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[Live] - Costa Deliziosa - Giro del Mondo 2024

ma come sei riuscito a non fotografare neanche un crocierista ?????
In questo caso non è stato difficile, perché non ci si poteva avvicinare alle statue e poi eravamo in un piccolo gruppo. E inoltre volutamente ho fatto in modo che non si vedessero persone per accentuare l'effetto di vastità e solitudine nelle foto.
Nelle immagini che seguiranno (... perché ce ne sono delle altre, molte altre... non penserete di cavarvela così!...) si vedranno anche delle persone, più che altro per dare un raffronto di dimensioni con questi colossi. Ma in questo caso dell'isola di Pasqua trovo che siano di maggiore effetto le foto... deserte...
 
Un'altra domanda che sorge spontanea è questa: ma come e dove venivano scolpiti i grandi Moai?
Avremo una risposta visitando il sito di Rano Raraku.
Per raggiungere questo sito archeologico dobbiamo attraversare quasi tutta l'isola. Lasciamo Hanga Roa sulla costa occidentale e ci dirigiamo verso est. Usciti dalla cittadina ci troviamo presto in un territorio verdeggiante ma quasi completamente privo di vegetazione arborea. Pianure sulle quali si elevano numerose colline arrotondate, che altro non sono che coni di antichi vulcani estinti. Più in là l'oceano scatena la sua forza infrangendo le sue alte onde sugli scogli scuri di una costa frastagliata. Alcuni cavalli corrono liberi accanto alla strada.

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Rano Raraku è un vulcano spento, un'alta collina dalla sommità rocciosa. È famoso soprattutto per essere la cava della pietra nella quale sono scolpiti tutti i moai dell'isola. Questo luogo ha una grande importanza storica e culturale, in quanto è il luogo in cui gli antichi abitanti dell'isola scolpirono le statue che sono diventate simbolo dell'isola di Pasqua. Alcuni moai solo grossolanamente abbozzati sono ancora parzialmente sepolti nella roccia vulcanica, mentre altri giacciono sparsi qua e là in vari stadi di completamento. Sembra quasi che gli antichi abitanti dell'isola abbiano smesso all'improvviso di scolpirli e li abbiano lasciati così com'erano. Abbandonati sul posto. È un sito affascinante che offre un'opportunità unica per vedere da vicino il processo di creazione di queste icone dell'antica cultura Rapa Nui.

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Rispetto ad altri siti, qui a Rano Raraku il contatto con questi giganti di pietra è molto ravvicinato. L'effetto è davvero impressionante.

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Le grandi statue venivano scolpite direttamente nel banco di roccia vulcanica, in alto verso la sommità della collina dove la roccia era più uniforme e compatta, rifinendo soltanto la parte anteriore del volto e del busto, ma lasciando appena sgrossata la parte posteriore. Quindi venivano staccati dal blocco di roccia e fatti scivolare sul dorso fino alla base della collina. Qui venivano raddrizzati e rifiniti anche nella loro parte posteriore.

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Molto curioso anche il modo in cui venivano spostati, almeno nei tratti di pianura, a volte per molti chilometri.
Veniva collocato all'altezza degli occhi un anello di corde, dal quale partivano tre lunghe funi. Tre gruppi di uomini, ognuno a una delle funi, faceva basculare ritmicamente la statua, facendola avanzare lentamente quasi barcollando. Da qui un nome che tradizionalmente i nativi dell'isola usavano per chiamare i Moai: statue che camminano.
 
La nostra visita a Rano Raraku è stata davvero una esperienza emozionante e indimenticabile.

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Qui incontriamo anche un Moai diverso dagli altri. Secondo gli studiosi attribuibile alle ultime fasi della civiltà delle grandi statue. Forse solo una sperimentazione stilistica. Sicuramente un unico nell'isola.
La figura di questo Moai è più arrotondata, con caratteristiche antropomorfe meno stilizzate e più vicine al vero. Appare inginocchiato, quindi contrariamente agli altri Moai ha le gambe. Un mistero nel mistero.

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Lasciamo Rano Raraku e in lontananza già ci appare il prossimo sito che visiteremo. Uno dei più imponenti e scenografici dell'isola: Ahu Tongariki.

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Ahu Tongariki è uno dei siti archeologici più spettacolari dell'isola di Pasqua. Si trova sulla costa orientale dell'isola e ospita la più grande piattaforma ahu dell'isola, insieme a quindici moai restaurati che guardano verso l'entroterra. È un luogo impressionante e iconico, che offre una vista mozzafiato sull'oceano e sul paesaggio circostante. La maestosità di Ahu Tongariki lo rende una delle principali attrazioni turistiche dell'isola.

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Alcuni Moai conservano ancora il caratteristico copricapo, scolpito in una roccia diversa di colore rossastro. Questo copricapo, che era in realtà probabilmente un'acconciatura fatta con i lunghi capelli intrecciati, era secondo gli studiosi un attributo di regalità e indicava quindi i capi di un clan.

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La nostra giornata all'isola di Pasqua volge al termine. Ritorniamo al porticciolo di Hanga Roa e da qui con il tender, sempre piuttosto avventurosamente, rientriamo in nave.
È stata una giornata indimenticabile ed entusiasmante. Speriamo che domani si possa ripetere...
 
Giorno 36: Isola di Pasqua (Cile)

Il secondo giorno appare subito più favorevole: nel cielo c'è qualche nuvola, ma poco vento; e il mare molto più tranquillo con molta meno onda lunga. La discesa con i tender è decisamente più veloce e più agevole. Ci aspettano nuove scoperte sull'isola.
Il primo sito che visiteremo oggi è la piattaforma di Ahu Akivi.

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Ma chi erano gli antichi abitanti dell'isola? Da dove venivano? Quando sono arrivati qui?
Gli interrogativi sono tanti. Gli studiosi ancora una volta ci vengono in aiuto.
I primi abitanti dell'isola di Pasqua, conosciuti come Rapa Nui, sono stati i discendenti di popolazioni polinesiane che arrivarono sull'isola in una data non definita, sulla quale il dibattito è tuttora aperto. Qualche decennio fa si pensava al periodo tra il IV e VII secolo dopo Cristo, più recentemente è stata proposta come datazione più probabile il X secolo d.C., secondo alcuni però l'isola fu colonizzata soltanto intorno al XIII o XIV secolo d.C.
Le evidenze archeologiche e linguistiche suggeriscono che questi primi coloni fossero di origine polinesiana, provenienti probabilmente dalle isole della Polinesia orientale, anche se l'origine precisa e il percorso esatto del loro viaggio rimangono oggetto di dibattito tra gli studiosi.
Come pure oggetto di dibattito è il come si sia potuta sviluppare in un tempo piuttosto limitato e in un luogo così isolato una civiltà così articolata e complessa, in grado di imprimere una impronta monumentale così profonda e diffusa sul territorio.

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Ahu Akivi è conosciuta anche come l'unica piattaforma i cui Moai sono rivolti verso il mare e non verso la terraferma.
Gli studiosi hanno recentemente molto ridimensionato questa peculiarità. I Moai infatti, come abbiamo visto, rappresentavano gli antenati del clan, personaggi illustri come capi politici, militari e spirituali della comunità che, così come in vita si erano presi cura dei loro sudditi, assicurandone il benessere, la salute, la ricchezza, ora da morti, tramite il loro spirito sublimato nell'immagine dei Moai, continuavano ad assicurare la loro protezione come una sorta di numi tutelari. I Moai dunque non guardavano il mare o la terra, ma bensì il villaggio che dovevano proteggere. Spesso si trovavano sulla riva del mare, perché in quel luogo, lontano dai villaggi e dai campi, erano situati i cimiteri. Ma vi erano eccezioni, come questa di Ahu Akivi.

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La nostra prossima tappa è presso il sito di Hanga Te'e Vai Hu.
Qui possiamo vedere una interessante ricostruzione di come era fatto un antico villaggio di Rapa Nui, come viveva la popolazione, come erano costruite le capanne, come proteggevano dal vento con muri a secco gli alberi da frutto e gli animali da cortile.

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Poco lontano dal villaggio ricostruito a fini didattici, accanto alla riva del mare, sorge la zona rituale con la piattaforma ahu e con i Moai... ma qui comincia un'altra storia...

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Era il 5 aprile 1722, la domenica di Pasqua di quell'anno, quando il navigatore olandese Jacob Roggeveen avvistò l'isola. Quello che trovò però non fu una antica e fiorente civiltà, ma fame, miseria, morte e devastazione.
La popolazione era ridotta in condizioni miserevoli, i resti di un passato affascinante e glorioso giacevano abbattuti, distrutti, abbandonati.
Cosa era successo? Come aveva potuto una tale grandezza crescere così rapidamente per poi altrettanto rapidamente perire?

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La civiltà dei grandi Moai raggiunse la sua fioritura probabilmente tra il XIV e il XVI secolo d.C. poi accadde qualcosa. Gli studiosi hanno avanzato alcune ipotesi: forse un cambio del clima che si fece più freddo (ricordiamo che in quegli anni in Europa iniziava la cosiddetta Piccola Era Glaciale); forse l'arrivo di malattie sconosciute, tramite i contatti con navi europee, che sicuramente ci furono già oltre un secolo prima della scoperta ufficiale; forse un utilizzo smodato ed eccessivo delle limitate risorse naturali dell'isola; forse queste e altre cose insieme...
Il risultato furono terribili carestie, che innescarono una serie di guerre civili tra i diversi clan dell'isola. L'intera società isolana ne fu travolta, l'ordine tradizionale fu sovvertito e gli antichi poteri, politico e religioso, dei capi persero inesorabilmente prestigio e credibilità. Un'intera civiltà implose e giunse al collasso in poche generazioni.
Non restò nulla. Anche gli antichi Moai, simbolo della protezione degli antenati sulla comunità apparvero inutili, anzi divennero il simbolo di un potere che non aveva saputo preservare la comunità dalla catastrofe, e furono abbattuti con rabbia furiosa.

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Dopo almeno un secolo di carestia e di guerre, all'arrivo degli europei nel 1722 restavano soltanto miseria e macerie.
Ma anche un nuovo ordine, seppure precario e miserabile, nuovi capi politici e nuove credenze religiose.
 
Il nostro piccolo viaggio alla scoperta dell'isola di Pasqua termina con il sito del villaggio cerimoniale di Orongo.

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Il villaggio cerimoniale di Orongo era situato nelle vicinanze del cratere del vulcano Rano Kau, spento da centinaia di migliaia di anni. È famoso per essere stato il centro cerimoniale del culto dell'uomo uccello, una pratica religiosa importante nell'ultima fase della cultura Rapa Nui. Orongo contiene strutture abitative, petroglifi e altre testimonianze dell'antica vita sull'isola.

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Il villaggio di Orongo è composto da circa 50 strutture in pietra, che servivano come abitazioni temporanee durante i rituali legati al culto dell'uomo uccello. Queste costruzioni sono posizionate strategicamente lungo il bordo del cratere del vulcano Rano Kau, offrendo una vista spettacolare sull'oceano e sugli isolotti sottostanti. Alcune delle strutture più importanti includono case circolari, muri di pietra e petroglifi che raffigurano l'uomo uccello e altri simboli religiosi.

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Orongo è anche noto per essere il luogo in cui si svolgeva la competizione annuale per ottenere il primo uovo di uccello marino, un evento di grande importanza religiosa e sociale nella cultura Rapa Nui. Il campione che riusciva a scendere al mare, raggiungere a nuoto gli isolotti dove nidificavano gli uccelli marini migratori, raccoglierne intatto il primo uovo deposto e riportarlo al luogo della cerimonia, assicurava al proprio clan il potere sull'isola per un anno. Fino al ripetersi della cerimonia l'anno successivo.

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Queste cerimonie rituali si svolsero fino alla seconda metà dell'Ottocento, quando, dopo l'annessione dell'isola al Cile, numerosi abitanti furono deportati come schiavi per lavorare nelle miniere sul continente. Pochi tornarono vivi. L'opera di cristianizzazione poi provvide a cancellare le ultime tracce di queste credenze, ma grazie all'opera meritoria di alcuni sacerdoti, come Eugène Eyraud, se ne conservò in parte la memoria in studi di carattere antropologico.
 
Il nostro tempo all'isola di Pasqua è ormai finito. Sono state giornate intense e fortunate, che ci hanno portato a scoprire un piccolo mondo a noi sconosciuto, ma suggestivo e affascinante.
Torniamo al piccolo porto di Hanga Roa e, prima di salire sul tender, diamo un'occhiata al Moai solitario che dalla sua alta piattaforma domina il molo.

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Salutiamo questo lembo di terra sperduto nell'oceano, che con i suoi misteri e la sua strana storia ci ha fatto vivere due giornate emozionanti e indimenticabili.
È ormai il tramonto quando la nave riprende il suo viaggio verso ovest.

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Complimenti ancora per le bellissime foto e la straordinaria narrazione. Una domanda: oggi l’isola da chi e’ abitata?

Ora l'isola è abitata da circa 7000 persone. Quasi tutti sono discendenti della popolazione indigena Rapa Nui, in misura maggiore o minore. Quasi sempre si tratta di una discendenza mista tra la componente indigena polinesiana con la componente cilena, frutto dell'immigrazione avvenuta a fine Ottocento
 
Domani sarete all’Isola di Pitcairn, ma dal tempo brevissimo indicato nell’itinerario, sembra non si sbarchi…cosa e’ previsto?
È prevista una sosta in rada di circa tre ore. Non è previsto lo sbarco. L'isola è troppo piccola e non dispone di strutture anche soltanto per fare scendere a terra molte centinaia di persone. Gli abitanti stabili sono meno di 40 e sull'isola ci sono solo percorsi sterrati percorribili con piccoli mezzi fuoristrada.
Ci sarà invece un incontro a bordo con un piccolo gruppo di abitanti, che pare allestiranno un mercatino di prodotti locali.
 
Giorni 37 e 38: navigazione

Due intere giornate di navigazione nel Pacifico in direzione delle isole di Pitcairn, che raggiungeremo domani attorno alle 12 ora locale.
Tempo con alternarsi di nuvole e sole, con qualche sporadico rovescio, temperatura gradevole, mare poco mosso.
Dopo la partenza dall'Isola di Pasqua il cui fuso orario era -6 rispetto all'Italia, per cinque giorni consecutivi porteremo all'indietro le lancette dell'orologio. Attualmente siamo a -8 ore dall'Italia, domani a Adamstown (Isole Pitcairn) saremo a -9, al nostro arrivo nella Polinesia Francese saremo a -11 ore dall'Italia.

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Tra le 12 e le 15 ora locale di oggi Costa Deliziosa ha imbarcato un piccolo gruppo di abitanti di Adamstown, la piccola capitale di Pitcairn che prende il nome da uno dei marinai ammutinati, che hanno allestito a bordo un piccolo mercatino di prodotti locali e artigianali; e ha compiuto una completa circumnavigazione dell'isola a distanza ravvicinata.

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Ora ha ripreso la sua navigazione verso la Polinesia Francese.

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Alla scoperta del cielo australe: "Caccia a Sigma Octantis"

Il titolo all'apparenza sembra piuttosto strano, ma non è così. C'è bisogno però di qualche spiegazione...
Per chi, come me, ha familiarità con il cielo boreale, quello dell'emisfero nord, l'osservazione del cielo australe dà sempre una sensazione iniziale di disorientamento; però è una cosa superabile, come ho già detto, con qualche sicuro punto riferimento e con l'aiuto di una carta del cielo o di una buona applicazione per il cellulare.
A ben vedere però, un punto di riferimento importante nell'emisfero australe mancherà sempre: ed è quello della stella polare.
Nell'emisfero nord abbiamo la fortuna di avere una stella luminosa e di facile identificazione a indicare il punto del polo nord celeste, seppure con una certa approssimazione. Alfa Ursae Minoris, la stella più luminosa della costellazione dell'Orsa Minore, che per la sua vicinanza al polo nord celeste si indica anche come Polaris Borealis. Una stella molto luminosa (magnitudine tra 1.86 e 2.13, un indice che misura la luminosità di una stella, in questo caso varia tra un minimo e un massimo perché la stella in questione è una stella variabile, in realtà un sistema composto da tre stelle che orbitano intorno a un comune punto di gravità), in una costellazione di facile riconoscimento, che quasi tutti sanno individuare.
Nell'emisfero australe invece no: una Polaris Australis altrettanto luminosa e di facile individuazione non c'è. Anzi, l'intera area di cielo attorno al polo sud celeste è popolata da stelle che ci appaiono di debole luminosità. Il punto attorno al quale apparentemente ruota tutto il cielo australe è collocato in una piccola costellazione l'Ottante, poco appariscente e di non facile individuazione. La stella di questa costellazione più vicina al polo poi è quasi invisibile a occhio nudo, è la diciottesima per luminosità tra le stelle di una costellazione composta di stelle deboli: Sigma Octantis appunto (magnitudine 5.5, dove 6 è considerato il limite di percezione a occhio nudo di una stella in condizioni ottimali di visibilità; Sigma perché per convenzione si identificano le stelle di una costellazione utilizzando le lettere dell'alfabeto greco, da Alfa la più luminosa a Omega la meno luminosa, e la stella in questione è appunto la diciottesima per luminosità, come la lettera sigma è la diciottesima dell'alfabeto greco).
Ma allora come si può fare a identificare, con una certa approssimazione, il punto del polo sud celeste?
Proviamo a osservare il cielo.

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Ecco una prima foto del cielo: premetto che le condizioni in cui è stata presa questa foto, come pure le successive, sono tutt'altro che ottimali (cielo non limpido ma velato, presenza di troppe luci, foto scattata con il cellulare, a mano libera e dalla nave in movimento... brutte foto insomma... e pure storte: l'orizzonte è sempre obliquo...) ma qualche punto di riferimento comincia a fornirlo...
Vediamo la stessa foto... elaborata...

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Il punto di riferimento più importante è la Croce del Sud. Un metodo empirico per individuare la posizione del polo sud celeste è quello di prolungare idealmente sulla volta del cielo l'asse maggiore della Croce, dalla stella Gacrux alla stella Acrux, e misurare lungo quella linea circa cinque volte la distanza tra le due stelle. Il punto che otterremo si troverà poco sopra la debole costellazione dell'Ottante. Quel punto è il polo sud celeste.
Vediamolo meglio in altre foto dove è indicato con una buona approssimazione.

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Queste foto e le successive ci aiutano anche a familiarizzare un poco con le costellazioni del cielo australe, per noi piuttosto esotiche...

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Ci sono anche altri metodi empirici, da astrofilo dilettante quale mi ritengo, per individuare grossolanamente il polo sud celeste. Uno è quello di costruire un immaginario triangolo equilatero due vertici del quale coincidano con le due Nubi di Magellano, il terzo vertice indicherebbe il polo. Però le due Nubi di Magellano sono visibili solo in condizioni ottimali (nella foto proprio non si vedono) e poi l'indicazione è molto imprecisa, tanto da risultare poco utilizzabile. Come lo è anche l'altro metodo, simile al precedente, ma dove i vertici del triangolo equilatero (ancora più ampio del primo) sono le stelle Canopo (fuori dal campo visivo delle foto, ma collocata in alto sopra le costellazioni del Pesce Volante e del Dorado) e Achernar.
Insomma, venendo al sodo dopo tutti questi discorsi letteralmente... campati in aria, Sigma Octantis non sono riuscito a vederla, in queste condizioni di visibilità è impossibile, ma il polo sud celeste sono riuscito a individuarlo. E osservando il cielo a distanza di qualche ora ci si rende conto di come tutto ruoti apparentemente intorno a quel punto... osservare il cielo è sempre un'esperienza affascinante. Almeno, per me lo è...
Tempo permettendo le osservazioni continuano nelle prossime notti...
 
Nuovo comunicato ufficiale relativo alla questione di Suez e del nostro itinerario di rientro in Europa.
Ci saranno risposte definitive entro il 10 marzo, cioè entro la fine di questa seconda tratta.

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Onestamente fatico a capire cosa si stia aspettando...
 
Giorni 40 e 41: navigazione

Due giorni di navigazione verso la Polinesia Francese. Ieri ventoso con alternarsi di nuvole e sole, stamattina cielo ancora con nuvole e qualche rovescio di pioggia, ora sereno. Mare calmo e totale assenza di vento. Temperatura oltre i 30 gradi.
Con l'ultimo cambio di ora siamo a -11 rispetto al fuso orario dell'Italia.

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Oltre ai dati di navigazione, aggiungo due foto: la prima delle nubi che hanno portato i rovesci di pioggia questa mattina; la seconda fatta poco fa, con il cielo sereno e il mare assolutamente calmo.

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Proprio come si immaginano i mari del sud...
 
Giorno 42: Papeete, Tahiti (Polinesia Francese)

Tahiti è spesso associata all'immagine stereotipata del classico paradiso tropicale, grazie alla sua combinazione unica di molti elementi: bellezze naturali, mare incontaminato, cultura polinesiana. Quest'isola del Pacifico, che fa parte dell'arcipelago delle Isole della Società nella Polinesia Francese, è spesso idealizzata come un paradiso terrestre, dove le spiagge di sabbia scura si fondono con acque turchesi e una lussureggiante vegetazione tropicale. Una visione idilliaca ampiamente promossa attraverso immagini iconiche dai media, in campagne pubblicitarie di viaggio e in suggestive rappresentazioni cinematografiche.
In aggiunta alla sua bellezza naturale, Tahiti evoca un senso di avventura e di esotismo. La sua posizione remota nel cuore del Pacifico la rende un'ambita meta per coloro che cercano un'esperienza di viaggio autentica e lontana dalle tradizionali destinazioni turistiche. Le tradizioni culturali polinesiane, incluse la musica, la danza e l'artigianato locale, contribuiscono ulteriormente a questa percezione di esotismo e fascino tropicale.
Inoltre, Tahiti è stata oggetto di ispirazione per numerosi artisti, scrittori e registi nel corso del tempo. Opere letterarie come "Taipi" di Herman Melville o "Il paradiso è altrove" di Mario Vargas Llosa, per non parlare dei dipinti di artisti come Paul Gauguin, hanno contribuito a catturare l'immaginazione del pubblico e a consolidare il mito di Tahiti come un luogo idealizzato di libertà creativa e di fuga dalla realtà di tutti i giorni.
E ora questa isola desiderata è mitizzata è qui davanti ai nostri occhi, nella luce del nuovo giorno che sta arrivando.

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Il colore del suo mare è pari alle aspettative. E così pure la bellezza dei suoi panorami e il verde intenso della vegetazione.

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Scendiamo a terra e Tahiti ci accoglie con semplicità, ma con allegria, simpatia e calore.

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Tahiti offre un ampio ventaglio di possibilità in quanto a visite e attività: dalla spiaggia alle gite in barca, dai musei (come quello delle perle) all'esplorazione della natura all'interno dell'isola, dallo snorkeling alla vela, senza contare la vicina e bellissima isola di Moorea.
Il tempo è poco ed è necessario fare delle scelte.
Oggi scegliamo di andare alla scoperta della costa nord e della splendida natura della selvaggia valle di Papeenoo, per poi dedicare il poco tempo che rimarrà alla piccola capitale Papeete.

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La nostra prima sosta è al belvedere di Pointe Ta Pahi, con le sue splendide vedute sulla costa nord dell'isola e le belle spiagge di Ahonu.

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Lasciamo quindi la costa per avventurarci su una pista sterrata a bordo di un fuoristrada nella natura selvaggia della valle di Papeenoo.

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La natura della valle di Papeenoo è semplicemente stupefacente. Questa regione è caratterizzata da una lussureggiante vegetazione tropicale, con una varietà incredibile di piante, alberi e fiori esotici (come il bellissimo ibisco di Tahiti i cui fiori sono gialli se sbocciano durante il giorno e viola se sbocciano dopo il tramonto). Le foreste pluviali che avvolgono la valle offrono rifugio a una vasta gamma di specie animali, tra cui uccelli tropicali colorati, insetti esotici, pesci e piccoli mammiferi.

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I fiumi che attraversano la valle creano scenari mozzafiato, con rapide spumeggianti e cascate che si tuffano in piscine naturali. Queste acque cristalline offrono anche l'opportunità di praticare attività come il kayak e il nuoto, permettendo ai visitatori di immergersi completamente nella bellezza naturale della zona.

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Insomma, la natura della valle di Papeenoo è una testimonianza della straordinaria bellezza e ricchezza biologica della Polinesia francese, e offre ai visitatori un'esperienza indimenticabile di completa immersione nella natura selvaggia e incontaminata.
 
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