Grazie Rodolfo, troppo gentile ... ecco la "mano" originale :
Ognuno di noi ha almeno una vaga conoscenza del popolo eschimese, o Inuit.
Personalmente mi sono avvicinata a questo popolo da piccola, quando, per puro caso, ho scelto di leggere uno dei romanzi per bambini più belli che io abbia mai letto.
Adoro leggere, avere libri intorno, una libreria tutta mia in casa, libri sul comodino e sopra il tavolo. Ne sono gelosa, li tratto con delicatezza per non sciuparli, li tengo dietro alle vetrine per proteggerli dalla polvere.
E quando mi sento un po' giù, vado in libreria e passo il tempo a sfogliare, leggere, curiosare pagine. Amo l'odore della carta dei libri, toccarli, sfogliarli, mi rilassa. I libri mi scaldano il cuore, la mente, l'anima.
Sono "la mia soluzione", il "rimedio per eccellenza", i miei migliori amici.
Leggere mi porta in altri mondi, mi distacca da tutto, mi calma, mi accresce.
Leggo saggi, mi riempio di informazioni, studio materie sconosciute, cerco di apprendere tutto ciò che posso, mi interessano molti argomenti. Sono triste di non possedere tanta conoscenza, e mi viene da sorridere quando penso che il mio nome, Sonia, significa "Sapienza". Sembra quasi un destino, questa inesauribile fame di "sapere"!
Ovviamente questa passione per i libri è nata con la lettura di romanzi per bambini, subito dopo aver imparato a leggere a scuola e, successivamente alla lettura di Topolino, mio giornalino settimanale per eccellenza.
Non ricordo dove presi quel romanzo, ma me ne innamorai, così come del protagonista, Inuk, bambino eschimese che viveva in un igloo, pescava in un buco nel lago ghiacciato con la sua piccola canna da pesca, mangiava pesce essiccato e andava a scuola in un paese sempre coperto di ghiaccio che non riuscivo nemmeno a immaginare.
Quando si è piccoli si crede che tutto il mondo sia uguale, che non esistano posti congelati, o arsi dal sole tutto l'anno.
È inimmaginabile che qualcuno possa vivere in maniera diversa da ciò che conosciamo, da come viviamo noi stessi.
Ecco perché quel racconto mi aveva davvero appassionato.
Era la prima volta che scoprivo un mondo diverso dal mio, talmente differente, al punto tale da non riuscire ad immaginarlo fino a che non ci si arriva.
Sulla riva opposta a quella dove ormeggia la nave, si intravede un piccolo paesino di case col tetto colorato. È Paamiut, villaggio di pescatori Inuit.
Qualcuno è rosso, qualcuno di altri colori.
Finalmente ci siamo.
Il mio sogno di conoscere il Paese di Inuk si sta realizzando.
Siamo in Groenlandia, e qui, come anche in Canada, risiedono gli Inuit, detti anche volgarmente eschimesi, sostantivo attribuito a questo popolo che significa "fabbricatori di racchette da neve" o "mangiatori di carne cruda".
Senza perdere di vista il panorama, mi vesto in fretta (Sandro dice che non ha mai capito quale significato abbia per me la parola "fretta" visto le mie tempistiche irrimediabilmente irrimediabili...), non vedo l'ora di essere catapultata in quella realtà.
Saliamo sulla scialuppa proprio in un momento in cui tira un vento ghiacciato e il mare è agitato.
I ragazzi dell' equipaggio (che mi fanno sempre una tenerezza incredibile, sottoposti a qualsiasi intemperia non si distraggono un secondo alla loro responsabilità), fanno del loro meglio per accompagnare ogni passeggero nel salto dalla passerella della nave alla lancia.
La fila è rallentata perché il mare è troppo mosso e la scialuppa ondeggia pericolosamente di più di un metro, tutto questo impone di fermarsi e aspettare che passi l'onda.
Mi copro per il vento, tipo donna beduina. Tra cappello e sciarpa si intravedono solo gli occhi (felici). Sandro non manca di fare qualche battuta...stai attenta che, vista la tua altezza (1,55), potresti battere la testa sul tetto della scialuppa, occhio che il vento ti porta direttamente seduta al villaggio...
Lo supero, e con un leggero saltino sono dentro a cercare i posti accanto al finestrino.
Piove, il mare è grosso, le onde sono alte, balliamo parecchio ma è tutto talmente fantastico che la traversata di mezz'ora circa sembra durare una decina di minuti.
Al nostro arrivo ci attendono i ragazzi dell' equipaggio sotto ad una piccola tenda allestita prima del nostro arrivo, con dei dispenser di acque aromatizzate alla frutta o alla verdura.
Vedo, poco più in là, una signora vestita all' occidentale ma che riconosco essere una Inuit per i tratti somatici, ha dei volantini in mano, le corro incontro, la abbraccio, vengo amorevolmente ricambiata.
Ecco io sono così.
Una che abbraccia qualsiasi essere vivente che le ispira fiducia.
Ma essere qui, a Paamiut, in Groenlandia e abbracciare una signora Inuit che ricambia calorosamente il mio abbraccio come se ci conoscessimo da sempre, mi fa fermare un attimo per riflettere su questo miracolo chiamato "Vita".
Ci dirigiamo verso la piccola chiesa del villaggio. Accanto, il minuscolo cimitero che guardo con discreta curiosità e che mi porta a delicati pensieri, mi induce ad immaginare la storia di questo popolo timido e riservato che osservo con affettuoso rispetto.
Entriamo in chiesa per primi.
La mia fame di conoscere non viene mai a meno. È l'unica senza calorie inutili.
Vorrei essere grassa, anzi obesa di sapienza, di conoscenza. Spero che questa sia l'unica fame che non mi passi mai.
Dopo aver fatto il giro, prendo posto sulla prima panca.
Sento Sandro che dice... sempre al primo banco noi eh...
D'altronde c'è in programma un coro di canzoni in lingua Inuit a noi dedicato ed io voglio vedere bene!
Poco dopo la chiesetta si riempie.
Arrivano anche i coristi e l'organista che dirige il coro. Sono veramente, beatamente felice!
Si dispongono davanti a noi e noto subito due cose: sono davvero timidi, e, senza nessuna offesa, hanno tratti dei volti simili ai nostri calabresi, sorrido dietro la sciarpa, lo dico a Sandro che ad alta voce mi dice...tu sei pazza!
Guardando una signora del coro infatti, mi viene in mente la mamma calabrese (che io adoravo), di un amico d'infanzia.
Ecco, la sensazione è che questa gente sia buona come lo era lei.
Li ascolto incuriosita e onorata.
Le loro voci, i loro acuti, perdono di leggera intonazione, ma solo per la timidezza di cantare di fronte a noi. Percepisco in me la stessa tenerezza di quando da piccola dovevo cantare alla recita scolastica davanti ai genitori.
Quando si concludono i canti corro accanto a loro e chiedo di poter fare una foto tutti insieme.
Sembra quasi che non abbiano mai fatto una foto. Veniamo tutti con delle strane espressioni...io da "stupidamente felice", loro da "profondamente imbarazzati" e forse anche un po' impauriti.
Usciamo dalla piccola ma bellissima chiesetta e, sotto la pioggia, ci dirigiamo a passo veloce verso il piccolo museo.
Il mio viso si illumina nel vedere i bambini appena usciti da scuola.
È ovvio che mi avvicino per chiedere una foto con loro.
È ovvio che, tra stupore e sorrisi me la concedono.
È ovvio che la mia sensibilità sale a livelli massimi, fino a commuovermi.
In fondo sono tutti piccoli Inuk.
Ho incontrato davvero il protagonista del mio romanzo!
Inutile dire che ogni volta mi sento "piena" di vita, ma nel senso puro della parola.
Camminare per il mondo, toccare con le mie mani, le mani della gente del mondo è, per me, senso di esistenza, di appartenenza.
Se esiste un Dio, un Dio qualsiasi, sono certa che questa, sia una delle Sue più perfette manifestazioni d'amore che possa offrirci in questa vita.
Mentre guardo dal finestrino della scialuppa il piccolo villaggio di Paamiut allontanarsi, mi fa da sottofondo nella mente e nel cuore John Lennon con la sua "Imagine".
"... Imagine all the people,
Living life in peace,
You may say that I'm a dreamer,
But I'm not the only one,
I hope someday you'll join us
and the world is be as one"
Ecco si ... io sono questa.