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Grandi disastri

Re: Grandi disastri

Complimenti per questi racconti Amartoni, che devono essere sempre ricordati.

Un saluto
 
Re: Grandi disastri

Moby Prince


Ecco un disastro più recente che anche i giovani ricorderanno:
Alle ore 22:03 del 10 aprile 1991, il traghetto Moby Prince , in servizio di linea tra Livorno e Olbia, in Sardegna, molla gli ormeggi per la traversata. A bordo si trovano l'intero equipaggio, formato da 65 persone agli ordini del comandante Ugo Chessa e 75 passeggeri. Poco dopo la partenza, alle ore 22:26, il marconista di bordo lancia il May Day: partono immediatamente i mezzi di soccorso in mare, ma il relitto non viene individuato che alle ore 23:35. Dal litorale livornese qualcuno inizia a notare strani bagliori al largo (visibili anche dalla centralissima Terrazza Mascagni). Quello che è avvenuto al largo non è stato mai chiarito, e forma tuttora oggetto delle più svariate interpretazioni ed ipotesi, le uniche certezze che emergono dai dati raccolti durante il processo sono: il Moby Prince si scontra in mare con la petroliera Agip Abruzzo ad una velocità piuttosto sostenuta (il Moby percorre più di 20 metri prima di arrestarsi completamente: 8 metri di deformazione della prua e 14 metri di penetrazione nella cisterna) con un angolo d'impatto di circa 70°, e nell'urto il petrolio contenuto nella cisterna 7 viene letteralmente "spruzzato" sul traghetto a causa della compressione a cui questa era stata soggetta; il Moby ha agito come uno stantuffo in uno spazio semiaperto e semipieno.Tra le cause ufficiali del disastro è attribuito un ruolo significativo alla nebbia che quella sera gravava sulla zona. I magistrati si sono espressi in favore del cosiddetto fenomeno della nebbia da advezione, che può provocare la formazione repentina di un banco, anche molto fitto e localizzato, a causa della discesa di aria calda e umida sulla superficie fredda del mare. Il banco di nebbia sarebbe calato all'improvviso sul tratto di mare circostante all'Agip Abruzzo, impedendo al Moby Prince di individuare correttamente la petroliera. Esistono tuttavia alcuni elementi che fanno dubitare sulla effettiva presenza di condizioni di scarsa visibilità. Le dichiarazioni iniziali del mozzo superstite (poi ritrattate) parlano di buona visibilità. Anche un filmato amatoriale trasmesso al telegiornale all'epoca dei fatti pare che confermasse l'assenza di nebbia la sera della tragedia. Vi è poi la testimonianza rilasciata in tribunale dal capitano della Guardia di Finanza Cesare Gentile. A capo di una motovedetta dei soccorritori uscita dal porto di Livorno intorno alle 22:35 ha dichiarato che "in quel momento c’era bellissimo tempo, il mare calmissimo e una visibilità meravigliosa".
L'intero equipaggio,meno il mozzo Alessio Bertrand,e tutti i passeggeri muoiono; Ben 140 Morti.
Queste cose mi fanno venire i brividi!
Da http://it.wikipedia.org/wiki/Moby_Prince
 
Re: Grandi disastri

Un altra tragedia che non è stata menzionate qui è stata quella dell'incrociatore americano Indianapolis che dopo aver scaricato la bomba atomica (che poi successivamente sara lanciata dall'Enola Gay in Giappone) nel suo viaggio di trasferimento è stata colpita da un sottomarino giapponese e affondata......La marina statunitense non si accorse del suo mancato arrivo e non inizio le ricerche finche un velivolo non si accorse delle zattere di salvataggio....morirono piu di 800 persone di cui la stragrande maggioranza per la lunga permanenza in acqua.
 
Re: Grandi disastri

captverna ha detto:
Un altra tragedia che non è stata menzionate qui è stata quella dell'incrociatore americano Indianapolis che dopo aver scaricato la bomba atomica (che poi successivamente sara lanciata dall'Enola Gay in Giappone) nel suo viaggio di trasferimento è stata colpita da un sottomarino giapponese e affondata......La marina statunitense non si accorse del suo mancato arrivo e non inizio le ricerche finche un velivolo non si accorse delle zattere di salvataggio....morirono piu di 800 persone di cui la stragrande maggioranza per la lunga permanenza in acqua.

Ecco qualche altra notizia sull'affondamento del USS Indianapolis (CA35)
IndianapolisJuly4519-N-86911.jpg

All'inizio dell'estate del 1945 la nave si trovava in California per un ciclo di aggiornamenti. Venne prescelta per il trasporto della bomba atomica a causa della sua velocità.
Nessuno a bordo era a conoscenza di che cosa fosse il carico della nave, compreso il comandante Charles Butler McVay III, la bomba in realtà viaggiò disassemblata: l'involucro esterno e la strumentazione elettronica nelle stive della nave, il combustibile nucleare all'esterno per evitare rischi di contaminazione.
La nave partì da San Francisco il 16 luglio 1945, arrivò a Pearl Harbour il 19 luglio 1945 ma si fermò solo per poche ore per fare rifornimento. Ripartì lo stesso giorno alla volta dell'isola di Tinian nelle Marianne, la base di partenza dei bombardamenti nucleari, dove arrivò il 26 luglio 1945. In questa traversata del Pacifico la nave viaggiò, secondo ordini, sempre alla massima velocità, da sola e sotto il più totale silenzio radio.
Scaricata la bomba la nave si diresse alla base di Guam dove giunse completamente inaspettata. D'altra parte ufficialmente l'Indianapolis era ancora in California.
Il comando della base ordinò all'Indianapolis di congiungersi al gruppo navale della corazzata USS Idaho (BB 42) nel golfo di Leyte (Filippine) per poi procedere alla volta di Okinawa, ma NON AVVISO' la Idaho dell'arrivo dell'incrociatore.
Sbarcati alcuni uomini d'equipaggio e fatto rifornimento la nave partì alla volta delle Filippine il 28 luglio 1945.
Alle 00.14 del 30 luglio 1945 la nave venne colpita da due siluri lanciati dal sottomarino giapponese I 58 al comando del Capitano Mochitsura Hashimoto.
Il secondo siluro colpì la nave al centro, spezzò la chiglia e distrusse l'impianto elettrico della nave, che quindi non poté che lanciare un unico messaggio di soccorso, debolissimo, rimasto inascoltato.
La nave affondò in 12 minuti
Dei 1196 uomini a bordo circa 300 morirono nell'affondamento. I restanti (circa 900) finirono in acqua.
Ed iniziò il peggior incubo.
Dal momento che l'Idaho non si aspettava nessuno e che a Guam, NON AVEVANO DATO SEGUITO al debolissimo messaggio d'aiuto, NESSUNO SI MOSSE IN SOCCORSO.
Soltanto dopo quattro giorni (4) un idrovolante pattuggliatore avvistò quel che rimaneva dei naufraghi, e chiese alla base di Guam cosa fare. La base gli rispose, temendo una trappola giapponese, di lasciare perdere, ma lui contravvenendo agli ordini ammarò ed iniziò le operazioni di soccorso.
Lo scenario era terrifificante, la stragrande maggioranza dei naufraghi erano stati sbranati dagli squali, quelli che erano sopravvissuti agli squali erano morti di sete o bevendo l'acqua di mare. Erano talmente esausti che diversi, una volta issati sull'idrovolante, sono ricaduti in mare.
Il comandante dell'aereo, il tenente Adrian Marks, caricò tutti i naufraghi che poteva, alcuni legandoli con i paracadute ai tiranti delle ali ed iniziò a fare la spola con la fregata SS Cecil Doyle (DD-368), la nave più vicina.
Alla fine di questa drammatica giornata di salvataggio l'aereo del tenete Marks non fu più in grado di volare e venne affondato.
Dei 900 caduti in mare, soltanto 317 vennero salvati. Tra questi il comandante McVay.
L'USS Indianapolis fu l'ultima nave americana affondata durante la seconda guerra mondiale.
Non solo...
La marina americana perdette oltre 350 navi durante la seconda guerra mondiale, ma soltanto il comandante dell'Indianapolis venne sottoposto a corte marziale.
L'accusa fu di conduzione pericolosa in quanto l'Indianapolis non procedeva a zig zag come consuetudine quando si temono i sottomarini.
A nulla valse la deposizione del comandante del sottomarino giapponese, che, non appena appresa la notizia del processo volle correre negli Stati Uniti a testimoniare a favore del comandante McVay.
A nulla valsero le osservazioni che la base di Guam non aveva avvertito l'Indianapolis del pericolo sottomarini, che la base di Guam non aveva avvertito l'Idaho dell'arrivo dell'Indianapolis ed infine che la base di Guam non aveva dato seguito alla richiesta di soccorso.
Il Comandante Charles Butler McVay III venne condannato ma l'ammiraglio Nimitz, comandante della flotta del pacifico, bloccò la sentenza. McVay servì la marina fino al 1949.
Morì suicida nel 1968.
Il Capitano Mochitsura Hashimoto, non solo intervenne a difesa nel processo contro il Comandante McVay, ma nel 1999 scrisse una lettera al congresso degli Stati Uniti dove rimarcò l'innocenza del Comandante McVay, e quella lettera ebbe una grande eco sia in Giappone che negli Stati Uniti e contibuì alla decisione del presidente Clinton di cancelleare la sentenza della corte marziale e a riabilitare il Comandante McVay.
Morì nel 2000 all'età di 91 anni.
Dopo la guerra era diventato monaco shintohista.
I superstiti dell'Indianapolis considerano il Capitano Hashimoto come uno dei pochi che hanno difeso il loro comandante e lo hanno voluto incontrare a Honululu nel 1990
La vicenda dell'Indianapolis ha ispirato a Steven Spielberg la storia del film "Lo Squalo"

Fonti:
http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Indianapolis_(CA-35)
http://en.wikipedia.org/wiki/Charles_Butler_McVay_III
http://en.wikipedia.org/wiki/Mochitsura_Hashimoto
http://www.ussindianapolis.org/intro.htm
http://members.tripod.com/IndyMaru/indymaru2.htm
 
Re: Grandi disastri

amartoni ha detto:
Conte Rosso
020801.jpg
da http://www.trentoincina.it/mostrapost.php?id=208

Il Conte Rosso era un bellissimo transatlantico della Società Anonima di Navigazione Lloyd Triestino, con sede a Trieste ed era entrato in servizio nel 1922.
Nel 1940 venne requisito dalla regia Marina Militare.
All'alba del 24 maggio 1941 salpava da Napoli diretto a Tripoli, lungo la rotta orientale sicula, più veloce ma più vicina a Malta e quindi più pericolosa, carico di truppe.
Con lui c'erano la Marco Polo, la Victoria e l'Esperia.
Il convoglio era scortato da 4 motosiluranti e da Messina anche da tre caccia torpediniere.
Alle 20.41, dieci miglia a levante di Capo Murro di Porco, circa in lat. 36°38' e long. 15°40', il Conte Rosso venne colpito da due siluri lanciati dal sommergibile inglese Upholder
La nave affondò in circa 15 minuti e si trascinò dietro 1297 morti. I superstiti furono 1432.
Fortunatamente la nafta fuoriuscita copiosamente dalle cisterne della nave non si incendiò, consentendo il salvataggio dei naufraghi
Altrettanto per fortuna quel tratto di mare era abbastanza temperato da consentire una lunga sopravvivenza in acqua, e la presenza delle altre navi e la vicinanza alla riva agevolarono il salvataggio.

Fonti:
http://web.tiscali.it/pmusilli/conte_rosso.htm
http://www.trentoincina.it/mostrapost.php?id=208

Uno di quei sopravissuti era mio bisnonno che si trovava a bordo in qualità di cuoco
 
Re: Grandi disastri

Avrei da scrivere per delle ore in questo thread!

Mio Padre (purtroppo defunto da ben 37 anni) era un marinaio imbarcato sul cacciatorpediniere VIVALDI. Partì come volontario in giovanissima età, frequentò parecchi corsi di specializzazione. In uno di questi uscì primo su 297 allievi e divenne sergente cannoniere. Era ormai prossimo Marescallo di marina quando venne destinato a Pola e dunque sbarcò dalla VIVALDI nell'agosto del '43.

Durante la guerra tenne un diario in vari fascicoli, alcuni dei quali sono andati purtroppo persi. Ciò che è rimasto, assieme a tante foto e ad un successivo diario di memorie dedicato a mia Madre, iniziato a scrivere nell'anno del loro 25mo di matrimonio sono stati affidati a me dalla mia Mamma, in quanto ultimo di 6 figli.

Il diario delle memorie l'ho trascritto tutto in Word e ne ho stampate alcune copie, comprese di copertina e le ho regalate ai miei cugini che venivano spesso citati.
Mentre gli originali del diario, fotocopiati e dotati anch'essi di copertina ne ho fatto regalo ai miei fratelli in modo che anche a loro rimanga il preziosissimo ricordo di quella grande persona che fu nostro Padre.

Ebbene, riallacciandomi ai messaggi sopra postati, condividerò con voi alcune parti di questo diario.
Spero di farvi cosa gradita.
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1° SEMESTRE 1941

Passata l'illusione della guerra lampo il conflitto si fece più duro. L'occupazione totale della Francia fu la sola conclusione lampo della resa di una grande nazione. L'Inghilterra assediata e fatta oggetto a reiterati attacchi massicci dell'aviazione tedesca, non dava alcun segno della resa sperata. Le truppe italo-tedesche, già impegnate in Libia e sui fronti nord europei varcarono altri confini. Il 16 aprile 1941 gli eserciti dell'Asse varcarono le frontiere dei balcani in Grecia, Ungheria ed Iugoslavia, un altro capitolo della IIa guerra mondiale venne aperto in quel giorno. La celerità della nostra avanzata anche su questi nuovi fronti, sembrava far intravedere la possibilità di una fine rapida del conflitto.

Sul Vivaldi in quel semestre non si ebbe tregua. Quante missioni di guerra!! Quanti convogli per l'Africa!! Vivemmo ore veramente gravi in battaglia in mare aperto e nei porti fatti bersaglio dell'aviazione nemica. La nostra vita si svolgeva in condizioni che andavano oltre le forze umane. Si rientrava dopo giorni di ansie sul mare ove spesso, gli eventi scatenati della natura si alternavano alle forze nemiche a tenerci impegnati.
Si pensava ad un po’ di riposo e, quando sembrava giunto il momento di poter calmare la nostra tensione nervosa un nuovo ordine da "Super marina" ci faceva ripartire ancor prima di gettatar l'ancora in porto. Ma noi del Vivaldi eravamo fortunati... la nostra fortuna era personificata dal nostro Comandante Galati giovane d'età per il suo grado ma vero vecchio lupo di mare, sapeva usare veramente bene le sue doti.

Non temeva di contravvenire agli ordini degli alti comandi quando dubitava qualche tranello di spie. Faceva spesso di testa sua e, queste sue spesse insubordinazioni ci portarono sempre al successo.
Era per noi un buon papà... in lui la nostra fiducia era incrollabile perché sapevamo che, in ogni avversità avrebbe saputo portarci a salvamento.
Abbiamo visto in quei mesi cose orrende sul mare... Quanti morti!! Giovani marinai come noi spesso immolati perché ligi agli ordini di gente pagata dal nemico che li guidava da Roma su rotte tragiche.

Si i nostri marinai consci di fare il loro dovere. Offrivano l'olocausto della loro giovinezza perché la vittoria arridesse alla nostra Patria. Ma Galati si rodeva il fegato e frenava la sua ira mordendosi le dita quando vedeva certe cose.
Ho visto veramente il mare intriso di sangue verso le secche di Kerkena al largo del golfo sirtico. Quante nostre navi tradite da coloro che la guerra la facevano stando in poltrona ordendo le trame megere di sfacciati tradimenti.

Toccò proprio al Vivaldi con altre 4 piccole torpediniere accorrere in quel tratto di mare per raccogliere i superstiti di uno dei tanti tradimenti.
La sera del 16 aprile 1941 svolgemmo la nostra missione pietosa di soccorso ai naufraghi superstiti di un impari lotta. Il "Tarigo" "Lampo" e "Baleno" di scorta a 4 piroscafi tedeschi vennero sopraffatti da una grossa formazione navale nemica che, guidata dalle spie, la portarono a distanza ravvicinata del nostro convoglio. In breve i 4 piroscafi colarono a picco. Il "Lampo" e "Baleno" ebbero poco tempo per opporre resistenza. Dilaniati dai colpi nemici seguirono la sorte dei piroscafi. Il "Tarigo" al comando della MEDAGLIA D'ORO De Cristoforo sostenne a lungo il combattimento a distanza ravvicinata. Vomitò quasi tutte le sue granate sul nemico che lo avevano accerchiato in una morsa di fuoco. I serventi ai pezzi, falciati dalle armi avversarie, venivano sostituiti dai meccanici e fuochisti saliti in coperta perché ormai le macchine erano sommerse.

La nave posava sulle secche di Kerkena ma... le armi potevano ancora sparare. E... il comandante, perse una gamba, ormai agli estremi, prima di morire ebbe la suprema gioia di vedere la sua nave protesa ancora all'attacco e di affondare una unità nemica colpita dall'offesa della sua nave morente con lui.
Fu così che in quella lontana notte ebbi l'avventura di vedere due relitti di navi da guerra a 500 metri di distanza l'uno dall'altro. Sull'albero del Tarigo c'era ancora il tricolore e su quello del Norwork la bandiera inglese. Le parti emergenti, chiazzate di sangue reggrumato. Salii sulla plancia del Tarigo. Che orrendo spettacolo!!! a terra un lago di sangue, pezzi di carne umana scagliata dagli scoppi delle granate tutt'intorno i corpi avvinti nell'abbraccio della morte del comandante De Cristoforo e del capitano del genio navale Luca Balsofiore.

Giunse presto la nave ospedale da Tripoli. Recuperammo i feriti sulle zattere preoccupandoci di scegliere prima i più gravi fra i tanti. Recuperammo molti naufraghi e lasciammo i cadaveri ancora tenuti a galla dai salvagenti. Li lasciammo così al mare... quella doveva esser la loro tomba... il loro camposanto.
Rientrammo a Tripoli col cuore straziato. Il nostro comandante ebbe una sola parola da dire piangendo all'ammiraglio venuto subito a bordo: "Vigliacchi".
Si, vigliacchi i traditori, i venduti al nemico che, per poche sterline cedevano all'avversario tante giovani vite umane colpevoli solo di eseguire degli ordini supremi.

Nella nostra navigazione per il rientro a Napoli, dopo 5 giorni da quella notte di tragedia, vedemmo ancora tanti cadaveri emergenti alla superficie verso i quali non potemmo far altro che indirizzare la nostra suffragante preghiera.
Per altri 40 giorni facemmo la spola avanti e indietro dall'Africa. Super marina ci dava gli ordini circa le rotte da seguire e il nostro comandante faceva tutto il contrario per sfuggire agli agguati tesi dalle
spie. Quanti piroscafi portammo a Tripoli in quel periodo!! Passammo varie volte a poche miglia da Malta in quelle acque nemiche ove si poteva supporre di essere attaccati.

Le navi avversarie correvano ad attenderci su quelle rotte segnalategli dai traditori e noi li facevamo restare con un palmo di naso.
Si era giunti al punto che gli inglesi avevano messo la taglia sul "Vivaldi". Un grosso premio di 100.000 sterline a chi ci avrebbe messo fuori combattimento. E Galati rideva ogni volta che si giungeva in porto dicendo: "Anche questa volta il premio tocca a noi:"
Verso i primi di giugno (1941) dopo aver subito un massiccio bombardamento nel porto di Tripoli il comandante ci riunì in assemblea e ci parlò come un buon Papà. Ci guardò prima a lungo in volto e poi disse: "Vedo sui vostri visi i segni della stanchezza per le tante missioni compiute. Anche la nave ha bisogno di riposo e voi più di essa. Non vi posso dare premi in denaro ma vi farò avere il premio del necessario meritato riposo."

Riportammo a Napoli 8 piroscafi vuoti e, ancor prima di attraccarci alle banchine ci giunse l'ordine di tenerci pronti a partire in 30 minuti. Il comandante inveì dapprima e prese una decisione irrevocabile. Ci portò all'ormeggio e partì per Roma. Al ministero della Marina parlò chiaro: Io non rispondo più dei miei uomini stremati da tante fatiche e della nave bisognosa di lavoro. Se volete, mettetemi in prigione ma io non parto in queste condizioni.

Giunse a bordo giulivo e disse... accendete che partiamo in missione straordinaria. Era il 7 giugno, oltrepassate le isole di Ischia e Procida prendemmo rotta verso il nord e il 9 arrivammo in porto a La Spezia.
Cara città La Spezia... tanto vicina ai miei cari, così tranquilla in confronto ai porti meridionali e dell'Africa. Sbarcammo le munizioni e i combustibili e ci portammo in arsenale per i lavori. Il 10 giugno con immensa gioia partimmo per la ben meritata licenza.
 
Re: Grandi disastri

Grazie, grazie Adrisessanta.

Tu non sai che piacere mi fa leggere questo capitolo di storia. !!!!
Sai qualcosa del capitano Galati, tuo papá non lß ha piú rivisto dopo essere stato con lui nel Vivaldi.

Un saluto.

Ciao Ensisminor

Anche bello il tuo racconto e dell´imbarco di tuo bisnonno in quella tragica vicenda, su una nave molto famosa.
Tuo bisnonno aveva lavorato sul Conte Rosso quando apparteneva alla Lloyd Triestino ?

Un saluto.
 
Re: Grandi disastri

tano ha detto:
Grazie, grazie Adrisessanta.

Tu non sai che piacere mi fa leggere questo capitolo di storia. !!!!
Sai qualcosa del capitano Galati, tuo papá non lß ha piú rivisto dopo essere stato con lui nel Vivaldi.

Un saluto.
Ciao Tano, ne ho parecchi di questi racconti.
Se ti/vi fa piacere ne posto altri.

Su Galati non ho altre notizie, ma ho una foto che ho scannerizzato.
2967677922_f6d5c9cbf2_b.jpg
 
Re: Grandi disastri

Grazie Adrisessanta.

Penso che hai messo un eroe.
Metti pure che le testimonianze di uomini di mare in guerra sono interessanti e devono rimanere nel nostro ricordo.
Oggi ho imparato che sul Vivaldi c´era un comandante coraggioso di nome Galati ben voluto dal suo equipaggio e che grazie alla sua intelligenza ha saputo tenere lontano il nemico.

Un saluto.
 
Re: Grandi disastri

Dalla foto emerge un volto franco ed amico, doveva essere una bella persona, giusto?

Però vorrei ridare un pò di onorabilità a quei superiori che all'epoca erano visto come traditori: in realtà nessuno ha mai tradito la marina, gli inglesi avevano decifrato i codici di trasmissione e sapevano tutto senza alcun bisogno di 'referenti' in Italia.
Non era l'unico motivo per parlare di 'traditori' l'altro erano i primi antenati del radar, che permettevano agli Inglesi di 'vedere' le nostre navi quando ancora noi non sapevamo che ci fossero loro nei paraggi..
A fronte dell'onorabilità resa va detto che tutta questa gente, posta ai più alti livelli, era incapace di brutto.. prova ne sia che il radar era uno studio di Marconi, che lo aveva offerto alla marina la quale rifiutò nettamente l'idea.. 'A che servono queste cose super tecnologiche?'.
Sul paragone con l'oggi.. fate voi!!

Salutoni
Manlio
 
Re: Grandi disastri

tano ha detto:
.......

Ciao Ensisminor

Anche bello il tuo racconto e dell´imbarco di tuo bisnonno in quella tragica vicenda, su una nave molto famosa.
Tuo bisnonno aveva lavorato sul Conte Rosso quando apparteneva alla Lloyd Triestino ?

Un saluto.

Ciao Tano, mio bisnonno ha lavorato, prima Lloyd Austriaco e poi dopo la Prima Guerra Mondiale Lloyd Triestino,ed infine con la Cosulich ha iniziato come aiuto cuoco ed ha finito come capo chef, da quel che so è stato imbarcatosul Conte Rosso, sul Conte Biancamano, sul Rex, e per finire sul Saturnia e sul Vulcania. Mia nonna mi ha raccontato che durante l'ultima guerra è stato affondato 3 volte, una sul Conte Rosso e le altre due sinceramente non ricordo con quali navi. Mia nonna dovrebbe avere ancora in casa l'orologio da taschino che suo padre teneva in tasca nel momento dell'affondamento, molto toccante anche il racconto di come scappò alla morte, stava per annegare quando il suo aiuto di cucina lo prese per la giacca e gli disse in dialetto triestino: " E no bel mio, no te va sotto acqua, ti te va dove vado mi...."
Ciao
 
Re: Grandi disastri

amartoni ha detto:
Te ne prego, fallo!
Mi costringi a versare nuovamente un mare di lacrime!
Si, perchè per me è una fitta al cuore tutte le volte che riapro quei diari. Non ti dico quando li ho trascritti... Tuttavia, non so perchè, ma dopo che li rileggo mi sento comunque meglio, anche se rimane l'amarezza di non aver potuto godere di cotanto Padre dagli undici anni (l'età che avevo quando morì) fino ad oggi.

@pmanlio
Non metto in dubbio quel che dici. Tuttavia, il Vivaldi si salvò in parecchie circostanze proprio per il fatto di non seguire rotte preordinate, un motivo ci doveva pur essere!
Nei racconti che posterò tra poco (tolte le parti che parlano degli affetti più intimi, pur lasciando qualcosa) ve n'è un'altra dimostrazione.


UN NUOVO FRONTE DI GUERRA

Tornato a bordo del “Vivaldi” ripresi a scrivere il mio diario di guerra.
Il 22-6-1941 le truppe di HITLER varcarono le frontiere verso la Russia. Un nuovo, vasto fronte di guerra si era aperto quel giorno. A quei tempi si era convinti della imbattibilità delle forze dell’Asse e si pensava ancora ad una rapida conclusione del conflitto. Le divisioni italo tedesche avanzavano rapidamente sul suolo sovietico travolgendo le resistenze russe. Ogni giorno i bollettini di guerra, davano notizie di città conquistate e di rovinose ritirate degli eserciti nemici.
Da più di un mese la mia nave si trovava in bacino per grandi lavori ed io vivevo in quei giorni con la speranza di ottenere una nuova licenza dato il protrarsi della nostra inattività bellica.

Eravamo alloggiati a terra alla caserma dei sommergibilisti. Godevamo un periodo di vero riposo onde ritemprare le nostre energie per l’attività futura.
Alla dichiarazione di guerra della Germania alla Russia gli americani reagirono stringendo prima un patto di alleanza cogli inglesi e poi entrando pur loro in guerra contro gli eserciti del patto d’acciaio e cioè Germania Italia e Giappone . La grande follia paventata dal S. Padre Pio XII° era scoppiata. Da
europea la guerra era diventata mondiale. Le armi seminavano stragi ovunque dai mari del nord a quelli del sud. Dell’est e dell’ovest.
In tanto frastuono mondiale ebbi il piacere di ottenere una nuova licenza prima di riprendere il mare. Dal 12 al 20 Luglio 1941 trascorsi giornate di gioia a Verolanuova ed a Gargnano.

[...]

Mi accompagnasti alla stazione il pomeriggio del 20 ed io partii con l’immagine di Te nel cuore che, colle lacrime agli occhi mi sventolavi il fazzoletto.
Oh! Come ricordo i due ippocastani di quella stazione!! Ti portavi fra mezzo ad essi perché da li ti potevo vedere più a lungo rimpicciolire man mano che il treno si allontanava.
Possiamo ben dire che quella stazione fu per noi il posto di grandi emozioni.
Emozioni di grande gioia al mio arrivo in licenza e di grande sconforto quando dovevo ripartire per la guerra. Ancora oggi, dopo tanti anni, quel luogo suscita i me i più disparati ricordi quando mi capita di scendere o salire sul treno a Verolanuova.

2° SEMESTRE 1941

Rientrato a La Spezia, trovai il Vivaldi in fase di ultimazione dei lavori. Riprendemmo imbarco il 28 Luglio e restammo in quel porto sino al 4 agosto ove, imbarcati i siluri, le munizioni per tutte le artiglierie e le bombe di profondità, eseguimmo i vari collaudi alle macchine.
Partimmo per Napoli di scorta alle navi da battaglia Doria e Trento. Povera città!! quanti bombardamenti aveva subito da quando l'avevamo lasciata!! La popolazione che non aveva potuto sfollare, viveva giorno e notte assiepata nei molti sicuri rifugi naturali delle gallerie metropolitane. Interi rioni ridotti a macerie, strade sconnesse, palazzi sventrati, centinaia di morti e migliaia di feriti avevano reso la bella Napoli una città martire. E non solo Napoli... tutte le città portuali del meridione erano prese a bersaglio dall'aviazione nemica.

Le super fortezze anglo-americane scortate da nugoli di aerei da caccia avevano sferrato la loro offensiva onde colpire i nostri porti e bombardare le città per fiaccare il morale della popolazione civile. Si deve dar atto alla lealtà usata allora dagli americani perché, prima di iniziare i bombardamenti avevano provveduto ad invitare le popolazioni ad abbandonare le città e rifugiarsi nelle campagne con lancio di manifestini. Problema certamente grave perché era impossibile poter pensare ad esodi totali delle città sovraffollate del meridione. La gente viveva così, nelle viscere della terra, in una promiscuità impressionante. I più audaci uscivano dai loro rifugi, tra un allarme e l'altro, per procacciare lo scarso cibo alle loro famiglie. Spesso tornavano a riferire che la loro casa non c'era più e ritornavano fuori a cercar tra le macerie quelle poche cose che potevano recuperare.

Povere città veramente martoriate, povere donne, vecchi e bambini innocenti ridotti a vivere peggio delle bestie in lunghi rifugi maleodoranti ove spesso, chi cercava scampo alle bombe, incontrava il contagio di malattie letali. Io ho vissuto quei lunghi mesi di tragedia. Ero arrivato al punto da preferire le insidie ed i pericoli delle lunghe navigazioni alla permanenza nei porti presi continuamente di mira dai massacranti bombardamenti.
L'intero equipaggio era stato diviso in due squadre: se la squadra impari era di servizio (quando eravamo attraccati a qualche troncone di molo), per tutte le 24 ore, doveva stare a bordo durante le incursioni nemiche. L'altra squadra poteva correre nei rifugi più vicini.

Quante volte fui di servizio sotto la pioggia delle bombe!! Dovevo stare allo scoperto sulle ali di plancia come dirigente dei mitraglieri per impartire gli ordini di aprire il fuoco quando gli aerei nemici erano alla portata di tiro. Ricordo il lavoro massacrante coi nervi tesi fino allo spasimo dover stare ore e ore colle armi in pugno spesso senza poter sparare sul nemico perché troppo alto. (fuori dalla portata delle nostre armi) E... vedere i grappoli di bombe al momento dello sgancio... sentire il lugubre sibilo ed attendere quell'attimo (che poteva esserci fatale) dello scoppio. Cogli elmetti in testa, ci si rannicchiava su noi stessi avendo l'illusione di sfuggire il nemico rimpicciolendosi.

In navigazione si poteva manovrare... si accostava rapidamente a dritta o a manca quando si vedeva l'attimo dello sgancio. In porto NO!!bisognava confidare in Dio che ce la mandasse buona... che deviasse colla Sua Onnipotente mano la rotta delle bombe a noi destinate. E... quanti, quanti bombardieri! Gli americani avevano dislocato la loro stragrande potente aviazione nel bacino del Mediterraneo ed avevano intrapreso quei micidiali bombardamenti a tappeto eseguiti con tanti aerei assieme. Un giorno contai oltre 800 aerei nemici che, in ondate successive di 18 per volta mollavano le loro bombe sul porto e sulla città. La notte era diverso... in quasi tutte le principali zone portuali, si produceva la nebbia artificiale per celare alla vista del nemico il nostro ambito bersaglio.

Quando gli aerei erano vicini, si sparava nella direzione data dagli aerofoni, formando nel cielo come una coltre di ferro e di fuoco. E noi si era costretti a tenere per ore la maschera sul viso perché la nebbia chimica, ci ostacolava il respiro. Spesso la nave sussultava per lo scoppio di bombe vicino allo scafo: sovente, le colonne d'acqua elevantesi verso l'alto ricadevano su di noi inzuppandoci di acqua e di fango. In mezzo a tanto frastuono, al tuonar tambureggiante dei cannoni anti aerei, al gracidare sibilante delle mitraglie ed agli scoppi delle grosse bombe il mio pensiero volava lontano. Pensavo a Te Mary e ti vedevo come in una mistica visione. Ti sapevo devota alla Madonna e... ti vedevo in atteggiamento implorante colle mani alzate verso di Lei.

Le mie si unirono spesso alle tue preghiere... per esse... solo per esse posso ben dire oggi di esser ancora vivo. Troppe sono state le ore in cui ho visto la morte in atto di ghermirmi. I compagni che vidi cadere immolando alla Patria la loro balda giovinezza mi dettero la convinzione dell'efficacia delle preghiere tue e di tutti i nostri cari.
Il 14 agosto (1941) riprendemmo nuovamente il mare dopo due mesi trascorsi a La Spezia per i lavori ed i vari collaudi. Dovevamo scortare un convoglio per Bengasi. Eravamo contenti di ricominciare le nostre lunghe missioni di guerra... ci sentivamo sollevati dall'incubo delle incursioni aeree del porto. La nave, appena uscita dai cantieri, aveva ripreso la sua primitiva efficienza. Tutto funzionava bene e l'equipaggio, ormai allenato dopo tante battaglie era pronto a difendere tanto ben di Dio affidato alla nostra scorta per l'Africa. Oltrepassata l'isola di Capri prendemmo rotta verso sud verso lo stretto di Sicilia. Si navigava sottocosta in acque presunte tranquille e... nelle ore libere dalla vedetta, ci godevamo lo spettacolo del panorama splendido della Campania e della Calabria.

Ad un tratto, nel riflesso argenteo del sole specchiantesi sul mare, avvistammo due scie insidiose. In un attimo fummo pronti ai nostri posti di combattimento. Sparammo due cannonate coi cannoni di prora per ordinare rapida accostata ai piroscafi onde evitare l'urto mortale dei siluri e ci lanciammo a dar la caccia al sommergibile nemico. Un nostro aereo ricognitore ci segnalò il punto ove era immerso con una fumata bianca ed in breve fummo sopra il luogo dell’agguato nemico. Lanciammo simultaneamente 4 bombe di profondità regolandone lo scoppio dai 20 ai 100 metri di profondità. L'effetto dello scoppio non tardò a manifestarsi. Col ribollire della spuma, salirono in superficie pezzi di legno ed una grande quantità di nafta. Nel breve tempo di 10 minuti si esaurì la nostra azione seppellendo il nemico in quegli abissi marini nei quali aveva tentato di mandar noi. Rapida e decisa fu la nostra azione, Galati era lieto della vittoria ottenuta. Col microfono ordinò: Scopritevi!! e ci raccogliemmo in una breve preghiera di suffragio per quei poveri morti. Veramente cavalleresco il gesto del vincitore che si inchina a suffragare le anime dei vinti.

Riprendemmo fieri la nostra scorta ancor più guardinghi di prima. Il comandante ci aveva avvertiti: attenti ragazzi!! la nostra salvezza sta nella rapidità dell'avvistamento.
In quella lontana notte della vigilia dell'Assunta, cogli occhi fissi al binocolo ad esplorare il mare illuminato e reso quasi romantico dai riflessi argentei della luna, pensavo alla felicità del ferragosto dell'anno precedente... Un anno prima eravamo felici in viaggio per Montecastello. Andavamo assieme, mano nella mano, a trovar la Madonna ed invece allora mi trovavo in alto mare in acque nemiche navigando verso l'Africa. Galati aveva ancora una volta disobbedito agli ordini e... non cademmo in bocca al nemico. Di tanto in tanto lo vedemmo in lontananza che ci cercava lanciando i "bengala" e noi eravamo più che mai pronti a rintuzzare ogni offesa.

Spuntò l'alba sul giorno dell'Assunta ed una squadriglia di aerei da caccia ci giunse dalla Sicilia per difenderci dagli attacchi dei bombardieri nemici. Di tanto in tanto guardavo l'orologio e dicevo a me stesso: l'anno scorso a quest'ora ero là in quel punto con Mary e coi miei cari verso Montecastello. L'esistenza mia di allora, (appesa ad un fragile filo che anche un'insidia banale del nemico poteva spezzare) era fatta di ricordi. Mi era negato fare progetti per il futuro e questo era una incognita atroce. Solo conforto il ricordo di pochi giorni felici... poche lettere ed immagini care sul cuore. Quel 15 agosto ci rivelò quanto era duro forzare il transito nel Mediterraneo. Ci attaccarono svariate volte i bombardieri. Tenuti a quota elevata dai nostri cannoni, scaricarono le loro bombe senza colpire nessuna nave.

Un violentissimo scontro contro gli aerosiluranti si risolse pure vittoriosamente per noi. Impavidamente vennero all'attacco. Con le mitragliere che sparavano sincronizzate ai giri delle eliche, lanciarono in massa i loro siluri. La rapida accostata fatta eseguire ai piroscafi valse a schivarli e questi si persero nell'immensità del mare. Ben 4 aerei abbattemmo in quella battaglia. Ma anche loro, lasciarono orme di sangue sul Vivaldi. Il tiro delle loro mitraglie uccise 3 nostri bravi marinai e ne ferirono altri 6. Ricordo il nome di quei cari commilitoni che immolarono la loro vita in quel lembo di mare azzurro della 4a Sponda. Ancor oggi... nella S. Messa, al MOMENTO dei MORTI, non posso fare a meno di ricordarli con un pensiero riconoscente. Eroi purissimi caduti nell'adempimento di un dovere supremo. All'arrivo in porto a Bengasi il nemico ci accolse con una nuova incursione. Sbarcammo i feriti al cessato allarme.

Assopito quell'inferno con le prime ombre della sera, ci guardammo gli uni gli altri in faccia con orgoglio e con dolore a un tempo. la nostra navigazione fu violenta e bella; fu assicurata l'incolumità ai piroscafi, fu sconfitto ed affondato un sommergibile e 4 aerosiluranti nemici ma sul nostro glorioso Vivaldi c'erano 3 corpi inanimati e 6 feriti colle carni lacerate che porteranno per sempre l'impronta del loro eroismo. Ho curato per primo quelle ferite. Tamponato le loro emorragie ed essi mi sorridevano. Sorridevano a me, quasi soddisfatti del dovere compiuto, del loro martirio. Il più grave ( mio parigrado sergente Testabruna) mi consegnò il portafogli dicendomi: Se torno me lo darai... se no guarda, dentro c'è l'indirizzo della mia Mamma.
Una lacrima ribelle affiorò dai miei occhi e lui mi sorrise. Guarda Pasqua - non piangere ma prega per me. Ultime parole di un amato collega, che rimasero maggiormente scolpite nel mio cuore quando seppi più tardi della sua fine e dovetti spedire alla sua Mamma sconsolata quel portafogli intriso del sangue del suo eroico figlio.

E poi... sbarcammo i morti... non li potemmo seguire perché non c'era tempo di fare i funerali. Irrigiditi sull'attenti a capo scoperto, il comandante scandì ad uno ad uno i loro nomi e noi rispondemmo: "PRESENTE". Avvolti nel tricolore, li portammo a terra. Scesero così per l'ultima volta quella passerella aureolati di gloria. La Patria li accolse nel suo cuore materno ed i loro nomi (ora incisi nei monumenti ai loro paesi natii) sono di monito alle nuove generazioni.
Per tutto agosto e settembre 1941 continuammo a scortare convogli, avanti e indietro dalla Sicilia a Tripoli. Il nemico non ci dava tregua in quelle pericolose navigazioni. Colse certamente un altro successo quando, verso la fine di settembre, in un attacco massiccio di aerosiluranti e bombardieri assieme, ci mandò a picco la grossa motonave "Esperia" colpita simultaneamente da tre siluri, in soli 12 minuti scomparve. Oltre 4000 morti in un sol colpo.

Si ripeterono le medesime scene dell'affondamento dell’Oceania, con la differenza che quella ebbe una agonia di due ore e questa di soli 12 minuti. Pochi veramente i superstiti da quell'immane naufragio che ai nostri occhi attoniti sembrò una visione apocalittica.
Il Vivaldi fu la sola nave che scortò tanti convogli anche in quei ultimi giorni di quell'estate funesta ai rifornimenti via mare. Il comando supremo si convinse che ormai era diventata follia il pensare di passare incolumi coi lenti convogli per l'Africa. Le perdite subite dalla marina militare e mercantile indusse Supermarina a desistere di tentare di violare il blocco aereo navale tesoci dal nemico nel mediterraneo. Ci vennero perciò assegnati altri compiti.
 
Re: Grandi disastri

Questi racconti infondono a nel mio cuore una grande tristezza nel ricordare tante giovani vite perdute ,ma sopratutto il mio papà la cui storia assomiglia molto a questa ,anche se vissuta in altri teatri e con altri mezzi che non erano navi
Grazie
Lino
 
Re: Grandi disastri

Ormai andiamo un pò Off Topic vero?
Ho il diario di guerra di mio nonno paterno, che purtroppo morì in tempo di pace prima ancora della nascita di mio padre.. si riferisce alla prima guerra mondiale, poi ho i racconti di parenti che hanno fatto la seconda..

Sono guerre diverse: la prima combattuta tra soldati, con durezza ma reciproco rispetto, la seconda principalmente contro la popolazione, e poi tra soldati, con molta più durezza e molto meno rispetto reciproco..

La seconda ha lasciato forse tracce più pesanti proprio per questo..

Purtroppo ho a disposizione racconti risalenti alla battaglia di Salamina e risultati di scavi archeologici a Troia, girala come vuoi, ma nei millenni la guerra è sempre uguale, mette umanità contro umanità e porta a quello che ha scritto tuo padre..

Sulla questione delle spie, in realtà gli Inglesi controllavano talmente il sistema di informazioni dell'asse Tedesco Italiano che alla fine, proprio per non far capire tutto ai nemici, all'annuncio di una operazione navale a sorpresa tedesca contro non mi ricordo quale città, decisero di non avvertire la popolazione e lasciarono che i Tedeschi facessero quello che volevano proprio perchè la marina Tedesca aveva proprio il dubbio che i codici fossero stati decifrati..

In qualunque guerra le sconfitte vengono sempre giustificate con i 'traditori', questo per non demoralizzare le truppe, in più in Italia, visto che di tradimenti ne abbiamo storia, la cosa è anche pensabile.. però non è stato questo il caso.

Poi ripeto, a parte ogni altra considerazione, il giocattolo era sofisticato (la marina era molto evoluta) ma è stato dato in mano ad incompetenti della peggior specie..

Credo che la massima qualità di un capo debba essere la responsabilità: dovrebbero tremargli le mani quando manda gente in guerra, dovrebbe aprire le orecchie ad ogni consiglio ed avere il massimo rispetto di tutti.. questa era invece gente che, nella prima guerra mondiale, prendeva medaglie in funzione di quanti morti aveva avuto, e nella seconda non credo fosse tanto diversa..

Salutoni
Manlio
 
Re: Grandi disastri

pmanlio ha detto:
Ormai andiamo un pò Off Topic vero?
Si, decisamente, ma se i moderatori sono s'accordo io continuerei così, anche perché l'intento che mi spinse ad iniziare questo thread era sì quello di ricordare tragedie dimenticate, ma anche e soprattutto chi quelle tragedie le ha vissute come il comandante Charles Butler McVay III dell' USS Indianapolis.
Quindi continuate, per favore, con i vostri diari ed i vostri racconti.
 
Re: Grandi disastri

Ciao Adrisessanta.

Ho letto propio con voglia il tuo racconto. Il comandante Galati incomincia a essere il mio eroe.
Molto, ma molto commovente il racconto di tuo padre. Senti l´uomo quando é in difficoltá, poi il patriotismo che é un sentimento attualmente solo da stadio.
Pmanlio ha ragione, non erano traditori i capi, era normale il bestemiare verso i loro superiori da parte del comandante Galati. Lui non sapeva, peró era un grande perche la sua tattica era l´unica.

Ciao Pmanlio.

La guerra guerra é, ed é meglio che al comandante non gli tremino le mani.
Giuste o sbagliate deve prendere decisione, ascoltando ma poi la decisione é sua.Meglio una cattiva decisione che una dubitativa.
L´importante é che sia un buon comandante, come Galati, che si fa rispettare e che si trovi con la sua gente nel momento della battaglia.
L´Italia si é fatta grande dal sangue dei nostri eroi, sempre al fronte.
Senti che profonda e commovente é il racconto del papá di Adrisessanta.
A me piace leggere racconti d´uomini di guerra perche sono propio lí che si trovano i veri valori morali.
Ho notato nelle lettere per primo l´amore verso la mamma, l´amorosa, e il vero amor di patria, non come i nostri politici attuali. Poi una profonda devozione verso la madonna e i nostri santi.
Oggi giorno sono valori che si vedono poco.

Un saluto.
 
Re: Grandi disastri

tano ha detto:
La guerra guerra é, ed é meglio che al comandante non gli tremino le mani.
Giuste o sbagliate deve prendere decisione, ascoltando ma poi la decisione é sua.Meglio una cattiva decisione che una dubitativa.

Tano, mi soo spiegato male (tra l'altro mi riferivo ai superiori di Galati e non a lui), per chiarire: Francesco Baracca fu mandato a morire da un ignorante che ha preteso il bombardamento a tappeto, in basso, delle truppe avversarie..
Baracca gli disse che se si bombarda dall'alto, è più preciso e meno pericoloso..
Gli fu dato del vigliacco, lui andò e morì..
La fermezza di una decisione è una cosa, ma la responsabilità della stessa la devi sentire..
Per lo stesso motivo i Turchi persero migliaia di uomini a Lepanto, l'ammiraglio si rifiutò di combattere sotto la costa dove era protetto dai cannoni, e diede del vigliacco agli altri comandanti che lo avvertivano della superiorità della flotta Cristiana.., lui era lì per raccomandazione..

Salutoni!
Manlio
 
Re: Grandi disastri

BATTAGLIA DI PANTELLERIA

Il 13 giugno 1942 mentre scortavamo un convoglio di ritorno dall'Africa per Napoli ricevemmo un messaggio da Supermarina: lasciar proseguire i piroscafi da soli e noi rientrare a Palermo pronti a partire in 30 minuti. Ci sembrò strano quell'ordine del quale capimmo in seguito il significato. I nostri ricognitori avevano avvistato un grosso convoglio inglese scortato dalla flotta nemica che, varcato lo stretto di Gibilterra dirigeva nel Mediterraneo verso levante. Il nostro comandante seguiva il lento procedere di quel convoglio dai bollettini cifrati captati per radio.
Il comando supremo decise di arrestare quel convoglio attaccandolo di sorpresa presso Pantelleria. Le nostre navi non vennero fatte affluire in grossa formazione per non impensierire il nemico. A Trapani, Pantelleria, Palermo ed in tutti i porti della Sicilia c'era una o due navi solo da guerra ma tutte in attesa dello stesso ordine. Era il 15 giugno verso l'una di notte che ci giunse l'ordine di partenza. In mare aperto in prossimità di Marittimo (isoletta a ponente della Sicilia) ci trovammo a contatto visivo colle navi della nostra flotta.
Sapevamo che il nemico era poco distante e navigavamo coi cannoni carichi pronti a far fuoco. Verso le 3 la nostra formazione navale assunse posizione in linea di fila ed alzammo a picco dell'albero maestro la bandiera di combattimento. Sapevamo che in mare, chi apre il fuoco per primo ha maggior probabilità di Vittoria ed intensificammo la vigilanza. La notte era limpida e il mare calmo. La fitta oscurità stava per diradarsi con le primissime tenui luci dell'alba quando, improvvisamente si udì il grido del comandante: "Ecco li!!" E la prima salva partì e come sempre nel premere il pedale di sparo dei miei comandi ebbi un pensiero brevissimo la Stella del Mare che ci fosse di aiuto.

Un altro pensiero per tutti i miei cari e poi non ci fu più il tempo di pensare ad altro che combattere. Erano circa le 4 di quel famoso mattino. La seconda salva centrò un grosso piroscafo. Avevamo tanti bersagli da centrare non c'era che scegliere. Il nemico, colto di sorpresa stentò un po' a reagire così noi potemmo colpire in pieno altri due piroscafi, I nostri incrociatori "Garibaldi, Duca degli Abruzzi e Montecuccoli" si erano portati in posizione di battaglia per affrontare le grosse navi di scorta al convoglio nemico e noi iniziammo il combattimento contro i cacciatorpediniere inglesi che si erano messi a far fumogeni per toglierci dalla nostra vista i piroscafi ancora incolumi.
Al nostro comando avevamo altri tre nostri cacciatorpediniere e, il nostro comandante ordinò loro di tenersi sulla nostra scia. Colle macchine lanciate a tutta forza circumnavigavamo quella grossa cortina di nebbia artificiale nell'attesa di avvistare un bersaglio su cui vomitare le nostre cannonate. Il sole fece capolino in quella foschia e fummo fortunati perché ci trovammo ad esser di controluce al nemico ostacolando la visuale dei loro telemetri. Oh come ricordo quel mattino di fuoco!! Gli inglesi ci avevano prescelti a loro bersaglio preferito indirizzando al Vivaldi (caposquadriglia) le loro granate.
Navigavamo a zig zag con la massima velocità consentita dalle nostre macchine e sparavamo a ritmo accelerato. Le salve del nemico cadevano in mare vicino a noi: alcune lontane, altre vicinissime. Sovente le colonne d'acqua innalzatesi in alto dagli scoppi, ricadevano su di noi facendoci fare docce salmastre non desiderate. Verso le 9, una nostra bordata raggiunse in pieno una nave nemica. Era il cacciatorpediniere inglese capo squadriglia che ci aveva preso di mira più degli altri. Quattro nostre granate gli piombarono addosso e gli vedemmo esplodere la S. Barbara prodiera.
In un attimo colò a picco ormai ridotta a brandelli. Pensai con commozione a quei caduti. Anche il nemico era composto su quella nave di giovani come noi, di gente comandata a fare la guerra avente pur essa come noi un'anima da salvare. Pur essi avevano i genitori, spose, fidanzate e figli trepidanti in attesa del loro ritorno e non torneranno più, sepolti in quel lembo di mare di Pantelleria in cui avevano lottato contro di noi per farci fare la fine che noi abbiamo inflitta a loro.

Non ci fu tempo per fare cerimonie funebri dovevamo difenderci contro gli altri. I nostri incrociatori erano impegnati in aspra battaglia contro il grosso della squadra navale nemica. Ad un certo punto, il nostro comandante ordinò alle navi della nostra squadriglia di violare quella cortina di nebbia del nemico nel tentativo di individuare altri piroscafi per affondarli. Mentre noi tenevamo impegnati in combattimento i superstiti cacciatorpedinieri nemici ci trovammo fatti bersaglio del tiro concentrico delle loro artiglierie.
Il Vivaldi, in quei minuti tremendi, sembrava una nave impazzita. Si accostava rapidamente a dritta ed a manca, si passava da lento moto alla massima velocità onde disorientare le munizioni del nemico. Sparavamo di continuo a tiro celere e, in mezzo al fragore di quelle battaglie, cogliemmo ancora una volta nel segno. Una seconda nave nemica da noi colpita fu costretta ad eclissarsi. Entrò in quella nebbia e trovò il nostro Malocello che, con una successiva bordata la mandò a picco.
E venne purtroppo anche per il Vivaldi il momento cruciale. Poco dopo le 10 quando ormai il nemico superstite si allontanava dichiarandosi vinto, una granata inglese ci colpì nel locale macchine. Vicino ai cannoni che sparavano non mi accorsi nemmeno di essere stati colpiti. Sentii fermarsi le macchine e pensai ad un'avaria. Ma ben presto si rivelò la verità un enorme incendio si sviluppò dalle caldaie 3 e 4. Il Malocello e il Da Noli ci girarono attorno facendo nebbia mentre noi ci preparavamo ad assistere all'agonia della nostra nave. Le prime invocazioni di aiuto vennero dal punto della nave ferita. Il vapore surriscaldato fluente dalle tubature scassate aveva cotto la carne addosso ai superstiti che uscendo dalla bolgia infernale delle macchine e caldaie si accasciavano senza vita in coperta in un estremo atto di volontà, per vedere ancora una volta il cielo azzurro ed il mare testimone del loro eroismo.

Quanti ricordi!! In quei primi momenti gli atti di valore dei singoli uomini meriterebbero ognuno un lungo discorso. Citerò solo il messaggio in chiaro trasmesso dal comandante. "Siamo colpiti colle macchine ferme. Combatteremo fino all'ultima cartuccia. W il RE."
Gli inglesi ormai se n'erano andati, il lungo duello era finito e vinto. Ma un'altra dura lotta attendeva: "Salvare la nostra nave".
Da Pantelleria ci giunsero i motoscafi che trasbordarono i feriti più gravi per il ricovero in ospedale. Arrivarono pure i rimorchiatori per trainarci verso il porto. E noi, seminudi, col solo salvagente e mutandine lavoravamo fino allo stremo delle nostre forze per tamponare le falle dalle quali entravano rivi di acqua.

Tutto era buono per tappare quelle crepe... assi catramate, le nostre divise usate come stracci, tutto serviva a tamponare quelle falle che minacciavano di mandarci a picco. Contro l'incendio che ci dilaniava non si poteva fare nulla perché, ormai senza corrente, le pompe di spegnimento erano inerti. Col sole a picco, col fuoco a bordo, affamati ed assetati, come pigmei contro titani, contendemmo per tutto il giorno la nostra nave al mare che tentava di inghiottirla. Entrammo in porto a Pantelleria al calar del sole. Ammainammo la nostra bandiera di combattimento salutata dalla folla che assiepava il porto. Baciammo ad uno ad uno quel vessillo glorioso prima di riporlo nel cofano dorato e sbarcammo sull'isola.
Donne e bambini, giovani e vecchi ci offrivano di che dissetarci, ci abbracciavano acclamandoci eroi. I pompieri spegnevano l'incendio a bordo e noi fummo alloggiati, sfamati e vestiti di nuovo da capo a piedi presso la caserma del comando marittimo. Finì così per noi quell'epica battaglia vittoriosa che sarebbe stata l'ultima per il Vivaldi. Dilaniato com'era, ci sarebbero voluti lunghi mesi prima di poter riprender il mare.
Giunse da Trapani un vaporetto carico di bare zincate. I vigili del fuoco recuperarono i morti del Vivaldi ammucchiati sulle tolde, li sistemarono alla bell'è meglio in quelle lugubri casse e li portarono in una chiesetta del paese. Vorrei veramente aver la mano guidata da uno scrittore per poter descrivere i sentimenti di quella sera inoltrata del 15 giugno 1942. Tacitate le armi, ripensavo ad ogni attimo di quella giornata gloriosa senza saper dar sfogo se a sentimenti di giubilo o di dolore. Eravamo tutti come inebetiti quasi increduli di essere noi i sopravvissuti da quella dura battaglia. Demmo sfogo alla nostra gioia verso mezzanotte quando, il nostro ex Comandante Galati (che da Tripoli aveva seguito trepidante la nostra azione per radio) arrivò con un idrovolante per farci visita.

Abbracciò il nostro Comandante ed uno alla volta ci abbracciò tutti. Ma... e gli altri dove sono?!- chiese infine. Castrogiovanni abbassò la testa piangendo e le nostre lacrime furono la prima palpitante preghiera verso quei nostri cari compagni che ormai tutto avevano dato per la Patria immolandosi sul Vivaldi vittorioso nell'azzurro mare di Pantelleria.
Certo... quella notte non potei dormire. Il corpo stanco tentava di assopirsi nel sonno ma lo spirito, sopraffatto da sentimenti nobili e grandi si ribellava. E pensavo... pensavo ai miei cari compagni, al dolore delle loro famiglie. Su loro invocavo la misericordia divina con suffraganti preci mentre mi rendevo conto della grazia ottenuta essendo scampato a tanto pericolo.
L'alba del nuovo giorno (16-5-1942) mi trovò affacciato alla finestra a guardare la mia nave dalla quale si levavano ancora gli ultimi bagliori di quel lungo incendio che i vigili del fuoco stavano finalmente per soffocare. Quasi chiamati come da una voce misteriosa, ancor prima della sveglia ci trovammo in molti a far ressa al cancello della caserma. L'ufficiale di picchetto ci chiese: "Ma dove volete andare benedetti figlioli così presto!!". Volevamo tornare sulla nostra nave. E tornammo... risalimmo su quelle lamiere contorte e sforacchiate, su quelle tolde bagnate ancora di sangue vermiglio e ci rendemmo conto della gravità dei danni subiti. Solo il titanico lavoro di tutti noi, aveva potuto far giungere in porto quella nave ormai ridotta ad un relitto.

Una squadra di infermieri con tute gommate e maschere sul viso frugò nei locali devastati per estrarre i corpi dilaniati dei morti ivi rimasti. Terminata l'opera pietosa del recupero dei frammenti più grossi della carne umana, cosparsero la nave di acidi e calce viva per prevenire possibili fonti di contagio. Giunse da Palermo una flottiglia M.A.S.
Dopo una semplice assoluzione impartita dal vescovo, portarono quelle bare nella capitale sicula per metterle nelle celle frigorifere in attesa della data dei funerali solenni.
Sostammo 3 giorni a Pantelleria quel tempo necessario ai saldatori per otturare con pezzi di lamiera saldata le falle più grosse. Il 19 giugno, due rimorchiatori ci trainarono a Trapani ove, un bacino galleggiante accolse il nostro scafo. Prendemmo alloggio al deposito Marina di quella città. Mi fu assegnata una bella stanzetta e mi trovai subito a mio agio a starmene lungo tempo in solitudine a pensare... le avarie del Vivaldi erano tali da lasciar supporre che ormai non avrebbe più potuto riprender il mare per molti mesi. Egoisticamente, pensavo che per me, la battaglia di Pantelleria, aveva segnato la fine della guerra in mare aperto e, speravo che ci mandassero nei cantieri di Trieste o di La Spezia in modo da esser più vicino a casa.

Fino al 25 giugno, gli operai del cantiere di Trapani lavorarono attorno al nostro scafo per rinforzare la carena dal lato esterno quindi, sempre a rimorchio dirigemmo su Palermo. Qui, in questa città così provata dai bombardamenti, le accoglienze festose alla nostra nave vittoriosa furono veramente trionfali. Il mattino del 28 si svolsero i funerali. Il nostro Comandante volle che quelle bare fossero allineate a poppa sul Vivaldi. Si alzò il gran pavese e la bandiera di combattimento, abbrunata dal lutto, venne alzata a mezz’asta. Erano giunti vari parenti di quei gloriosi caduti; molti ci abbracciavano a ci baciavano.Volevano sapere tutto sui loro cari caduti. Com'erano morti... quali furono le ultime loro parole e... tornavano a prostrarsi su quelle bare invocando il nome dei loro cari.
I funerali di quegli eroi si svolsero come in un'apoteosi di gloria. Rappresentanze di tutti i corpi militari erano presenti con la banda, centododici corone di fiori e di alloro seguivano i reparti militari. dietro alle corone, i reparti della Marina, quindi le bare avvolte nel tricolore. Officiante il cardinale assistito dai cappellani delle varie armi. Seguivano i parenti, i comandanti Galati e Castrogiovanni e tutti noi del Vivaldi. Dietro noi autorità e popolazione. Ma noi del Vivaldi sentimmo nei nostri cuori in quegli istanti solenni qualcosa di più della commozione. Rividi nella mia mente quei cari compagni belli e fieri nella baldanza della loro giovinezza. mi sembrava di sentire le loro voci. Quasi non potevo ancora convincermi che essi ormai non c'erano più.

All'omelia funebre, il cardinal Ruffini tesse l'elogio di quegli eroi. Quindi, sulla piazza, davanti alle bare allineate come per l'ultima rivista, il nostro Comandante chiamò i nomi dei nostri cari compagni ad uno ad uno. Ventiquattro nomi gloriosi, quasi invocati con voce tremante e cogli occhi lacrimanti. Ad ogni nome pronunciato... la nostra accorata risposta: "PRESENTE".
Oh! si cari compagni miei di quei tempi lontani, di quell'epica grande battaglia... SI!! siete ancora presenti nel mio cuore. Nel santo sacrificio della Messa vi ho sempre ricordati con pensiero riconoscente. La vostra poteva essere la mia sorte. Voi certamente avete avuto il premio riservato agli eroi caduti per la Patria. A me... ai superstiti, resta il dovere di ricordarvi con la preghiera di suffragante riconoscenza.
Fino alla metà di Luglio, nel porto di Palermo gli operai lavorarono a demolire quelle sovrastrutture della nave ormai rese inservibili. Ripulirono i vari locali dai residui dell'incendio, estrassero dalle lamiere e dai tubi contorti del locale macchine ancora qualche pezzo di arti umani ormai decomposti e fecero un esame sommario dei lavori necessari a rimettere in funzione il "Vivaldi". Qualcuno parlava di 6-8 mesi... altri di un anno. Noi, con una certa punta di egoismo, gioivamo in cuor nostro nella certezza
di poter ottenere una lunga licenza. Nel deposito Marina di Palermo ove eravamo ospiti graditi, ci rifornirono del nuovo vestiario completo, di zaino e valigia e quindi, il 16 Luglio, con treno speciale raggiungemmo Napoli.
Venimmo sistemati abbastanza bene in una casermetta fuori dalla zona militare del porto. Come sottufficiale ebbi assegnata la mia cameretta privata e fu da quella finestra che vidi giungere il Vivaldi rimorchiato e seguito dalle altre navi della 7a Squadra che avevano partecipato alla battaglia di Pantelleria.
 
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