Unoche... a conferma della tua "denuncia":
14 aprile 2008
elezioni politiche
marittimi: 35.000 senza diritto di voto
Roma. Li chiamano i cittadini invisibili. Esistono, lavorano, pagano le tasse. Ma arriva sempre un momento in cui, per lo Stato italiano, è come se non ci fossero. Sono i 35.000 lavoratori marittimi che non possono esercitare il diritto di voto perché imbarcati su centinaia di petroliere, portacontainer e navi da crociera in navigazione lontano dall’Italia. Trentacinquemila voti mancati: a Romano Prodi, due anni fa, ne bastarono diecimila in meno per assumere la guida del Paese.
«Una barzelletta», la definisce, cercando rifugio nell’ironia, il presidente dell’Ipsema, l’istituto di previdenza dei marittimi, Antonio Parlato, ricordando i solenni impegni presi da governi e parlamentari nel corso degli anni. Una barzelletta che non fa più ridere, ma che, anzi, offende decine di migliaia di persone «la cui unica colpa è quella di lavorare su una nave». «Sa qual è la cosa più triste? E’ che siamo uno dei pochi Paesi a non avere ancora trovato una soluzione al problema – racconta Parlato – Eppure gli esempi positivi, anche recenti, non mancano. Nel 2005 la Polonia ha approvato una legge che ha posto fine alla discriminazione a danno dei marittimi. Pochi mesi più tardi, l’Estonia ha inserito nella Costituzione il diritto al voto per i lavoratori naviganti. Due anni fa addirittura il Belgio, paese che non vanta certo una storia di marineria come la nostra, ha adottato il voto elettronico per chi, durante il periodo elettorale, si trova su una nave. Solo la Gran Bretagna è nelle nostre desolanti condizioni».
Ma è così complicato consentire ai 35.000 marittimi di esercitare il loro diritto al voto? «Assolutamente no. Se votano i militari impegnati in missione all’estero, non vedo perché la stessa cosa non si possa fare con i marittimi. Il comandante di una nave è, a tutti gli effetti, un ufficiale di stato civile: nessuno può impedirgli di svolgere le funzioni di presidente di seggio. Non si vuole introdurre il voto elettronico a bordo? Benissimo: si voti quando la nave è ormeggiata, e alla raccolta delle schede provvedano consolati e ambasciate. Si faccia qualcosa, insomma. Altrimenti, e lo dico con molta amarezza, il suffragio universale, in Italia, non potrà mai dirsi completo». Gli impegni della politica, quelli non sono mai mancati. «Di promesse ne abbiamo ascoltate tante – conferma il presidente dell’Ipsema - Per questo parlo di barzelletta. E pensare che il ministro Tremaglia, con la sua battaglia sul voto agli italiani all’estero, andò vicino a risolvere il problema. Poi, chissà perchè, negli anni ci si è dimenticati della questione. Malafede? No, non credo proprio. A differenza di altre professioni, i lavoratori marittimi non sono collocabili a destra piuttosto che a sinistra: sono cittadini come altri, con idee e posizioni diverse fra loro. Ma, dico io: si vota nelle carceri, è mai possibile che su una nave questo diritto venga negato?».
L’ultimo tentativo dell’Ipsema di sollecitare le istituzioni è datato 23 gennaio 2007: «Scrissi una lettera al ministro Amato per ricordargli l’urgenza del problema. Il governo non era ancora in crisi, eppure non ottenni neppure una risposta. E oggi eccoci qui, con le elezioni in corso e 35.000 cittadini di serie B che non possono scegliere i loro rappresentanti in parlamento. La lesione costituzionale mi sembra evidente: lo dico da avvocato, non da presidente dell’Ipsema». Ma cosa c’è alla base di questo scandalo? «La verità è che in Italia manca una visione organica del settore marittimo. Basti pensare che ancora oggi, non esiste ancora una vera e propria anagrafe dei marittimi».
Francesco Ferrari
(da Il Secolo XIX)