In Italia la giustizia fa ridere e questo lo sanno tutti specie i delinquenti.
(...) dire che qualcosa non va e che non sia giusto si può credo o si rischia di mancargli di rispetto?
No, no, si può eccome. Questo non è un attacco alla persona, è una riflessione generale.
Io sarei teoricamente di quelli che "si chiude la porta e si butta la chiave", e se le carceri non bastano non si fa un indulto, se ne costruiscono altre.
Ma io sono una persona piccola piccola, con delle emozioni, dei sentimenti personali, e l'illusione di un mondo perfetto e più giusto; ma comprendo anche che il legislatore non può ragionare come una singola persona, né avere emozioni e sentimenti (di solidarietà o di rabbia che siano).
Se in Italia per legge, come in tutto il mondo occidentale, la pena serve - almeno in teoria - alla riabilitazione e non alla vendetta, allora non può togliere al detenuto la speranza nel futuro.
Con questo criterio di base si sta arrivando all'abolizione anche dell'ergastolo ostativo (regime riservabile ai condannati per reati gravissimi tipo i mafiosi e gli omicidi volontari, in cui - se comminato - davvero si butta la chiave e non si esce mai più, neanche in permesso). La mia prima reazione alle varie proposte di legge fu fortemente negativa, ma pare che il condannato senza speranza peggiori il suo comportamento, invece di migliorarlo.
In seguito ho conosciuto personalmente un condannato all'ergastolo ostativo, che dopo oltre 40 di carcere senza mai mettere piede fuori non era più minimamente la stessa persona che era al momento del reato: in carcere aveva studiato, si era laureato, aveva elaborato la propria colpa e maturato una coscienza (che a 18 anni non aveva), aveva contribuito a migliorare le condizioni carcerarie e lo stava ancora facendo spiegando e divulgando le ragioni in favore dell'abolizione dell'ergastolo ostativo. Nonostante il fine pena mai (nel suo caso davvero), probabilmente era questa la flebile speranza che lo teneva vivo e lo faceva agire per il meglio.
Senza arrivare all'ergastolo ostativo, ma un detenuto così lo abbiamo conosciuto tutti: Sergio Cusani. Condannato per "Mani Pulite", ma dotato di cervello, cultura, carattere e molte risorse personali, in carcere mise a frutto le sue capacità per fare e lasciare qualcosa di buono: autorizzato dall'amministrazione penitenziaria aprì biblioteche, creò attività per migliorare le condizioni detentive, avviò diversi progetti di recupero che segue ancora oggi da uomo libero. E allora mi domando: sarebbe stato più utile destinarlo a un regime carcerario vendicativo e oltremodo punitivo che lo facesse solo languire senza uno scopo?
Io non so cosa sia più giusto, e il legislatore correttamente non può e non deve agire sull'onda dell'impulso, del singolo caso, o dell'emozione del momento (neanche collettiva) che porterebbe a norme inappropriate troppo presto da rivedere, ragione per la quale i tempi di decisione sono sempre volutamente molto lunghi e ponderati. Di abolire l'ergastolo ostativo per esempio si parla da molti anni, senza che in Parlamento si sia ancora giunti a una soluzione condivisa.
Pur avendo legittimamente delle opinioni e dei sentimenti personali, come dicevo all'inizio, io non mi sento in grado di giudicare in senso assoluto cosa sia più giusto nel trattamento dei detenuti: non conosco a fondo la materia, non ho esperienze personali, e come semplice cittadino la mia visione è troppo personale e limitata.
Ma quando si commentano pubblicamente fatti e circostanze che presuntuosamente crediamo di conoscere e capire benissimo, forse dovremmo tutti riflettere un po' meglio che dietro ci sono delle persone di cui non sappiamo niente, e opportunamente mantenere un contegno più distaccato e meno da haters dei social.