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Nel cuore selvaggio della Tanzania

Concordia

Staff Member
Prima di partire per una nuova avventura in Oriente, vi racconterò brevemente di un viaggio intrapreso nello scorso novembre in una nazione che in poco tempo mi ha conquistata.
L’ho conosciuta ed esplorata, dapprima dall’alto, a bordo di un Cessna, e in seguito, respirata e vissuta in tutta la sua estensione territoriale.
In realtà, ho visitato una piccola parte, ma ciò e’ bastato per farmi capire quanto suggestiva e straordinaria sia questa terra.

Il piccolo velivolo sembra una zanzarina impavida in mezzo al vasto cielo che con forza incredibile mi porta da Dar es Salaam, al cuore selvaggio della Tanzania, ed esattamente nel Parco Nazionale di Ruaha.


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Durante il volo, godo della vista di panorami mozzafiato che si alternano come le immagini di un sogno.
Si passa con facilità estrema dalle infinite tonalità del turchese del mare a vaste distese di territorio, ora arido, ora rigoglioso, per passare poi, come d’incanto, a bianchissime lingue di sabbia che serpeggiano rincorrendo grandi fiumi.

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Atterro in mezzo al nulla, lungo una pista di terra battuta, appena accennata.

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Mi accolgono un silenzio inimmaginabile e il bianco sorriso di Manuel, la mia guida personale che mi accompagnerà per i prossimi due giorni.
Ci addentriamo all’interno di questa riserva naturale, senza recinzioni, senza porte d’entrata e di uscite.
Vengo sopraffatta dall’infinita varietà di paesaggi. Mi conquistano le distese di terra color cipria che si confondono, più avanti, con il grigio e l’oro della steppa bruciata dal sole.
Puntellano il paesaggio imponenti baobab, esseri maestosi che conservano gelosamente, all’interno dei loro tronchi rigonfi, l’acqua preziosa.

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Branchi di animali si spostano silenziosi in cerca di una fonte che li disseti.
In novembre, il caldo graffia la terra; tutto sembra immobile nell’attesa di soddisfare la sete, di placare la fame. Fiumi ridotti a pozzanghere dall’arsura, diventano impagabile ricchezza in questi angoli remoti del mondo.

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Atterro in mezzo al nulla, lungo una pista di terra battuta, appena accennata.

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Mi accolgono un silenzio inimmaginabile e il bianco sorriso di Manuel, la mia guida personale che mi accompagnerà per i prossimi due giorni.
Ci addentriamo all’interno di questa riserva naturale, senza recinzioni, senza porte d’entrata e di uscite.
Vengo sopraffatta dall’infinita varietà di paesaggi. Mi conquistano le distese di terra color cipria che si confondono, più avanti, con il grigio e l’oro della steppa bruciata dal sole.
Puntellano il paesaggio imponenti baobab, esseri maestosi che conservano gelosamente, all’interno dei loro tronchi rigonfi, l’acqua preziosa.

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Branchi di animali si spostano silenziosi in cerca di una fonte che li disseti.
In novembre, il caldo graffia la terra; tutto sembra immobile nell’attesa di soddisfare la sete, di placare la fame. Fiumi ridotti a pozzanghere dall’arsura, diventano impagabile ricchezza in questi angoli remoti del mondo.

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Herminia, no comment! Avevo già visto qualcosa in anteprima, che sorpresa! Ora mi godo anche i commenti. Un salutone. Fan
 
Dallo specchio di queste acque spuntano le corazze rugose di pigri ippopotami e le minacciose fauci dei coccodrilli. I loro corpi galleggiano come tronchi d’albero.
Quando finalmente arriva la pioggia, questa viene dapprima quasi prosciugata dall’aria assetata, per poi evaporare ad un soffio dalla terra.
Laddove l’acqua arriva più copiosa, invece, si assiste al nascere di un caleidoscopio di fiori.

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Una vesta nuova copre persino le parti di terra bruciate dai bracconieri, in lotta continua contro i rangers, per la conquista di nuovi territori da sfruttare.

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Alle 6.30 del giorno dopo, sono già a bordo del fuoristrada per un’altra giornata di avventura, alla scoperta di altre creature che abitano nella riserva.

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L’aria è ancora molto fresca. Mi copro con uno shuka, il tipico telo di lana indossato dai guerrieri Masaai.
Dopo un paio d’ore, quando l’aria si surriscalda, Manuel scende dal mezzo in cerca di alcune balle di sterco di elefante. Le accende con un accendino e le depone in un contenitore posto nella parte posteriore del jeep. Ne fuoriesce una scia dall’odore acre che, durante il tragitto, tiene lontani i tafani.

Gli incontri con i bellissimi animali selvaggi sono emozionanti e il sistema usato dalla guida per scovarli, mi sorprende non poco.
Quando vede degli avvoltoi svolazzare in lontananza, sa che nelle immediate vicinanze c’è una carcassa e quasi sicuramente, a poca distanza, un ghepardo o un leone che ha finito di pasteggiare.
Quando intercettiamo un grosso leone, mimetizzato in mezzo al bush, ci avviciniamo a lui lentamente.
Il motore del fuoristrada viene spento. Il silenzio regna. I nostri sguardi s’incrociano a non meno di sei metri di distanza.
Riesco a distinguere le sue vibrisse e a sentire il suo alito caldo.
Quasi subito mi pervade un senso di meraviglia misto a disagio e ad un timoroso rispetto. Intimidita dalla sua possente mole, distolgo lo sguardo da lui e mi inchino a tanta fierezza.
“Let’s go!” - sussurro a Manuel. Il fuoristrada riparte squarciando la quiete del luogo. Il leone non si scompone neanche, ma continua a godersi l’ombra, senza distogliere l'attenzione dal suo sconfinato regno.

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.....
 
Ultima modifica:
Più avanti vedo un piccolo gruppo di giraffe e zebre nascoste fra gli alberi. Mi incantano, non mi stanco mai di ammirare la loro pelle maculata. Fuggono alla nostra vista in modo aggraziato, quasi senza sfiorare il terreno ed evaporano, lasciandosi alle spalle, una delicata nuvola di polvere.

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Gli impala, invece, quando non ci saltellano davanti come impalpabili farfalle, restano immobili sotto gli alberi a confondere le esili corna fra i rami contorti. Quale momento migliore per scattare una fotografia!

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Davanti a questo scenario, sostiamo per una meritata pausa.

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Ultima modifica:
mi associo ai complimenti per questo viaggio fantastico !
seguirò i tuoi aggiornamenti. grazie.
 
Giusri, Sergio, Maddalena, grazie di cuore!


Manuel, aiutato dall’autista, allestisce il necessario per il pranzo. Quanto ben di Dio era stipato in quegli strani contenitori di alluminio! Mi accomodo su una sedia da campeggio e faccio una scorpacciata di patate aromatizzate con il rosmarino accompagnate da un secondo piatto di piselli stufati. Non mangiando carne, lascio la mia razione di pollo alla guida che sembra apprezzare molto.

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Finito di pranzare, mentre sono assorta ad osservare il paesaggio, Manuel mi si avvicina furtivo e mi dice con un filo di voce, di voltarmi piano e guardare dietro di me. Spaventata, sgrano gli occhi; lui avverte la paura sul mio volto e mi rassicura subito con un sorriso. Mi giro piano e vedo sulla corteccia dell’albero che ci ripara dal sole, una strana creaturina dai colori sgargianti.
Il mio stupore sale alle stelle e con il fare tipico dei bambini gli chiedo cosa sia quel piccolo essere.
“It’s an Agama lizzard!” - mi risponde divertito.
Una lucertolina così bella e variopinta non l’avevo mai vista!

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Con l’aiuto di un binocolo, la guida avvista un branco di bufali che pascola sull’altra sponda. Attraversando il letto del fiume, noto delle buche profonde lasciate dalle proboscide degli elefanti, nella ricerca spasmodica dell’acqua.
Lungo il tragitto, colpiscono alla vista le grandi carcasse in carne e i resti di scheletri di chissà quali sventurate creature abbandonate dall’esistenza.
Ma c’è poco da stupirsi. Nella savana non c’è distinzione alcuna tra la vita e la morte. L’una sussiste grazie all’altra.
Tutto ondeggia, tutto si muove all’interno di questo delicato equilibrio.
Raggiungiamo da lì a poco la macchia oscura dei bufali.
Si fermano avanti a noi, sbarrandoci la strada.

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Ci fissano in silenzio, immobili. Sembrano scambiare informazioni con una parte sconosciuta della nostra coscienza. Lo spazio sembra dilatarsi, i pensieri si smaterializzano per lasciare spazio ad un invisibile vortice di emozioni senza nome.
Posso immaginare che quel piccolo ci stia dicendo: “Di qui non si passa!”
Sorrido all’idea ma sento che ha ragione. Chissà cosa pensano di noi. Mi sento come un’intrusa, venuta da chissà quale pianeta, in cerca di chissà che cosa.
 
Ultima modifica:
Nel tardo pomeriggio rientriamo al Mdonya Old River Camp. Questa struttura ricettiva che è costituita da una decina di grosse tende da campeggio, poste sui dei basamenti di legno, si trova all’interno del parco nazionale. Tra le tende ci sono una adibita a salotto da thè e l’altra destinata alle cene serali.

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Non essendoci ricenzioni è possibile vedere circolare in libertà ogni sorta di animali.
Non c’è dubbio che ho faticato ad addormentarmi la prima notte, tra richiami di iene, ruggiti di leoni in lontananza e altri versi a me sconosciuti.

Dopo una doccia rinfrescate, mi godo la tranquillità davanti alla mia tenda.
Riesco a distinguere chiaramente almeno una decina di cinguettii diversi e il frinire quasi assordante dei grilli. C’è un insetto in particolare molto fastidioso che emette uno stridio metallico simile a quello emesso da dieci elicotteri mesi insieme.
Più in là, alcune scimmiette si rincorrono scambiandosi smorfie strane e tirandosi a vicenda le lunghe code.
Il tempo di bere un rinfrescante thè alla citronella e il crepuscolo cala su questo sipario naturale.

Alle 20, essendo molto buio, un Masaai arriva con una torcia accesa per accompagnarmi alla tenda dove sarà servita la cena. L’incontro era stato preventivamente accordato in quanto agli ospiti è fatto divieto assoluto di aggirarsi per il campo una volta calata la notte.
I cibi sono gustosi e mi ricordano i lontani sapori dell’India in cui le spezie si confondono con il sapore dolciastro della yucca e con quello delle verdure saltate.
La proprietaria del Campo, che cena insieme a noi ospiti europei, è una australiana che ha deciso, tempo fa, di trasferirsi in questa terra, lasciandosi alle spalle tutte le comodità che una vita agiata può offrire.

Dopo cena, non essendoci altro da fare, ci raduniamo intorno al fuoco. L’aria è fresca e mi sorprende dover tremare dal freddo nel cuore dell’Africa. Sento l’odore della pioggia in lontananza e vedo i lampi che illuminano a giorno l’orizzonte.
Il volto del Masaai si accende alla luce delle fiamme....
 
Concordia, bellissime foto, e bellissimo racconto.
Viviamo tutti nello stesso Mondo, ma quante affascinanti e straordinarie diversità...

Grazie ed un saluto.
 
......non ci sono parole......
Grazie per aver voluto condividere con noi questa fantastica esperienza!!

Un bacione a presto !
 
Sto quasi trattenendo il respiro aspettando il seguito di questo racconto fantastico con delle foto meravigliose.
Grazie Herminia!!!!
 
Grazie Herminia! Questo crocieristi.it mi piace sempre di più perchè mi porta dall'Alaska al cuore del continente africano. Fortunato quel giorno in cui l'ho scoperto. Ciao coraggiosa esploratrice. Fan
 
Da perdere il fiato.....
Sono stato a Zanzibar, e prossimamente farò sicuramente anche la Tanzania continentale, dopo queste foto poi.....
 
Grazie , ragazzi. Mi fa piacere che appreziate le meraviglie del mondo. Andrea, non perderti quell'occasione!

Il seguito:....

.....non riesco a trattenere lo stupore davanti alla presenza di un essere così diverso e simile a me. Tuttavia, riesco a percepire il lumicino di una grande anima.
Mi catturano il suo abbigliamento, la lunga capigliatura, lo splendido diadema posto sulla fronte e i bracciali bianchi che coprono i suoi avambracci.

Porto tutta la mia attenzione sulla miriade di perline bianche che compongono ogni bracciale.
“Questi me li ha regalati mia madre quando ho dovuto uccidere un leone che era entrato nel nostro recinto.
“Hai ucciso un leone da solo?” gli chiediamo increduli.
“Si, i leoni hanno molta paura di Masaai. Io mi sono fermato davanti a lui e l’ho fissato negli occhi per lungo tempo. Poi è andato via arreso.
Il giorno dopo è tornato e ha attaccato le nostre mucche. Allora io ho preso la lancia e l’ho ucciso!”

Ascolto incredula. Non ho mai sentito una storia così cruda e allo stesso tempo lontana dal nostro quotidiano vivere.
Noi uccidiamo mosche e zanzare perché ci infastidiscono, i Masaai uccidono per la sopravvivenza.

Gli porgiamo le domande più disparate. E lui risponde con una serenità disarmante.
Ci racconta della bellezza della sua terra e della infinità di animali impegnati nelle peregrinazioni giornaliere al cospetto del Kilimangiaro;
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ci parla di come costruiscono e come vivono in piccole case fatte di fango e paglia, che per entrarci, devono quasi inginocchiarsi; e ci parla persino di Enkai…
“Enkai è grande. Lui molto buono con noi e ci protegge dai Shetani cattivi” – dice puntando l’indice verso il cielo.
 
Ultima modifica:
Ultima parte

Mentre racconta osservo le sua mani. Le dita affusolate giocherellano con l’inseparabile bastone di legno.
Ogni tanto porta dietro le spalle un lembo del mantello che gli scivola in avanti. Lo fa con un gesto aggraziato, quasi femminile e lo accompagna con un movimento della testa all’indietro che fa vibrare in aria la lunga capigliatura.
attualmente i Masaai sono mansueti pastori che conducono un’esistenza semplice, volta a procurarsi, dalla natura, i beni di prima necessità.

La fama, il mito del guerriero va perdendosi con il passare degli anni.
Le nuove generazioni cercano lavoro in città o si propongono come guardiani nei luoghi di villeggiatura; molti di essi sanno leggere, scrivere e hanno dimestichezza con cellulari e internet; parlano più di una lingua e come cristiani credenti, sono rispettati e temuti dai giovani musulmani.

Nella solitudine della notte scrivo al lume di candela, mettendo alla prova la mia debole vista. La mia mano scorre veloce su questo foglio di carta, proiettandoci un’ombra familiare, forse il profilo di un ghepardo, o l’ombra di un piccolo e timido sciacallo.
Nel contempo, sento in lontananza il guerriero Masaai intonare un canto che sa di gioia e che sgorga dal cuore. E, mentre immagino il suo sorriso splendere in questa meravigliosa notte tanzaniana, mi addormento al suono di questa ancestrale ninna nanna.
Il mattino dopo, il Cessna decolla seguendo rotta est-sud-est, alla volta di Zanzibar. Dal finestrino guardo lo sconfinato scenario che si distende sotto ai miei piedi.
Sorprendo il mio respiro farsi corto e accelerato, quasi s’inceppa.
Inaspettate lacrime esondano dal confine corvino dei miei occhi e mi chiedo, incredula, se ciò sia l’effetto del mal d’Africa.
Possibile, in così poco tempo?
Il destino, più forte di qualsiasi volontà, mi ha portato con decisione in questa terra che mi sembra di aver già calpestato, amato e vissuto in un altro tempo, in un’altra vita. Ricordo senza ricordare la mia gente, la mia cultura, i colori e le sfumature di questo angolo di pianeta, da dove partì il mio lungo cammino.

Fine


Caratteristiche del viaggio

Dove: Tanzania, Ruaha National Park
Periodo: novembre- dicembre 2011
Prezzo: 700$ 3 giorni, 2 notti in FB con pernottamento presso il Mdonya Old River Camp.
Voli nazionali garantiti dalla Coastal Aviation. Durata complessiva del volo da Zanzibar a Ruaha, 3 ore.
Requisiti per l’ingresso: Passaporto con almeno 6 mesi di validità dalla data del rilascio; Il visto può essere acquistato all’arrivo presso gli aeroporti principali al costo di $ 38.
Vaccinazioni: non richieste. E’ tuttavia consigliata la profilassi antimalarica soprattutto se ci si reca all’interno del paese.
Fotografia: per fotografare gli animali, un obiettivo 300 mm o superiore è perfetto. Si possono fotografare le persone previo permesso.
 
Straordinario...uno dei miei "sogni nel cassetto"

Grazie di averci regalato questa meraviglia Herminia!;)
 
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