soprattutto se si svolgono di notte, scegliamo la business. Ormai iniziamo a “patire” un po’ la stanchezza da viaggio e la business ci permette di arrivare a destinazione decisamente riposati e pronti a sfruttare al meglio la giornata.

Iniziamo la prima parte del viaggio fino a Zurigo dove avremo il volo diretto per Johannesburg che raggiungeremo dopo circa 12 ore di volo notturno. Arriviamo a Zurigo che è ancora chiaro e poco prima dell’atterraggio ammiro il paesaggio sottostante caratterizzato da piccoli villaggi e campi coltivati. Arriviamo in perfetto orario e ci risistemiamo nella lounge per cenare rima di salire a bordo del secondo aereo mentre fuori inizia ad imbrunire e si accendono le luci sulle piste.

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Finalmente sul tabellone del gate compare l’indicazione del volo per Johannesburg e appena inizia l’imbarco siamo tra i primi a salire a bordo. Il tempo di decollare e appena si spegne il segnale delle cinture allacciate, posizioniamo il sedile in modalità “letto”, indossiamo mascherina e tappi per le orecchie e buonanotte. A parte un breve risveglio a causa di una forte turbolenza, ho dormito fino alle 7.30 quando ci hanno svegliato per la colazione. Mancavano ancora due ore all’arrivo ed ho iniziato a guardare il continente Africano dall’alto.

Eravamo sopra una zona pianeggiante dove erano presenti diversi laghi più o meno grandi; poco dopo ho iniziato a scorgere colline disposte in file parallele velate da nuvole sottili che avevano un che di fiabesco: ma forse era solo la mia emozione per l’arrivo in Africa atteso da tanti mesi.

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L’aereo inizia la fase di avvicinamento alla pista sorvolando il centro abitato vicino al quale si trova l’aeroporto internazionale OR Tambo a circa 20 km dal centro di Johannesburg.

Una volta atterrati abbiamo perso un po’ di tempo per fare una denuncia per avere il rimborso per una valigia arrivata completamente sfondata e in parte aperta: per fortuna non era uscito nulla e avevamo ancora tutta la nostra roba. Finalmente usciamo e ci dà il benvenuto la statua di Oliver Reginal Tambo a cui è intitolato l’aeroporto. Tambo è stato un politico sudafricano fondatore, insieme a Mandela e a Sisulu, del movimento e partito anti- apartheid. Lì, sotto la statua, incontriamo una addetta del tour operator che ci spettava per darci le prime informazioni, aiutarci nel cambio di un po’ di euro in rand sudafricani e per accompagnarci al taxi che in circa mezz’ora ci ha portato in hotel.​

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La zona in cui si trovava il nostro albergo è Sandton, il centro finanziario e commerciale della città. Negli anni ’80 del secolo scorso le più grandi banche e società finanziarie di Johannesburg si spostarono dal centro città di allora in questo sobborgo dove praticamente non c’era nulla se non qualche modesta abitazione e tanti campi più o meno incolti. Sembrò una operazione destinata a fallire invece la città si sviluppò inglobando questo quartiere che diventò di fatto il nuovo downtown di Johannesburg.

Intorno a noi alti grattacieli che ospitano tra l’altro la Banca di Cina, alcune banche sudafricane, la Borsa e moltissimi alberghi a 5 stelle. Saremo alloggiati in uno di questi.

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Nella hall troviamo Franc (si proprio scritto con la c) che ci accompagnerà in questa prima parte del viaggio dimostrandosi una guida molto preparata. Il tempo di salire in camera, veramente bellissima, e poi giù nel centro commerciale collegato direttamente con l’albergo per acquistare una nuova valigia per sostituire quella distrutta.

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Il centro commerciale si sviluppa su 3 piani + il parcheggio ed è veramente immenso. Al piano collegato con l’hotel si trovano tutti i brand di lusso, molti italiani; al piano immediatamente sotto ci sono soprattutto bar, ristoranti e fast food e al piano ancora sotto negozi e supermercati. Trovata la valigia nuova, e sgranocchiato qualche snack ci siamo incontrati con Franc per la prima escursione della giornata e per incontrare i primi compagni di viaggio che si sono uniti a noi.
 
Continuo il racconto.....

Con un pulmino privato abbiamo intrapreso il viaggio verso Soweto, sobborgo divenuto famoso perché qui visse Nelson Mandela. Il tragitto dura circa 40 minuti visto che Soweto si trova ad oltre 30 km dal centro di Johannesburg. Abbiamo attraversato una zona della città in cui si vedono praticamente due città differenti a destra e a sinistra. A destra si trovano costruzioni basse e ancora qualche scavo. Si tratta della zona che per lungo tempo è stata sfruttata per l’estrazione dell’oro. Qui nella zona di Johannesburg sono state scavate moltissime miniere per estrarre l’oro e ancora oggi il Sudafrica è il maggiore produttore di oro al mondo. In questa zona il sottosuolo è quasi tutto scavato e il terreno può sostenere solo piccole costruzioni e non certo dei grattacieli.

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Dalla parte opposta si trova il vecchio centro di Johannesburg dove sorgono grattacieli abbandonati da anni e occupati abusivamente.

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In questa immagine si vedono decine e decine di piccoli van; a Johannesburg non esiste un sistema di trasporto municipale e gli spostamenti tra una parte e l’altra della città, per chi non ha o non vuole usare un mezzo proprio, sono assicurati da tanti piccoli padroncini che circolano per la città caricando per strada le persone, raggruppando chi va nella stessa direzione. Siccome più viaggi fanno e persone portano, più guadagnano, la loro guida è piuttosto spericolata. Comunque il traffico è veramente caotico anche perché molti semafori non funzionano. La nostra guida ci spiega che questi semafori hanno tutti al loro interno delle sim che permettono di comunicare con le centrali operative di regolazione del traffico. Spesso, soprattutto al venerdì sera, le sim vengono rubate e i semafori smettono di funzionare e dalle centrali si accorgono dei furti solo al lunedì mattina.

Lungo le strade della periferia si trovano banchetti dove si vendono alimenti e bevande e moltissimi autolavaggi e gommisti dove spesso si vede anche un barbecue: intanto che si aspetta che l’auto sia lavata o le gomme cambiate viene offerto un pasto a base di carne alla brace.

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Ma eccoci a Soweto: l’ingresso nel sobborgo è segnalato da queste che vengono chiamate Soweto Towers e che sono i camini di una vecchia centrale a carbone ora dismessa. E’ stata presa in concessione da un giovane imprenditore che ha trasformato la struttura in una sorta di parco giochi dove è possibile fare il bungee jumping proprio tra le due torri. La guida ci ha detto che nel weekend c’è pieno di gente.

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Ci addentriamo in Soweto. Qui vivono circa 4.000.000 dei 12.000.000 che abitano nella zona di Johannesburg.

Ci si rende subito conto che qui vivono le persone più povere e ci dicono molti immigrati da altri stati africani.
 
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Qui si trovano case molto modeste o addirittura vere e proprie baracche accanto a villette con tutti i confort. Questo perché le persone che nascono qui anche se poi riescono a sollevare la propria condizione economica non abbandonano il quartiere ma ricostruiscono la casa. Una caratteristica di Soweto è anche che le case sono numerate progressivamente indipendentemente dalla via in cui sorgono e spesso le vie non hanno un nome. Perciò quando un abitante di Soweto deve dare l’indirizzo di casa propria dà il numero della casa, il nome del quartiere (ad esempio Orlando) e poi qualche altro dettaglio per poterla trovare.

Il nome Soweto è la contrazione di South Western Township e il sobborgo si è sviluppato a partire dal 1886 quando vennero aperte le prime miniere d’oro. La richiesta di manodopera fece confluire moltissime persone di colore nella zona. Nel 1904, ufficialmente per contenere una epidemia di peste, ma in realtà una anticipazione dell’apartheid, i neri vennero confinati al di fuori dei confini municipali. Altre zone vennero destinate alle abitazioni dei neri nel 1918 e poi negli anni ’40 quando molti vennero richiamati dallo sviluppo industriale. Tutti questi sobborghi crebbero fino a diventare un tutt’uno e se inizialmente si trovavano abitazioni modeste in seguito, con l’afflusso sempre maggiore di persone sorsero delle vere e proprie baraccopoli.

Soweto è anche sede di uno degli ospedali più grandi al mondo; costruito durante la seconda guerra mondiale per curare i soldati inglesi feriti è stato aperto nel 1948 alla popolazione.

La via più famosa di Soweto e una delle poche ad avere un nome è Vilakazi Street. Qui vissero due premi Nobel per la pace: Nelson Mandela e il vescovo Desmond Tutu. Ora è una vera e propria attrazione turistica con ristoranti, locali dove si suona e qui si trova la casa di Mandela.

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Mandela è il simbolo della lotta all’apartheid e fu il primo presidente di colore del Sudafrica. La casa dove Mandela abitò con la prima moglie è oggi un piccolo museo. La casa fu abitata dalla seconda moglie Winnie durante i 27 anni di prigionia di Nelson. Quando fu liberato Mandela ritornò qui ma le divergenze con la moglie fecero sì che i due si separassero si dice addirittura dopo soli 10 giorni dal ricongiungimento.

La casa è costituita da sole 4 piccole stanze e da un cortiletto esterno e all’interno si trovano oggetti e fotografie degli episodi salienti della vita di Mandela. I mobili ad eccezione del suo letto non sono quelli originali.


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All'interno della casa si trovano cimeli e fotografie che ripercorrono i momenti salienti della vita di Mandela

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La foto di quando dopo la liberazione incontrò Fidel Castro e la fotografia di quando in segno di protesta bruciò il documento che tutti i neri dovevano avere in ottemperanza alle leggi razziali.

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A questo punto mi sembra opportuno fare una breve digressione sulla storia del Sudafrica anche per capire l’origine dell’apartheid.

I primi a popolare il Sudafrica furono i Boscimani circa 100.000 anni fa e i primi europei ad arrivare furono i portoghesi. Durante il XV secolo, con l’espandersi dell’impero ottomano in oriente, si cercava una nuova via attraverso il mare per raggiungere le Indie da cui soprattutto venivano importate le spezie. Gli Spagnoli si affidarono a Cristoforo Colombo che partì verso ovest mentre i Portoghesi cercarono la via per le Indie navigando lungo le coste africane.

Nel 1434 raggiunsero Capo Bojador sulla costa del Sahara a sud delle isole Canarie; 12 anni dopo arrivarono a Bissao in Guinea. Man mano che scendevano lungo le coste, prima di ritornare indietro, piantavano una croce in modo da segnalare fin dove erano arrivati. Ci vollero ancora circa 50 anni prima che Bartolomeo Diaz ritenne di aver doppiato la punta più meridionale del continente africano, dopo una terribile tempesta, e chiamò questa zona Capo delle Tempeste. Il Capo venne rinominato da re Giovanni II “Capo di Buona Speranza” poiché finalmente si intravedeva la possibilità di raggiungere le Indie.

E finalmente nel 1497 Vasco De Gama doppiò effettivamente la punta più meridionale dell’Africa e un anno dopo arrivò a Calcutta.

I Portoghesi non si fermarono in Sudafrica, semplicemente sbarcavano durante i viaggi per rifornirsi di acqua e cibo; i primi veri colonizzatori furono gli Olandesi nel 1652 che costruirono nella zona del Capo un vero centro di rifornimento per le navi della Compagnia delle Indie ed iniziarono a sfruttare le foreste di ebano.

Numerosi furono gli scontri con le popolazioni indigene man mano che gli olandesi avanzavano verso l’interno costruendo fattorie e bonificando i terreni.

Tra il ‘700 e ‘800 la popolazione bianca crebbe enormemente attirata dalle ricchezze del paese ma crebbe anche la popolazione nera costituita prevalentemente da schiavi provenienti dai paesi più a nord.

Alla fine del 1700 arrivarono nella zona del Capo anche gli inglesi che iniziarono a scontrarsi con gli Afrikaner (coloni Boeri di origine olandese) che ritenevano di essere i veri padroni di quelle terre. Intanto crescevano anche le tensioni tra gli Inglesi e gli Zulu, tensioni che sfociarono nella guerra Anglo-Zulu del 1879 che si concluse con la vittoria inglese. Per non essere impegnati su due fronti ai Boeri fu permesso di fondare due repubbliche indipendenti: l’Orange Free State e in Transvaal.

Con la scoperta dei giacimenti di diamanti e d’oro vennero richiamate in Sudafrica moltissime persone dall’Europa e molti dalle campagne si spostarono nelle città che stavano crescendo attorno alle miniere. Questa corsa “all’oro” portò a nuovi scontri tra Inglesi e Boeri che a fasi alterne si protrassero dal 1880 al 1903 con la vittoria inglese.

Nacque l’Unione Sudafricana e ai Boeri fu riconosciuto un certo ruolo di indipendenza politico-amministrativa. Le popolazioni indigene furono invece completamente tagliate fuori dalla vita politica e amministrativa del paese e i neri fondarono l’African National Congress per difendere i propri diritti. D’altro canto gli Afrikaner fondarono il National Party che salì al potere nel 1948 e che promulgarono leggi sempre più restrittive privando i neri di qualsiasi diritto.

Iniziò il periodo dell’apartheid che diede origine a sanguinosi scontri e violenze , arresti di massa e omicidi e nel 1964 Nelson Mandela, allora leader del ANC fu incarcerato e fu liberato solamente 27 anni dopo.

 
Una delle repressioni più dure fu quella commemorata in Hector Pieterson Square.


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Nel 1976 venne promulgata la legge che vietava nelle scuole l’utilizzo delle lingue native come lo zulu e l’introduzione al loro posto dell’afrikaans e dell’inglese parlato dalla popolazione bianca. Il 16 giugno 1976 gli studenti scesero in piazza protestando pacificamente. Fu mandata la polizia ad impedire la manifestazione; inizialmente furono lanciati lacrimogeni e furono aizzati i cani contro i ragazzi che iniziarono a lanciare delle pietre. A quel punto furono mandati altri 1700 poliziotti con l’ordine di fermare la protesta ad ogni costo e così si iniziò a sparare sui ragazzi. Ufficialmente i morti furono 23 ma alcune fonti parlano di almeno 700 morti.

Uno dei primi a cadere fu Hector Pieterson di soli 12 anni, il cui corpo fu raccolto da un compagno di scuole che corse nel disperato tentativo di salvarlo. Questa scena fu immortalata in uno scatto di un reporter che, dopo la pubblicazione, ricevette dure minacce dalla polizia e per questo fu costretto a nascondersi temendo per la propria vita.

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In questa piazza il 16 giugno 1976 viene commemorato con un monumento ad Hector ed ogni 16 giugno qui in Sudafrica è la festa della gioventù.

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Solo nel 1989 la situazione mutò con l’elezione del Presidente De Klerk che fece rilasciare Mandela nel 1991 ed indisse nel 1994 le prime elezioni libere del Sudafrica in cui poterono votare anche i neri. Il partito di Mandela vinse con una maggioranza schiacciante e divenne il primo presidente nero del Sudafrica.

Oltre alla piazza dedicata a Hector, un altro luogo simbolo delle proteste contro l’apartheid è la chiesa Regina Mundi. Qui dopo le messe e addirittura dopo i funerali si svolgevano in segreto vere e proprie riunioni politiche.

La chiesa è la più grande chiesa cattolica del Sudafrica e può accogliere 5000-7000 fedeli. A causa del ruolo che ha svolto come luogo di ritrovo per la popolazione di Soweto negli anni prima, durante e dopo la lotta contro l'apartheid , è spesso definita "la chiesa del popolo" o "la cattedrale del popolo. Qui si rifugiarono molti dei ragazzi il 16 giugno 1976; la polizia entrò anche in chiesa sparando. Molte persone furono ferite e gli arredi della chiesa danneggiati ma non ci furono miracolosamente dei morti.

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Le vetrate sono decorate con scene della vita di Maria e sono state donate dalla Polonia nel 1998

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Uno dei reperti più importanti della chiesa è il dipinto intitolato "La Madonna col Bambino di Soweto". Il dipinto fu creato dall'artista Larry Scully nel 1973, come parte di una campagna per raccogliere fondi per l'istruzione dei sudafricani neri . Il dipinto fu poi acquistato da un benefattore e donato alla chiesa. Un elemento altamente simbolico del dipinto è un grande occhio proprio sotto la Madonna Nera. Secondo il giornalista Mpho Lukoto del quotidiano The Star , la pupilla dell'occhio rappresenta la cittadina di Soweto; due forchette dirette verso la pupilla dai lati rappresentano la violenza usata contro la popolazione di Soweto durante l'era dell'apartheid, e la croce al centro della pupilla rappresenta la Chiesa che illumina le persone di speranza.​


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Qui sotto una targa che ricorda il 16 giugno 1976

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