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Il mare che inquieta, il mare che chiama. Diario di una crociera tra Mediterraneo e Atlantico a bordo di Celebrity Equinox 11 – 20 settembre 2025

Stato
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lusitania1915

Well-known member

Il mare che inquieta, il mare che chiama


Diario di una crociera tra Mediterraneo e Atlantico​

a bordo di Celebrity Equinox
11 – 20 settembre 2025





Itinerario


  • 11/09 – Barcellona (partenza 17:00)
  • 12/09 – Navigazione
  • 13/09 – Cadice (08:00 – 17:00)
  • 14/09 – Lisbona (arrivo 09:00, overnight)
  • 15/09 – Lisbona (partenza 18:00)
  • 16/09 – Porto (Leixões) (08:00 – 19:00)
  • 17/09 – Navigazione
  • 18/09 – Tangeri (08:00 – 18:00)
  • 19/09 – Navigazione
  • 20/09 – Barcellona (arrivo 05:00)

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"Viaggiare? È partire da ciò che si è, non da dove si è."
(Fernando Pessoa, Libro dell’inquietudine)


Genova ci ha salutati con pioggia battente e cielo plumbeo, in una giornata segnata da allerta arancione. Non la partenza più dolce, certo, ma in fondo ogni viaggio sembra volerci mettere alla prova prima di regalarci orizzonti nuovi. Noi tre — io, mio marito e nostro figlio, che ha appena compiuto dieci anni — siamo ormai abituati: lui è il vero crocierista della famiglia, capace di ricordare ponti, navi e itinerari con una precisione che noi non abbiamo mai avuto. Negli ultimi anni siamo arrivati a una media di tre crociere l’anno: per lui il mare è casa, per noi due un po’ rifugio, un po’ avventura.

Un volo ci porta a Barcellona, da dove il nostro viaggio inizierà davvero. Prima dell’imbarco sull’Equinox, abbiamo deciso di regalarci due giorni nella città catalana. Soggiorniamo all’Eixample, con le sue strade ordinate e la sua aria cosmopolita.

Visitiamo Casa Vicens, opera giovanile di Gaudí che ancora non avevamo visto: colori vivaci, dettagli orientaleggianti, un dialogo continuo con la natura che preannuncia i suoi capolavori futuri. Passeggiando nel quartiere di Gràcia, respiriamo un’atmosfera diversa: piazze raccolte, vita di quartiere, piccole botteghe e caffè animati. Una Barcellona meno turistica, più intima, quasi sospesa tra passato e presente. Abbiamo deciso che la prossima volta soggiorneremo in questo quartiere.

Non poteva mancare un passaggio davanti alla Sagrada Família: il cantiere infinito continua a crescere come una cattedrale che non si decide a svelarsi del tutto. Ogni volta troviamo nuove guglie, nuovi dettagli, eppure resta sempre incompiuta, come un sogno che non vuole finire.

Mio figlio reclama a gran voce una tappa obbligata: la via delle cioccolaterie ossia Carrer de Petrixol, con churros caldi da intingere in cioccolata densa e profumata. È diventato un rito che ormai segna le nostre partenze da Barcellona, una piccola tradizione familiare che ci accompagna verso il mare. Concludiamo con un po’ di shopping: niente di speciale, ma il gesto stesso è parte del viaggio, un modo per trattenere l’attesa, inoltre sapendo di muoverci verso l'Atlantico abbiamo il timore che possa piovere e quindi ci prendiamo dei k-way.

L’11 settembre ci imbarcheremo finalmente, lasciando alle spalle la terraferma. Ancora poche ore ci separano dal momento in cui il mare comincerà a chiamarci davvero.
 
Prima di iniziare con il diario vero e proprio faccio una breve premessa/digressione. Scrivere questo diario nasce da un desiderio personale: rivivere il viaggio, ripensandoci e riguardando le foto, e al tempo stesso ringraziare tutti coloro che, con i loro diari, mi hanno dato spunti preziosi per organizzare i miei viaggi.

Non voglio che sia un resoconto “ufficiale” della crociera: piuttosto, desidero raccontare il viaggio con occhi curiosi, cogliendo dettagli, impressioni e piccoli momenti di vita di bordo che spesso restano tra i ricordi più preziosi. Lo stile sarà personale, a volte riflessivo, a volte pratico, e lungo il racconto inserirò anche alcune citazioni dal Libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa, che sento accompagnare bene il senso di scoperta, attesa e meraviglia che il mare sa evocare e che ho letto durante il viaggio.

Mi rendo conto che, scrivendo, potrei omettere particolari interessanti per altri, quindi sarò felice di rispondere a eventuali domande o curiosità che emergeranno.
Mi scuso anche se sarò prolissa e non vorrei annoiare chi legge; rivendendo le foto, mi sono accorta che in quasi tutte ci sono mio marito e/o mio figlio, quindi perdonatemi se non saranno molte.

Spero che queste pagine possano offrire spunti, curiosità o semplicemente il piacere di rivivere le atmosfere di un viaggio tra Mediterraneo e Atlantico.
 
Una delle prime opere di Gaudí, Casa Vicens mi ha conquistata per i suoi colori vivaci, le piastrelle decorate e l’armonioso dialogo tra architettura e natura. Ogni dettaglio racconta la creatività giovanile di Gaudí e anticipa lo stile unico che lo renderà famoso.
Non è un’attrazione molto affollata, quindi di solito non serve prenotare e non si fanno code. All’interno c’è anche una caffetteria carina, perfetta per una pausa dopo la visita.
Facile da raggiungere: si trova nel quartiere Gràcia, a pochi minuti a piedi dalle fermate metro “Fontana” (Linea 3) o “Lesseps” (Linea 3).

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Passeggiare per Gràcia è come entrare in un piccolo villaggio dentro la città: piazze raccolte, stradine lastricate, caffè animati, botteghe artigiane e murales colorati che raccontano la creatività locale. Mi è piaciuto per l’atmosfera autentica e rilassata, lontana dalla folla della Rambla, dove ogni angolo sembra avere una storia da raccontare.

Durante la passeggiata ci siamo fermati in una arrocería per pranzo e abbiamo assaggiato una paella buonissima, ricca di sapori autentici: un’esperienza perfetta per vivere Gràcia anche a tavola.

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Per questi due brevi giorni a Barcellona ci siamo potuti coccolare soggiornando in un hotel speciale, che ci ha regalato una splendida vista della città dall’alto. Dalla terrazza dell’ultimo piano abbiamo ammirato le luci dell’Eixample che si accendevano la sera, mentre nostro figlio non ha perso occasione di rinfrescarsi in piscina trasformando anche un semplice pomeriggio in un piccolo momento di gioia e gioco.

La città di sera si accende di luci e colori, le vie dell’Eixample si trasformano in un mosaico di lampioni caldi e strade ordinate, mentre la frenesia del giorno lascia spazio a un ritmo più lento e rilassato. Dalla terrazza all’ultimo piano, tra un sorso di tè e qualche chiacchiera tranquilla, abbiamo osservato i locali aperti, il movimento delle strade e l’architettura modernista che spunta tra gli edifici: un momento di quiete che ci ha permesso di assaporare la magia notturna di Barcellona.

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11-12 settembre – Risveglio, imbarco e primo giorno di navigazione


"Viaggiare è sentirsi andare. Anche se restiamo fermi, il viaggio comincia dentro di noi."
(Fernando Pessoa, Libro dell’inquietudine)


Alle prime luci dell’alba, Giulio spalanca la finestra con l’entusiasmo di un piccolo esploratore pronto a conquistare il mondo. L’aria fresca del mattino entra nella stanza e porta con sé il profumo della città appena sveglia… o almeno così dovrebbe essere. Perché il cielo è grigio, la pioggia tamburella sui vetri e le strade scintillano sotto le gocce. “Mammaaa… ho mal di gola!” annuncia subito, con voce lamentosa, appena i primi raggi cercano di entrare nella stanza. Prima ancora che io possa dire una parola, aggiunge: “E… piove!”

Io provo a riaddormentarmi, sperando che sia un brutto sogno, ma niente da fare: la realtà è insistente e testarda. E mentre ascolto il ritmo della pioggia sul vetro, mi chiedo con un misto di sconforto e ironia: “Ma a che età smettono di ammalarsi proprio il primo giorno di vacanza?”

Montjuïc? Saltato. Visita ai musei o passeggiata per le strade assolate? Rimandata. Al suo posto, una missione urgente: reperire medicinali in farmacia e prepararsi a partire per l’imbarco. Noi, con un misto di preoccupazione e abitudine, ci muoviamo rapidamente, ricordando i precedenti guai di crociera con una faringite che lo aveva costretto a due visite al centro medico e tre giorni a letto… meglio prevenire, dunque.

Dopo la farmacia, colazione veloce e via verso il terminal di Barcellona, che si rivela sorprendentemente organizzato: tante postazioni, zero caos, e in circa 10 minuti siamo già a bordo.

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Gli altri ospiti che imbarcano con noi sono quasi tutti canadesi e americani, con qualche inglese e spagnolo sparso. Italiani? Nessuno. A un certo punto, io e mio marito ci guardiamo e, con un lampo di genialità pedagogica, proponiamo a Giulio: “Ehi, perché non approfittiamo di questa vacanza per parlare tutti solo in inglese? Così facciamo un po’ di esercizio!”
Il suo sguardo è puro orrore cosmico: come se gli stessimo chiedendo di rinunciare al calcio, ai videogiochi e alla pizza nello stesso giorno. Poi, con una finta tossetta strategica e l’aria più innocente del mondo, replica:
“Ehmmm… ma con questo mal di gola… forse è meglio parlare piano… e in italiano!”

Fine del progetto educativo, archiviato tra le risate generali.
 
In realtà, un po’ di italiano a bordo lo abbiamo parlato: con una ragazza del kid’s club che conosce bene la nostra lingua, e con un cameriere che aveva lavorato per dieci anni con Costa Crociere, e quindi riusciva a conversare discretamente con noi. Piccoli incontri che fanno sempre piacere, soprattutto quando ti senti una minoranza nazionale su una nave cosmopolita.

Salire a bordo della Celebrity Equinox è come tornare a casa: abbiamo già viaggiato con le sue “gemelle” Celebrity Reflection e Celebrity Silhouette, entrambe della classe Solstice, e ci divertiamo a cercare piccole differenze. Questa è la quinta crociera con Celebrity, e non è un caso: ci piace così tanto perché combina eleganza, buon cibo, intrattenimento discreto e un servizio senza formalismi ma attento ai dettagli. Troviamo i divertimenti che fanno già parte delle nostre preferenze: intrattenimento musicale, cinema più volte al giorno, conferenze sui porti... Scrivendo a posteriori, posso già anticipare che anche questa volta ci troveremo benissimo.

Il 12 settembre, primo giorno di navigazione, inizia per me con un piccolo rito che ormai accompagna ogni crociera: una corsetta leggera sul ponte più alto, con il vento che scompiglia i capelli e il mare che si apre intorno, immenso e silenzioso. Ogni giro è come un saluto al nuovo giorno, mentre la nave scivola verso l’Atlantico. Subito dopo, mi concedo una colazione in solitaria con vista sull’alba: una tazza di caffè caldo, il sole che lentamente colora il cielo e il mare che cambia tonalità a ogni minuto. È un momento che custodisco gelosamente, tutto mio, prima che la nave si svegli davvero e che la giornata prenda il ritmo delle attività.

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Il primo giorno di navigazione non è mai un giorno qualsiasi: è il tempo dei programmi, dei sogni e delle attese. In crociera c’è sempre quella sensazione sospesa in cui il viaggio non è ancora cominciato davvero, ma già vive dentro di te.
È il momento in cui si fanno mille progetti: i luoghi che vedremo, i tramonti che non vogliamo perdere, i piatti da assaggiare, le passeggiate sul ponte di notte. E sappiamo che non tutto si realizzerà, perché la realtà, con i suoi imprevisti, ha sempre il potere di spostare i piani.
Ma proprio questo rende il viaggio speciale: quel miscuglio di speranza e incertezza, di attesa e di possibilità, che riempie i primi giorni come una promessa.

Giulio, ormai dieci anni compiuti, vive la nave con entusiasmo: per lui tutto è scoperta e si appassiona a dettagli che noi neppure notiamo. La cosa più bella è che può muoversi in autonomia, andando in piscina, prendendo un gelato o girando per i ponti, mentre noi ci rilassiamo. Un luogo sicuro dove può sperimentare un po’ di indipendenza e imparare a relazionarsi con gli altri ospiti. E qui sta la parte tenera: l’età media, complice il periodo con le scuole già aperte, è piuttosto alta e per lui tutti diventano una specie di zii o nonni. Lo fermano con dolcezza, gli chiedono di dove siamo, e lui risponde educato e un po’ divertito da tanta attenzione.

Scopriremo poi che il kid's club conta appena una decina di bambini in tutto ma questo non sarà affatto un problema, anzi: diventerà un piccolo universo speciale, da raccontare con più calma nei prossimi capitoli.

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E così si conclude il nostro secondo giorno: tra la pioggia imprevista di Barcellona, l’imbarco senza intoppi e il lento ritmo della navigazione che comincia a scandire i nostri tempi. Il mare, ancora una volta, inquieta e chiama: è la promessa silenziosa che ci accompagna, mentre attendiamo con curiosità la prossima tappa del viaggio.

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Ogni sera, durante il secondo riassetto della cabina, il cabinista lascia sulla scrivania il programma cartaceo del giorno successivo: un piccolo rituale che adoro. Con le luci basse, mentre mio figlio si addormenta e mio marito legge il suo libro, sfoglio le pagine e pregusto mentalmente le attività che voglio fare, scoprendo anche qualche informazione sul porto di scalo. Mi è particolarmente utile perché la mia colazione è molto presto: sapere l’orario di apertura del buffet mi permette di organizzarmi. Durante il nostro itinerario, il buffet apriva alle 6 nei giorni di scalo e alle 6.30 nei giorni di navigazione. Ecco un esempio delle attività e degli orari di apertura.

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E, come ciliegina sulla torta, insieme al programma trovo il cioccolatino sul cuscino: un piccolo gesto che rende la sera speciale e mi fa sentire coccolata, pronta ad addormentarmi con la mente già piena di mare e di avventure.

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13 settembre 2025 – Cadice, “Chiarore salato”


“Tutto ciò che il mare, la città, il giorno hanno di misterioso, lo porto negli occhi e nell’anima.”
(Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine)

Cadice ci accoglie con la sua luce inconfondibile, quel “chiarore salato” che sembra quasi sospeso tra l’Atlantico e il Mediterraneo. Città marinara per eccellenza, quasi un’isola abbracciata dall’oceano, con secoli di storie intrecciate fra fenici, romani, arabi e castellani: camminare qui è un po’ come sfogliare un libro dalle pagine consunte, dove ogni popolo ha lasciato un segno e ogni strada custodisce un frammento del passato.

Per me, però, Cadice non è solo una città: è anche un ricordo. Molti anni fa, uno dei primi viaggi on the road che ho fatto con quello che oggi è mio marito fu proprio in Andalusia. A Cadice salimmo sulla Torre Tavira e al tramonto ci scattammo una foto sui tetti della città. Eravamo giovani, con lo sguardo rivolto al futuro, e non potevamo immaginare tutto ciò che la vita ci avrebbe riservato. Quella foto è ancora con noi, incorniciata sulla libreria di casa: un frammento di giovinezza e di promesse che oggi, camminando per le stesse strade con nostro figlio, sento ancora vivo.

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La nostra passeggiata di oggi comincia da Plaza San Juan de Dios, ampia e solare, punteggiata da palme, fontane e dalla torre dell’orologio del municipio. Un tempo cuore pulsante degli scambi commerciali con l’India, oggi è una piazza vivace, circondata da caffè e ristoranti.

Da lì ci spostiamo verso la Iglesia de Santo Domingo, ma scopriamo che la troveremo chiusa: apre solo dalle 18.30 alle 21. L’orario insolito lascia un po’ di dispiacere, perché mi sarebbe piaciuto rivedere la Vergine del Rosario, patrona della città. Sarà una buona scusa per tornare.

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Il passo successivo ci porta alla Cattedrale, la “Catedral Nueva”, con la sua cupola dorata che domina l’orizzonte. Decidiamo di salire sulla Torre di Ponente: non ci sono gradini, ma una lunga rampa che si snoda lentamente verso l’alto, più impegnativa solo nell’ultima parte. L’attesa è ripagata quando arriviamo sotto la campana: lo sguardo spazia sulla città e sul mare che la circonda da ogni lato. Uno di quei momenti in cui il respiro si fa più lento, perché sai che la memoria custodirà a lungo quel panorama.

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Dopo la discesa ci concediamo una sosta dolce. A Casa Hidalgo assaggiamo le empanadas e poi ci spostiamo per un caffè al Bar Brim, dove ci affacciamo alla caratteristica finestrella verde che dà sul corso. È uno di quei piccoli riti che rendono speciale una giornata di viaggio. Camminando ancora raggiungiamo il mercato e Plaza de las Flores, piena di colori e profumi. Oggi c'è anche un bravo chitarrista che suona. Al mercato non resisto alla tentazione e mi fermo alla Churreria La Guapa. Con un sorriso il signore che vende i churros mi saluta con un “Hola chica!” che mi fa sentire al posto giusto: evidentemente lo sguardo tradiva la mia golosità. E aveva ragione, perché i churros che qui sono grandi e leggermente salati sono irresistibili. Purtroppo non ho foto a testimoniarlo!

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Avremmo poi voluto visitare l’Hospital de Mujeres, ma purtroppo lo troviamo chiuso. Poco più avanti entriamo invece all’Oratorio di San Felipe Neri: qui ci aspetta un dipinto di Murillo che lascia senza parole. La delicatezza dei volti, i colori, la compostezza della scena: un incontro che da solo vale la deviazione.

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Proseguiamo poi verso i Giardini di Alameda, raccolti e ombreggiati, con vasche e fontane, ideali per una pausa fotografica e per godersi un po’ di respiro verde in città. Lì si erge anche un gigantesco ficus centenario, che lascia tutti a bocca aperta. Successivamente attraversiamo il quartiere popolare La Viña, cuore autentico della città, con le sue stradine colorate e l’atmosfera vivace: la Parroquia de Nuestra Señora de la Palma ci ricorda la spiritualità e la tradizione locale, mentre i profumi dei tapas bar invitano a fermarsi e assaggiare qualcosa (ma noi avevamo già abbondantemente dato). Il tempo a disposizione non basta per tutto, ma non importa. Cadice è fatta per essere scoperta a piccoli passi, tra vicoli bianchi, finestre con grate lavorate e scorci di mare che appaiono all’improvviso dietro un angolo. Una città che non si lascia racchiudere in una visita sola, e forse è proprio questo il suo fascino.

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Quando torniamo verso il porto, con le gambe stanche ma gli occhi ancora pieni di luce, sento la dolcezza delle giornate piene: quelle in cui cammini tanto, ma ti sembra di avere solo sfiorato la superficie. Rientriamo a bordo e ci concediamo qualche ora in piscina, tra un tuffo e una pagina di libro, rilassandoci mentre già iniziamo a fantasticare sulla tappa di domani. Perché domani ci aspetta Lisbona, e il solo nome basta a farmi sorridere.
 

14 settembre 2025 – Arrivo a Lisbona


“Tutto ciò che vediamo è un’altra cosa. Il mare è sempre il mare, ma non è mai lo stesso mare.”
(Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine)

L’alba ci sorprende ancora in nave, con la luce che filtra delicata tra le grandi vetrate del buffet panoramico. La città sul Tago si mostra piano piano: tetti rossi, chiese, torri e il ponte rosso del 25 de Abril che sembra sorvegliare l’ingresso. La colazione diventa quasi un rituale teatrale: tra un waffle e un croissant, il mare e la città si srotolano davanti ai nostri occhi e noi siamo tutti catturati dalla magia del momento.
Mio figlio non riesce a staccare lo sguardo dai tetti e dalle vie che si aprono come un labirinto di storia e fantasia. Con la mano indica scorci immaginari: una “astronavicella” parcheggiata tra i palazzi, un museo-fantascienza simile al MAAT di Belém trasformato nella sua mente in una stazione spaziale piena di robot e luci lampeggianti. Ridiamo insieme, ma è una risata piena di attesa e meraviglia: il senso della partenza, l’incontro tra reale e immaginario, prende forma davanti a noi.

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Mentre la nave scivola sotto il ponte 25 de Abril, Giulio alza lo sguardo e con aria serissima chiede se il comandante abbia controllato bene le misure, perché “non ci passiamo!”. Scoppia una risata generale, e anch’io penso per un attimo che il ponte sembri davvero vicinissimo, quasi a sfiorare le antenne più alte della nave. È quel momento in cui la realtà si colora di un pizzico di fantasia infantile, e ci ritroviamo tutti a guardare verso l’alto trattenendo il fiato, come se davvero fosse in gioco il nostro passaggio.
Proprio allora, un ospite americano seduto poco distante si gira sorridendo e mi dice che questo non è niente in confronto a quando la nave passerà sotto il ponte di Porto, “molto più bello e suggestivo”. Lì per lì sorrido educatamente, ma dentro di me qualcosa non torna: so bene che noi non attraccheremo a Porto, ma a Leixões, che è ben diverso. E poi, anche volendo, mi chiedo come abbia potuto immaginare l’Equinox infilarsi sotto il Ponte Dom Luís I, stretto e sospeso sul Douro come una lama d’acciaio. Ho sorriso tra me e me: gli americani hanno il dono di raccontare tutto con tanta convinzione che per un attimo quasi ci credi… salvo poi renderti conto che nemmeno in un film di Hollywood l’Equinox potrebbe passare sotto il ponte di Porto!

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Poi la vista si allarga e ci troviamo davanti alla Praça do Comércio. La piazza è maestosa, ampia, luminosa, con i suoi edifici storici che sembrano abbracciare il Tago. È impossibile non restare catturati dalla sua grandezza e dalla sensazione di essere al centro di un crocevia di storie, traffici e memorie. Giulio, con quegli occhi spalancati che rivelano la sua eccitazione, esprime il desiderio di salire sull’Arco da Rua Augusta. Siamo felici di acconsentire: la curiosità dei bambini, quella scintilla che illumina il volto, è uno dei grandi piaceri della crociera per noi.

Durante la colazione, io osservo la città come Pessoa l’avrebbe vista: un miscuglio di storia e malinconia, di vicoli stretti e piazze ampie, di tetti rossi e cielo azzurro. Immagino lo scrittore che cammina lungo Rua dos Douradores, che osserva le facciate pombaline, che si perde nei pensieri come un viaggiatore dell’anima prima che del corpo. Ogni angolo sembra raccontare un frammento del suo “libro dell’inquietudine”: le scale di pietra, le finestre ornate, le terrazze con fiori, tutto sembra sospeso tra memoria e sogno. “Lisboa modella se stessa sul suo visitatore”, scrisse Antonio Tabucchi, e stamattina, mentre la nave scivola silenziosa sotto il ponte 25 de Abril, mi pare che Lisbona abbia scelto di mostrarsi proprio così: accogliente, poliedrica, già negli occhi e nell’anima. Non poteva esserci cornice più suggestiva per iniziare il nostro incontro con la città di Pessoa.
 
Scendiamo dalla nave e in pochi minuti siamo già immersi in Alfama, il quartiere più antico e pittoresco di Lisbona. È un labirinto di vicoli, di case bianche con stendini fioriti, di porte verdi che raccontano vite semplici e secolari. Qui il tempo sembra avere un passo diverso, più lento, scandito dal rintocco delle campane e dal rumore delle tazzine di caffè servite nei minuscoli bar. Largo do Chafariz de Dentro ci accoglie con la sua piccola piazza storica: una fontana antica, sedie di ferro battuto, due anziani che chiacchierano guardando il via vai. Poco distante, il Museu do Fado ci ricorda che questo quartiere è il cuore della musica portoghese più struggente, nata proprio tra queste strade. Non entriamo, ma già dall’esterno si respira quell’aria un po’ nostalgica che è parte dell’anima di Lisbona.

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Ci infiliamo in un vicolo stretto, il Beco da Bicha, uno di quei passaggi che sembrano fatti apposta per essere fotografati: panni stesi, azulejos sbrecciati, fiori che spuntano dalle ringhiere. È un’immagine quotidiana, eppure poetica, come se Pessoa stesso avesse trovato qui l’ispirazione per i suoi pensieri erranti.

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“Non so se ho in me la capacità di sentire. O se sento oltre la capacità di me stesso.”
(Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine)

Dal Miradouro de Santa Luzia ci siamo lasciati catturare da quel gioco di tetti rossi e azulejos che sembrano sospesi tra il cielo e il Tago. Le bouganville in fiore incorniciano il pergolato, e in mezzo alla folla di turisti c’è un momento quasi privato, quando abbassiamo lo sguardo e lì, tra il labirinto di vicoli, ritroviamo la nostra Equinox: elegante, immobile, come se riposasse un poco dopo averci cullati tutta la notte. È strano, e bellissimo, vedere la propria nave dall’alto: come se la città stessa ti rimandasse un’immagine di casa.

Scendiamo lentamente per i vicoli di Alfama, dove ogni porta racconta una storia. Alcune sono azzurre, altre scrostate e piene di segni del tempo. A me resta negli occhi una porta verde, un colore così intenso da sembrare dipinto di proposito per i fotografi. Giulio, con il suo sguardo curioso, si diverte a immaginare chi viva dietro quelle porte: cantanti di fado che provano al pianoforte, vecchie signore che sfornano pasteis di nata o marinai che rammendano le reti.

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Più avanti, al Miradouro das Portas do Sol, la vista si fa ancora più ampia. Una terrazza ariosa, più moderna, dove le persone si fermano con un caffè in mano e il cellulare puntato all’orizzonte. Anche qui ci sentiamo parte di un quadro vivente: noi, la città, il fiume.
Pochi passi ed eccoci davanti alla Sé, la cattedrale di Lisbona. Imponente, romanica, un po’ severa. Non possiamo entrare oggi perché la domenica resta chiusa, ma già l’esterno ci regala l’impressione di solidità: due torri che sembrano voler tenere in piedi, da sole, tutta la città. Proprio di fronte, la piccola Igreja de Santo António, dedicata al santo patrono, accoglie i visitatori con la sua semplicità. È quasi un contrasto: la grandezza della Sé e l’intimità di questa chiesa.
E lì vicino, una tentazione irresistibile: la Pastelaria Santo António. Ci fermiamo e finalmente assaggiamo i primi pasteis de nata del viaggio, caldi, profumati di cannella, con quella crema gialla che sembra sole racchiuso in un guscio di sfoglia. Giulio ne divora uno in due morsi e ci guarda con un sorriso che vale più di mille descrizioni.

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Il passo si fa più leggero mentre ci avviciniamo a Baixa, e Lisbona cambia volto. Le stradine tortuose lasciano spazio a un disegno razionale, figlio della ricostruzione pombalina dopo il grande terremoto del 1755. Rua Augusta è un viale ampio, quasi scenografico, che si apre come un sipario sulla piazza più maestosa della città: Praça do Comércio. Ed è proprio qui che torna in mente Tabucchi: “Lisboa modella se stessa sul suo visitatore.” Stamattina sembra volerci accogliere nella sua veste più regale, con gli edifici giallo-oro che incorniciano la piazza e il fiume che si allunga, immenso, come un orizzonte aperto. La piazza è talmente ampia che quasi ci perdiamo. Giulio, però, non ha dubbi: con gli occhi che brillano chiede di salire sull’Arco da Rua Augusta. Ridiamo e ci guardiamo: certo che sì. Non si può dire di no a un desiderio che nasce dallo stupore puro. In fondo, è questa la magia del viaggio: lasciarsi guidare, qualche volta, dallo sguardo di un bambino.

La salita sull’Arco da Rua Augusta non è complicata e non c'è coda. L’ascensore ci porta fino in cima, poi una breve scaletta ci conduce sulla terrazza. Lo spazio è piccolo, raccolto, ma la vista è smisurata. Sotto di noi, la geometria perfetta di Praça do Comércio si allarga come un abbraccio; oltre, il Tago brilla alla luce del mattino, e le vele bianche sembrano punti in movimento dentro un quadro. Alle nostre spalle, Rua Augusta scorre dritta fino a Praça da Figueira, un asse che unisce storia, architettura e vita quotidiana. Giulio guarda giù con quell’entusiasmo che contagia. “Sembra un Lego gigante!”, esclama indicando la piazza ordinata, con le persone piccole come figure di un gioco da tavolo. Noi ridiamo, e ci rendiamo conto che, in fondo, non c’è descrizione migliore: Lisbona dall’alto è davvero un mosaico perfetto, fatto di colori, geometrie e dettagli.

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Scendendo dall’arco vorremmo andare al Café Martinho da Arcada ma lo troviamo chiuso. Pessoa sedeva proprio qui, davanti a un caffè, a scrivere frammenti del suo mondo interiore. È emozionante pensare che questi luoghi abbiano ospitato discussioni e riflessioni di scrittori, poeti, viaggiatori.
Da Praça do Comércio ci incamminiamo verso Rua dos Douradores. Per molti è solo una via qualunque, con edifici sobri e lineari, ed oggi anche piuttosto malmessa, ma per chi ha letto il Libro dell’inquietudine diventa una strada mitica: è qui che Pessoa ambienta la vita di Bernardo Soares, il suo semi-eteronimo. Camminando, mi sembra quasi di percepire la sua voce: il senso di straniamento, la solitudine piena di pensieri, l’inquietudine che diventa letteratura.

È un momento strano: la città intorno è rumorosa, piena di vita, eppure dentro di me nasce un silenzio. Forse è questo il paradosso di Lisbona: mentre ti accoglie con la sua luce, ti costringe a guardare dentro di te.

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Dal cuore della Baixa iniziamo la salita verso il Chiado. La pendenza si fa sentire, ma ogni passo è ripagato dalla sensazione di attraversare un quartiere che pulsa di letteratura, caffè e memoria. Il nostro primo incontro è con la Livraria Bertrand: dall’esterno sembra una libreria come tante ed oggi è un luogo prettamente turistico ma per me è impossibile non visitarla. Scaffali di legno, corridoi stretti, la libreria più antica del mondo ancora in attività. Qui Pessoa veniva spesso a comprare libri.
Mentre sfoglio distrattamente un’edizione illustrata di poesie portoghesi, e Giulio ha trovato un albo da colorare in portoghese, penso a come dev’essere stato per Pessoa entrare qui: un uomo solitario che si nutriva di parole come altri di pane. La malinconia passa presto quando Giulio dice “questa libreria è più vecchia dei nonni”, e io mi ritrovo a sorridere. Pessoa, così intimo e complesso, e mio figlio, così diretto e semplice: due mondi che si incontrano, entrambi affamati di storie.

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Pochi passi più in là, eccoci al Caffè A Brasileira. È impossibile non fermarsi, anche solo per la foto accanto alla celebre statua di Pessoa seduto al tavolino. Il bronzo è consumato dalle mani di chi, come noi, si appoggia per uno scatto. La facciata in stile liberty, le vetrine con specchi e lampadari, l’atmosfera che mescola turisti e intellettuali: tutto qui parla di un’epoca in cui Lisbona era un laboratorio culturale in fermento. Ci sediamo per un caffè all’interno, tra mosaici e specchi che riflettono un passato elegante. Il caffè arriva forte e intenso, e non posso fare a meno di pensare a quanto Pessoa amasse sostare qui, osservando la vita che scorreva lungo il Largo do Chiado. Forse in quei momenti la sua inquietudine trovava un po’ di pace, addolcita dal rumore dei cucchiaini e dal vociare intorno.

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Il Chiado ci accoglie così: con la sua eleganza bohémien, con negozi storici come A Vida Portuguesa, pieni di scatole colorate e packaging d’epoca, e con angoli che sembrano usciti da un romanzo. Passo una buona mezz'ora in contemplazione di ceramiche, saponette e profumi e la magnifica selezione di tessili per la casa tutti fatti in Portogallo tra i quali è difficilissimo scegliere.

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Passeggiando tra scaffali e caffè, mi rendo conto che Pessoa non è solo un autore che leggo, ma una presenza che si insinua tra le strade di Lisbona. Ogni luogo che tocchiamo – la libreria, il caffè, persino una targa su un muro – diventa un frammento del suo universo interiore. Pessoa ha scritto che “vivere è essere un altro”, e in questa città mi pare che l’identità stessa si moltiplichi: turista e viaggiatore, madre e sognatrice, lettrice e camminatrice, tutte queste versioni di me convivono senza contraddirsi.

Forse è questo che Lisbona sa fare meglio di ogni altra città: rifletterci come in uno specchio mutevole, rivelando parti di noi che non pensavamo di avere. Ed è per questo che qui Pessoa non appare distante o intoccabile, ma vicino, compagno di viaggio silenzioso che ancora ci accompagna tra i vicoli, i caffè, i sogni non detti.
 
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