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Costa Deliziosa 21/11/2025-11/04/2026 Giro del Mondo.

La nostra visita di oggi inizia da un luogo particolare la cui sagoma compatta, con i tetti di tegole rosse e il campanile che si staglia contro il cielo, visibile da lontano, praticamente da qualsiasi angolo della città, ci aveva attratto già in una precedente nostra sosta qui a Cartagena de Indias. Si tratta del convento che oggi tutti conoscono come “Convento de la Popa”, ma il cui nome completo è: Convento de Nuestra Señora de la Candelaria de la Popa de la Galera.

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Sorto sulla sommità del Cerro de la Popa, la collina più alta di Cartagena de Indias, il complesso appare come una terrazza bianca sospesa tra il cielo e il Mare dei Caraibi.

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La strada che sale al convento si arrampica tra curve e scorci panoramici improvvisi fino a raggiungere il piazzale, dove il vento è più fresco e il brusio della città arriva solo come un’eco distante. Una volta varcato l’ingresso, la vita moderna sembra restare alle spalle: la struttura conserva la sobrietà dell’architettura coloniale, con facciate imbiancate a calce, archi lineari e un chiostro quadrato che si apre su un patio centrale rigoglioso di piante tropicali. In questo cortile interno, animato da una piccola fontana, il silenzio è rotto soltanto dai passi dei visitatori e dal fruscio delle foglie, creando un’atmosfera di raccoglimento che contrasta con il dinamismo della città sottostante.

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La chiesa del convento è semplice e raccolta, disposta in modo da accompagnare lentamente lo sguardo verso l’altare maggiore. Qui domina un retablo dorato che custodisce l’immagine venerata di Nuestra Señora de la Candelaria, patrona della città, circondata da candele, ex voto e piccoli oggetti devozionali offerti dai fedeli. Ogni anno, soprattutto nel mese di febbraio, il santuario si anima di pellegrini che risalgono la collina per partecipare alle celebrazioni in onore della Vergine, portando con sé preghiere, richieste e ringraziamenti, in una tradizione che rinnova il legame profondo tra il luogo sacro e la comunità.

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La storia del Convento de Nuestra Señora de la Popa affonda le radici nei primi decenni del Seicento, quando i religiosi vi si insediarono dando una nuova identità a un’altura circondata da racconti di culti antichi e presenze demoniache. Nel corso dei secoli il convento conobbe momenti di splendore e periodi difficili: fu testimone di assedi, di scorrerie di pirati, delle lotte per l’indipendenza, e servì di volta in volta da rifugio, avamposto strategico, luogo di preghiera e di resistenza. Oggi, dopo vari restauri, accoglie i visitatori non solo come santuario, ma anche come piccolo museo, dove dipinti, oggetti liturgici e ambienti conservati permettono di ripercorrere la memoria religiosa e storica di Cartagena, sempre sotto lo stesso cielo che il convento contempla, immobile, dalla sua altura.

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Ma l'attrattiva maggiore di questo luogo sacro è anche un'altra: il panorama che da qui si apre in una visione circolare che abbraccia tutta Cartagena, dal cuore coloniale alle propaggini moderne affacciate sul mare.

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Dalla terrazza e dal piazzale antistante il santuario lo sguardo scende lungo i pendii del Cerro de la Popa, supera i quartieri popolari e arriva fino alla città murata, riconoscibile per il profilo irregolare delle fortificazioni e per il reticolo di tetti bassi e colorati che si stringono attorno alle cupole delle chiese.

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Verso il mare, a sinistra, si allunga la sottile lingua di sabbia di Bocagrande con i suoi grattacieli, che formano una barriera di vetro e cemento proiettata nella baia, mentre più in là si distinguono il porto commerciale, le gru, le navi ancorate e, nelle giornate limpide come questa, la sagoma lontana delle isole del Rosario sull’orizzonte caraibico.

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Ruotando lo sguardo verso l’interno, il paesaggio cambia: si vedono la laguna di Cartagena, le zone residenziali più recenti e la periferia che si perde nella pianura costiera, in un susseguirsi di tetti, strade e macchie verdi che fanno da cornice alla città storica.

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Lasciata la tranquillità del colle della Popa, ci spostiamo su di un'altura meno pronunciata e più vicina alla città antica murata: il colle di San Lázaro. Qui sorge il Castillo de San Felipe de Barajas, che si erge imponente sul colle dominando la città con la sua possente sagoma triangolare che sembra scolpita nella roccia viva, come un gigante addormentato che veglia sulla baia caraibica.

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La sua posizione strategica, a circa 41 metri sul livello del mare, fu scelta con cura dagli spagnoli per controllare sia gli accessi terrestri che quelli marittimi, offrendo una vista panoramica su mura, porto e oceano che rendeva impossibile qualsiasi sorpresa da parte di pirati o flotte nemiche.

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La costruzione del castello iniziò nel 1536 su progetto dell'ingegnere militare Antonio de Arévalo, ma fu tra il 1639 e il 1657, sotto il viceré Pedro Zapata de Mendoza, che assunse la forma attuale, con successive espansioni fino al 1767 grazie al lavoro di manodopera africana sotto supervisione spagnola. Nato come Castillo de San Lázaro e rinominato in onore di Filippo IV di Spagna, questo baluardo resse assedi feroci: nel 1697 cedette ai francesi di Pointis, ma fu riparato; nel 1741, durante la Battaglia di Cartagena, l'ammiraglio Blas de Lezo lo usò per umiliare la flotta britannica di Edward Vernon, salvando la città con soli 3.000 uomini contro 27.000 nemici.

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Strutturalmente, il castello è un capolavoro di ingegneria coloniale: mura spesse e oblique che si assottigliano verso l'alto formano un sistema difensivo a "profondità", con otto batterie di cannoni a tiro incrociato – le più imponenti Santa Bárbara, San Carlos e Los Apóstoles – collegate tra loro da camminamenti protetti e congegnate in modo tale da risultare impossibile conquistarne una senza esporsi al tiro di almeno un'altra.

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Un labirinto di gallerie sotterranee, lunghe e acusticamente progettate per trasmettere suoni e ordini, permetteva di spostare truppe, munizioni e polvere da sparo in sicurezza e senza esporsi al tiro nemico, mentre rampe a zig-zag e cisterne per l'acqua assicuravano l'autosufficienza durante assedi prolungati.

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Ora però è il momento di tornare a immergerci nella frenetica e vivace realtà della città di Cartagena. E dove farlo meglio di Getsemaní?

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Getsemaní è il quartiere che pulsa come un cuore ribelle a due passi dalla patinata città murata, un’esplosione di colori accesi e vita cruda che ti cattura dal primo passo oltre la Porta dell’Orologio. Qui le facciate coloniali del XVII secolo, basse e vissute, si vestono di murales vividi e giganteschi – farfalle arcobaleno, madonne afro-caraibiche, slogan contro la gentrificazione – trasformando ogni vicolo in un museo a cielo aperto dove l’arte urla storie di resistenza, identità nera e sogni popolari.

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La vita di strada è un carnaval perpetuo: al centro batte Plaza de la Trinidad, la piazza che non dorme mai, circondata da caffè addobbati con pacchiane decorazioni natalizie e animata da nonne sulle sedie di plastica che sorseggiano caffè, bambini che calciano palloni logori e venditori ambulanti che friggono arepas con uova o pan de bono caldo, profumato di formaggio e anice. Di giorno, artisti di strada suonano champeta e salsa choke da altoparlanti improvvisati, mentre la birra Aguila ghiacciata passa di mano in mano tra locali e viaggiatori, in un’atmosfera easy dove un sorriso caraibico scioglie ogni barriera.

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Getsemaní, sorto nel XVII secolo come sobborgo popolare al di là delle mura della città vecchia di Cartagena de Indias, nacque per ospitare schiavi liberati, artigiani e classi umili escluse dal centro fortificato, evolvendosi da quartiere marginale a cuore pulsante della resistenza popolare . La sua storia si intreccia con le lotte anticoloniali: già durante gli assedi dei pirati e degli inglesi, gli abitanti difesero più volte la città con armi improvvisate, ma fu nel 1811 che Getsemaní divenne leggendario, quando un gruppo di patrioti capeggiati da Alfonso Guerra e José Fernández Madrid si riunì segretamente nella Plaza de la Trinidad per proclamare l'indipendenza dalla Spagna, il giorno 11 novembre, in un grido di libertà che anticipò di un giorno la rivolta ufficiale.

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Quel nesso con l'indipendenza trasformò la piazza in simbolo eterno: oggi un obelisco e una targa commemorano l'evento, mentre il convento di San Francisco de Asís, testimone silenzioso di quelle cospirazioni, veglia ancora sull'angolo dove si accesero le scintille della ribellione.

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La nostra visita dura ormai da molte ore, il caldo e la fatica cominciano a farsi sentire. Non possiamo però andarcene senza almeno una passeggiata nella città murata...

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Arrivando da Getsemaní, entriamo in città dalla porta sotto la torre dell'orologio.

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Dovunque attorno a noi ricche decorazioni natalizie, che stridono, almeno per noi, con i 36 gradi della giornata di oggi...

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Anche attorno alla cattedrale e in plaza de Bolívar stesso spettacolo... ormai ci stiamo abituando a questa strana atmosfera natalizia tropicale...

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... a questo punto quasi ci dispiace di non riuscire a vederle accese tutte queste luminarie, questo tripudio di luci natalizie...
Oggi non è possibile... ma per i prossimi giorni cercheremo di rimediare...

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Ritorniamo verso la nave un poco stanchi, molto accaldati, ma sicuramente soddisfatti di questa bella giornata a Cartagena de Indias.
Prima di tornare in nave ci godiamo la vista dei molti e coloratissimi uccelli che si trovano nell'area del terminal crociere: un assaggio della incredibile fauna di questo paese.

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Come al nostro arrivo stamattina, la nave scivola sull'acqua passando in rassegna il folto drappello di grattacieli di Boca Grande. Tutti allineati come soldatini di piombo impettiti e sull'attenti.
La luce però è completamente cambiata: ora un sole ancora caldissimo, ma ormai prossimo al tramonto, colora d'oro il cielo e di riflessi di bronzo e di grafite le superfici degli alti edifici, disegnandone con perizia i contorni, quasi come ritagliandoli, taglienti, dallo sfondo luminoso.

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Poi sarà la notte. Quella notte che ci condurrà domani a Colon, Panamá.
 
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