Cap. 12 – Civitavecchia e la fine di un sogno
L’ultimo giorno è forse il più difficile da raccontare. Le valigie sono già andate, il conto dei servizi acquistati a bordo ti regala il suo allegro buongiorno nella buca, la camera deve essere lasciata alle 8.00.
Improvvisamente quella che fino a poco prima era stata la tua “casa” ti rigetta fuori e si venderà ad altri personaggi, pronta a vivere una nuova storia che potrebbe essere diametralmente opposta alla tua: vedrà sorrisi o litigi, chiacchiere di anziani o risate di bambini, partite di bridge o di briscola, confidenze di sorelle o sesso sfrenato. Chi potrà mai dirlo? Diventi geloso, pensando che il cabinista così cordiale rivolgerà le stesse attenzioni al pensionato tedesco o alla fastidiosissima signorina francese, così anche i camerieri del tavolo di cena e tutto l’equipaggio che con te aveva avuto a che fare per dodici lunghi giorni, che improvvisamente si avverte come siano volati via.
La sera prima abbiamo trovato i talloncini con l’orario di discesa dalla nave: arancione, poi cambiato in rosa. Eravamo nell’ultimo gruppo ad abbandonare la nave: il volo di ritorno alle 18.00 ci permetteva di restare a bordo un po’ di più.
E così, una volta chiusa quella fatidica porta, anche se ancora a bordo, la nostra crociera si poteva dire conclusa. In una nave quasi vuota, già rivolta agli imbarchi del pomeriggio, ci siamo dovuti intrattenere fino alle 11.45. Fino alle 9.30, in compagnia dei nostri amici con un lungo addio che, inevitabilmente, è diventato un arrivederci; quindi nei tavolini al ponte 10 abbiamo ingannato l’attesa con dei giochi da tavolo presi in libreria; infine, verso le undici dirigendoci a teatro dopo aver preso il bagaglio a mano nella discoteca adibita a deposito.
In questo vagare di due ore e mezza per la nave, ci hanno fatto compagnia gli sguardi malinconici degli altri passeggeri che via via venivano chiamati ad abbandonare la nave. E anche una improvvisa sequenza di 7 fischi brevi e uno lungo, che ci ha fatto guardare intorno con circospezione, ma che in realtà riguardava una semplice esercitazione riservata all’equipaggio.
“Polip”, poi ribattezzato “Pelosino”, il pupazzetto acquistato dai miei figli negli shop di bordo, indiscusso protagonista del viaggio di rientro.
Al teatro, infine, ultimi sprazzi di vita a bordo discutendo del più e del meno con gli addetti allo sbarco. Quindi, puntuali come un orologio svizzero, alle 11.45, arriva il nostro via libera. Ci avviamo mogi all’uscita e non possiamo non rivolgere lo sguardo all’indietro mentre scendiamo per l’ultima volta al ponte A.
E’ finita.
Troviamo i bagagli direttamente all’uscita del terminal, e ci dirigiamo alla navetta che ci porta all’uscita del porto di Civitavecchia.
L’ultimo sguardo alla Deliziosa, vista dalla fermata del bus di Civitavecchia
Sono le 12.15, il volo è alle 18.00. Le 4 ore di vuoto dovrebbero essere sufficienti a raggiungere l’aeroporto, visto che non è previsto in alcun modo un collegamento diretto fra il principale porto di Roma e l’aeroporto di Roma.
In mezzo ad un mare di improvvisa romanità, aspettiamo le varie navette, la cui salita ricorda bene la calca per i bus di Santorini di una settimana prima, ma stavolta per di più tutti con le valigie.
Quando finalmente riusciamo a salire, sull’ultima delle ultime navette, e ci incamminiamo fuori dal cancello del porto lanciamo un ulteriore sguardo all’indietro per trovare un… AUTOBUS PER FIUMICINO!!! Scatta la sequenza delle “maleparole” (leggasi: parolacce, discretamente colorite, in un siciliano stretto che mi appartiene solo di rado).
Questo autobus, della PRONTOBUS, con il cartello della destinazione FIUMICINO AEROPORTO, mi tormenterà nelle 3 ore successive, pensando a quanto avessi potuto evitare, e anche dopo il ritorno, perché sul sito della ditta di trasporti, ad oggi, non vi è alcuna traccia dello stesso.
Il ritorno a casa è un po’ tormentato. Lunga attesa alla stazione di Civitavecchia per prendere il treno per Roma Ostiense, dovuta alla solita francese che per fare i biglietti ci ha messo 18 minuti (macchinette automatiche fuori uso!) facendo partire il primo treno disponibile, scambio a rotta di collo alla stazione Ostiense a Roma perché il primo treno per fiumicino è partito 3 minuti dopo il nostro arrivo. Questa grande corsa con le valigione da imbarco non è stata una passeggiata: abbiamo clamorosamente patito la scellerata politica aziendale del porto di Catania che ha impedito l’accesso delle navi da crociera immettendo una tassa per lo smaltimento dei rifiuti esorbitante, costringendoci a salire e a scendere dalle navi a migliaia di chilometri da casa con conseguenti spostamenti.
A Roma, dopo una lunga sosta da McDonalds e le attese classiche da aeroporto, ci imbarchiamo in perfetto orario. Per la prima volta in vita loro, al quarto volo, i bambini si addormentano prima del decollo e vengono svegliati dall’atterraggio. La stanchezza ha preso il sopravvento proprio alla fine: sono stati due angeli – un po’ tormentati, è vero – ma in fondo si sono comportati discretamente a dispetto delle mie paure nascoste e mai confessate.
All’arrivo a Catania, una volta recuperate le valigie, nonni e zia da abbracciare, sorrisi e qualche lacrima, la mia macchina da riguidare verso casa e un tramonto alle spalle dell’Etna che ci accoglie stupendoci come ogni giorno.