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Emozioni Sudafricane e relax a Mauritius

Grazie Monica per questo meraviglioso reportage!..
Un viaggio davvero fantastico e le tue foto sono splendide!
Troppo avventuroso per me, ma se me lo racconti tu va bene!...Brava!!!...Complimenti anche per le descrizioni, sembra di essere lì con te!...

Grazie Elide, sono contenta di condividere con chi apprezza i miei racconti.
Monica, mi stai regalando delle emozioni incredibili.......tramonti a parte, che adoro, tutto il resto è pura magia:)
Grazie anche a te Franziska per i complimenti

Eccomi Monica, qualcosa avevo visto in anteprima...che natura meravigliosa!! Splendide immagini!
Eh, lo so che spiavi i miei stati ;)
 
Dopo pranzo siamo ripartiti per un nuovo safari nella zona dei rinoceronti. Incontriamo altre giraffe.

Ma ecco che nella boscaglia si sente il rinoceronte; subito non riusciamo a vederlo nascosto tra la vegetazione ma poi eccolo lì, immenso. Non me lo immaginavo così grande. Si tratta di un rinoceronte bianco che si differenzia da quello nero non per il colore ma per le dimensioni e per la forma della bocca. Il rinoceronte bianco è più grande e ha le labbra lineari e la bocca larga, quello nero è più piccolo e ha la bocca “appuntita”.

Il nome “bianco” deriva da una errata traduzione della parola Afrikaans wijde (pronuncia uaid) che significa largo riferito alla bocca e che è stata adattata all’inglese white, bianco. L’altra specie è perciò diventata nero.

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Con la jeep ci spostiamo girando attorno a dove era il rinoceronte per vederlo meglio ma ecco che proprio mentre siamo nel mezzo della boscaglia si fora una gomma. Tutti giù! Non vi dico la nostra preoccupazione per essere in mezzo alla boscaglia che non ci permetteva di vedere oltre 2-3 metri e sapere che lì in giro c’era quel bestione!

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Come avrete notato questo rinoceronte è senza corno; gli è stato tagliato per difenderlo dai bracconieri che uccidono questi animali per asportare il corno che al mercato nero può arrivare a valere alcune migliaia di dollari. Il bracconaggio è una piaga anche nelle riserve private. Quella dove siamo stati noi ha un gruppo di guardie che setacciano il parco giorno e notte per proteggere gli animali e ci hanno chiesto di non divulgare il nome della riserva proprio per salvaguardare gli animali.

Ripartiamo sulle strade sterrate della riserva


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Durante le nostre scorribande nella riserva abbiamo visto moltissimi termitai, spesso alti quanto un uomo.

Incontriamo i kudu con le caratteristiche corna e le strisce bianche verticali sui fianchi e una antilocapra che fugge via velocissima e che è impossibile fotografare.

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Ma inizia ad imbrunire ed è il momento del nostro secondo aperitivo sotto un tramonto spettacolare.

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Mentre stiamo tornando al lodge per la cena chiamano il ranger per avvisarlo che i leoni stanno scendendo verso un corso d’acqua per abbeverarsi e che c’è anche il maschio. Invertiamo la rotta e dopo un po’ ci ributtiamo nella boscaglia con la jeep. Non vi dico quanta attenzione per schivare tutti i rami, alcuni di acacia che ci venivano addosso. Abbiamo girato per circa un quarto d’ora ma dei leoni alla fine nessuna traccia.

E' stata una giornata veramente emozionante: la tenerezza ispirata dal cucciolo di giraffa; incredulità quando ci siamo avvicinati a piedi al ghepardo (non avrei mai creduto che fosse possibile); meraviglia per i paesaggi e per quanto è grande il baobab; eccitazione quando ci siamo buttati alla ricerca del leopardo; un po’ di paura quando siamo dovuti scendere dalla jeep mentre vicino si aggirava un rinoceronte; ammirazione per il terzo tramonto sudafricano (non ci si abitua mai alla bellezza)
 
20 giugno

Un’altra levataccia per l’ultimo safari alla ricerca dei bufali. Non siamo riusciti a vederli ma abbiamo vissuto altre emozioni. Incontriamo un paio di elefanti che stanno mangiando a lato della strada.

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Ci fermiamo per qualche fotografia ma mentre stiamo ripartendo, appena la macchina prende un po’ di velocità uno dei due inizia la carica. Io e mio marito che eravamo seduti dietro negli ultimi due posti ce lo siamo visto quasi addosso.

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Abbiamo avvisato il ranger che anziché accelerare si è fermato un po’ più avanti e poi ha iniziato ad indietreggiare lentamente fermandosi di nuovo a poca distanza dall’elefante che a quel punto è rientrato tra la vegetazione ed ha continuato a mangiare tranquillo. Probabilmente lo aveva disturbato il movimento repentino della jeep. Anche nei predatori, compresi i cani o i gatti, i movimenti rapidi fanno scattare l’istinto della predazione: è per questo che ci sono cani che inseguono i ciclisti o aggrediscono chi corre.

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Ci dirigiamo verso una zona pianeggiante dove la boscaglia lascia spazio ad una ampia radura e qui troviamo un altro nutrito gruppo di giraffe ed assistiamo ad una lotta tra maschi. Sembra quasi una danza ma i colpi che si danno con il collo a volte sono addirittura mortali per uno dei due contendenti.

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Questo sarà il safari più breve poiché dobbiamo prendere un aereo che porterà noi a Città del Capo e i nostri compagni di viaggio a Johannesburg per continuare i loro viaggi o tornare a casa. Incontreremo nuovi viaggiatori a Cape Town.

Ancora uno sguardo ai dintorni mentre rientriamo al lodge dove ci sarà la colazione e poi la partenza.

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Attendiamo che carichino le nostre valigie su una jeep mentre una piccola scimmia continua a saltellare da un ramo all’altro. Si tratta di un cucciolo di cercopiteco che in questa zona sono molto diffusi insieme ai più grossi babbuini.


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Sul prato sottostante c'è anche un adulto, forse la madre

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Ma è venuto il momento di salutare e di salire sulla jeep che ci farà percorrere l’ultimo km sulla strada sterrata fino all’ingresso della riserva. Saliamo sul pulmino che è venuto a prenderci e inizia il viaggio che ci porterà lungo la Panorama Route......
 
Riprendiamo dalla partenza dal lodge; ci aspettano circa 3 ore di viaggio prima di arrivare alla nostra prossima meta.

Lungo il primo tratto di strada sia a destra che a sinistra si susseguono decine di riserve per i safari e incontriamo un facocero, un babbuino e altri kudu.

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Attraversiamo diversi piccoli centri abitati caratterizzati da piccoli chioschi dove si vende di tutto: i più particolari sono uno in cui si possono fare fotocopie e un altro che consisteva in 4 pali piantati per terra a sorreggere una tenda che ne costituiva il soffitto, una sedia di plastica e la scritta “Barber Shop”!

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Ma ci sono anche i supermercati e anche qui dove si cambiano le gomme si può mangiare carne alla brace, nell’attesa che la macchina sia pronta.

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Pian piano siamo saliti verso l’altopiano attraversando boschi di pini e di eucalipti. Entrambe queste specie non sono autoctone ma sono state introdotte per avere legname da utilizzare nelle costruzioni. In particolare i boschi di pini vengono tagliati ogni circa 20-30 anni. Poi viene dato fuoco per eliminare sterpaglie, aghi e ceppi per poi ripiantare nuovi alberi.


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Ma eccoci sull’altopiano da dove raggiungeremo Graskop.


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Questa cittadina è stata fondata nel 1880 da cercatori d'oro; oggi è un centro turistico poichè nei suoi dintorni ci sono diverse attrazioni.
 
Qualche km fuori città si trova una profonda gola in cui è possibile scendere agevolmente utilizzando un ascensore panoramico. Sul fondo della gola si trova una foresta che ancora rispecchia quelle che erano le foreste autoctone della zona.

Nel sito sono anche presenti ponti tibetani per i più audaci.

L’escursione prevedeva la discesa e un breve trekking nella foresta ma l’ascensore era rotto e l’unico modo per scendere sarebbe stato utilizzando i sentieri e le passerelle lungo le pareti della gola, ma ci sarebbe voluto troppo tempo così ci siamo dovuti accontentare di qualche fotografia dall’alto e di un giro nella struttura turistica.


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Qui si può vedere la sezione trasversale di un outeniqua yellowwood; si tratta di una conifera tipica di questa zona. All’interno della foresta di Graskop c’erano diversi di questi alberi alcuni dei quali raggiungevano l’eccezionale altezza di 60 metri e che furono tagliati tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900.

In particolare quello della sezione si calcola avesse tra i 700 e i 900 anni e la forma così frastagliata dipendeva dal blocco della crescita da una parte e una veloce crescita dall’altra. Sembra che questo sia da attribuire al raddrizzamento del tronco quando l’albero veniva inclinato da vento o quando l’inclinazione era determinata dalla ricerca di luce.

Poco distante ci fermiamo per una sosta fotografica ad una cascata.

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La nostra meta successiva sono le formazioni geologiche di Bourke’s Luck Potholes: le buche della fortuna di Bourke.

Il nome "Bourke's Luck" deriva dal cognome di Tom Bourke, il cercatore d'oro che tentò di trovare l'oro nella zona.

Secondo quanto ci ha raccontato la guida sembra che Bourke abbia effettivamente trovato l’oro e si sia arricchito mentre sul web diverse fonti ritengono che la parola "fortuna" nel nome sia un riferimento alle aspirazioni e alle aspettative di Bourke di arricchirsi con l'oro nella regione, che, sfortunatamente, non si sono materializzate come aveva sperato.

Queste buche si sono formate nel corso di migliaia, forse milioni di anni, per l’erosione causata sul substrato roccioso dalla sabbia, ciottoli e frammenti di roccia trasportati dai fiumi. In particolare in questa zona dove si incontrano i fiumi Treur e Blyde le correnti sono particolarmente forti e l’azione erosiva è particolarmente intensa. Le sabbie e i sassi trasportati dalle correnti agiscono come agenti abrasivi sfregando costantemente contro il substrato roccioso mentre vorticano nei vortici. Questa azione di macinazione nel corso di innumerevoli anni ha portato allo scavo delle cavità.

I nomi di questi due fiumi, Treur che significa “lacrime” e Blyde che significa “gioia” (in afrikaans), sono legati a un episodio avvenuto nei dintorni attorno al 1840. Un gruppo di Boeri partirono da Cape Town per raggiungere nuove terre. Dopo oltre 6 mesi di viaggio su terreni particolarmente accidentati che rallentavano l’avanzare dei carri si fermarono sulle rive del Treur. Una piccola spedizione fu mandata in cerca di provviste in una città che si sapeva a circa 3 mesi di viaggio. Passarono 6 mesi ma non tornò nessuno, passarono altri 6 mesi e la piccola comunità decise di spostarsi battezzando il fiume “lacrime” per il dolore della perdita dei compagni non più tornati. Si accamparono vicino al fiume Blyde e lì furono raggiunti dai compagni che avevano creduto perduti e battezzarono il fiume “gioia”.

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Iniziamo la discesa verso le passerelle che ci permetteranno di vedere queste spettacolari formazioni e dall’alto iniziamo a vedere il fiume Treur. Ma eccoci sopra le prime passerelle e alle ripide pareti tra cui scorre il fiume Blyde.

Giù in fondo si vedono le buche di Bourke.

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