Re: Grandi disastri
amartoni ha detto:
Mi costringi a versare nuovamente un mare di lacrime!
Si, perchè per me è una fitta al cuore tutte le volte che riapro quei diari. Non ti dico quando li ho trascritti... Tuttavia, non so perchè, ma dopo che li rileggo mi sento comunque meglio, anche se rimane l'amarezza di non aver potuto godere di cotanto Padre dagli undici anni (l'età che avevo quando morì) fino ad oggi.
@pmanlio
Non metto in dubbio quel che dici. Tuttavia, il Vivaldi si salvò in parecchie circostanze proprio per il fatto di non seguire rotte preordinate, un motivo ci doveva pur essere!
Nei racconti che posterò tra poco (tolte le parti che parlano degli affetti più intimi, pur lasciando qualcosa) ve n'è un'altra dimostrazione.
UN NUOVO FRONTE DI GUERRA
Tornato a bordo del “Vivaldi” ripresi a scrivere il mio diario di guerra.
Il 22-6-1941 le truppe di HITLER varcarono le frontiere verso la Russia. Un nuovo, vasto fronte di guerra si era aperto quel giorno. A quei tempi si era convinti della imbattibilità delle forze dell’Asse e si pensava ancora ad una rapida conclusione del conflitto. Le divisioni italo tedesche avanzavano rapidamente sul suolo sovietico travolgendo le resistenze russe. Ogni giorno i bollettini di guerra, davano notizie di città conquistate e di rovinose ritirate degli eserciti nemici.
Da più di un mese la mia nave si trovava in bacino per grandi lavori ed io vivevo in quei giorni con la speranza di ottenere una nuova licenza dato il protrarsi della nostra inattività bellica.
Eravamo alloggiati a terra alla caserma dei sommergibilisti. Godevamo un periodo di vero riposo onde ritemprare le nostre energie per l’attività futura.
Alla dichiarazione di guerra della Germania alla Russia gli americani reagirono stringendo prima un patto di alleanza cogli inglesi e poi entrando pur loro in guerra contro gli eserciti del patto d’acciaio e cioè Germania Italia e Giappone . La grande follia paventata dal S. Padre Pio XII° era scoppiata. Da
europea la guerra era diventata mondiale. Le armi seminavano stragi ovunque dai mari del nord a quelli del sud. Dell’est e dell’ovest.
In tanto frastuono mondiale ebbi il piacere di ottenere una nuova licenza prima di riprendere il mare. Dal 12 al 20 Luglio 1941 trascorsi giornate di gioia a Verolanuova ed a Gargnano.
[...]
Mi accompagnasti alla stazione il pomeriggio del 20 ed io partii con l’immagine di Te nel cuore che, colle lacrime agli occhi mi sventolavi il fazzoletto.
Oh! Come ricordo i due ippocastani di quella stazione!! Ti portavi fra mezzo ad essi perché da li ti potevo vedere più a lungo rimpicciolire man mano che il treno si allontanava.
Possiamo ben dire che quella stazione fu per noi il posto di grandi emozioni.
Emozioni di grande gioia al mio arrivo in licenza e di grande sconforto quando dovevo ripartire per la guerra. Ancora oggi, dopo tanti anni, quel luogo suscita i me i più disparati ricordi quando mi capita di scendere o salire sul treno a Verolanuova.
2° SEMESTRE 1941
Rientrato a La Spezia, trovai il Vivaldi in fase di ultimazione dei lavori. Riprendemmo imbarco il 28 Luglio e restammo in quel porto sino al 4 agosto ove, imbarcati i siluri, le munizioni per tutte le artiglierie e le bombe di profondità, eseguimmo i vari collaudi alle macchine.
Partimmo per Napoli di scorta alle navi da battaglia Doria e Trento. Povera città!! quanti bombardamenti aveva subito da quando l'avevamo lasciata!! La popolazione che non aveva potuto sfollare, viveva giorno e notte assiepata nei molti sicuri rifugi naturali delle gallerie metropolitane. Interi rioni ridotti a macerie, strade sconnesse, palazzi sventrati, centinaia di morti e migliaia di feriti avevano reso la bella Napoli una città martire. E non solo Napoli... tutte le città portuali del meridione erano prese a bersaglio dall'aviazione nemica.
Le super fortezze anglo-americane scortate da nugoli di aerei da caccia avevano sferrato la loro offensiva onde colpire i nostri porti e bombardare le città per fiaccare il morale della popolazione civile. Si deve dar atto alla lealtà usata allora dagli americani perché, prima di iniziare i bombardamenti avevano provveduto ad invitare le popolazioni ad abbandonare le città e rifugiarsi nelle campagne con lancio di manifestini. Problema certamente grave perché era impossibile poter pensare ad esodi totali delle città sovraffollate del meridione. La gente viveva così, nelle viscere della terra, in una promiscuità impressionante. I più audaci uscivano dai loro rifugi, tra un allarme e l'altro, per procacciare lo scarso cibo alle loro famiglie. Spesso tornavano a riferire che la loro casa non c'era più e ritornavano fuori a cercar tra le macerie quelle poche cose che potevano recuperare.
Povere città veramente martoriate, povere donne, vecchi e bambini innocenti ridotti a vivere peggio delle bestie in lunghi rifugi maleodoranti ove spesso, chi cercava scampo alle bombe, incontrava il contagio di malattie letali. Io ho vissuto quei lunghi mesi di tragedia. Ero arrivato al punto da preferire le insidie ed i pericoli delle lunghe navigazioni alla permanenza nei porti presi continuamente di mira dai massacranti bombardamenti.
L'intero equipaggio era stato diviso in due squadre: se la squadra impari era di servizio (quando eravamo attraccati a qualche troncone di molo), per tutte le 24 ore, doveva stare a bordo durante le incursioni nemiche. L'altra squadra poteva correre nei rifugi più vicini.
Quante volte fui di servizio sotto la pioggia delle bombe!! Dovevo stare allo scoperto sulle ali di plancia come dirigente dei mitraglieri per impartire gli ordini di aprire il fuoco quando gli aerei nemici erano alla portata di tiro. Ricordo il lavoro massacrante coi nervi tesi fino allo spasimo dover stare ore e ore colle armi in pugno spesso senza poter sparare sul nemico perché troppo alto. (fuori dalla portata delle nostre armi) E... vedere i grappoli di bombe al momento dello sgancio... sentire il lugubre sibilo ed attendere quell'attimo (che poteva esserci fatale) dello scoppio. Cogli elmetti in testa, ci si rannicchiava su noi stessi avendo l'illusione di sfuggire il nemico rimpicciolendosi.
In navigazione si poteva manovrare... si accostava rapidamente a dritta o a manca quando si vedeva l'attimo dello sgancio. In porto NO!!bisognava confidare in Dio che ce la mandasse buona... che deviasse colla Sua Onnipotente mano la rotta delle bombe a noi destinate. E... quanti, quanti bombardieri! Gli americani avevano dislocato la loro stragrande potente aviazione nel bacino del Mediterraneo ed avevano intrapreso quei micidiali bombardamenti a tappeto eseguiti con tanti aerei assieme. Un giorno contai oltre 800 aerei nemici che, in ondate successive di 18 per volta mollavano le loro bombe sul porto e sulla città. La notte era diverso... in quasi tutte le principali zone portuali, si produceva la nebbia artificiale per celare alla vista del nemico il nostro ambito bersaglio.
Quando gli aerei erano vicini, si sparava nella direzione data dagli aerofoni, formando nel cielo come una coltre di ferro e di fuoco. E noi si era costretti a tenere per ore la maschera sul viso perché la nebbia chimica, ci ostacolava il respiro. Spesso la nave sussultava per lo scoppio di bombe vicino allo scafo: sovente, le colonne d'acqua elevantesi verso l'alto ricadevano su di noi inzuppandoci di acqua e di fango. In mezzo a tanto frastuono, al tuonar tambureggiante dei cannoni anti aerei, al gracidare sibilante delle mitraglie ed agli scoppi delle grosse bombe il mio pensiero volava lontano. Pensavo a Te Mary e ti vedevo come in una mistica visione. Ti sapevo devota alla Madonna e... ti vedevo in atteggiamento implorante colle mani alzate verso di Lei.
Le mie si unirono spesso alle tue preghiere... per esse... solo per esse posso ben dire oggi di esser ancora vivo. Troppe sono state le ore in cui ho visto la morte in atto di ghermirmi. I compagni che vidi cadere immolando alla Patria la loro balda giovinezza mi dettero la convinzione dell'efficacia delle preghiere tue e di tutti i nostri cari.
Il 14 agosto (1941) riprendemmo nuovamente il mare dopo due mesi trascorsi a La Spezia per i lavori ed i vari collaudi. Dovevamo scortare un convoglio per Bengasi. Eravamo contenti di ricominciare le nostre lunghe missioni di guerra... ci sentivamo sollevati dall'incubo delle incursioni aeree del porto. La nave, appena uscita dai cantieri, aveva ripreso la sua primitiva efficienza. Tutto funzionava bene e l'equipaggio, ormai allenato dopo tante battaglie era pronto a difendere tanto ben di Dio affidato alla nostra scorta per l'Africa. Oltrepassata l'isola di Capri prendemmo rotta verso sud verso lo stretto di Sicilia. Si navigava sottocosta in acque presunte tranquille e... nelle ore libere dalla vedetta, ci godevamo lo spettacolo del panorama splendido della Campania e della Calabria.
Ad un tratto, nel riflesso argenteo del sole specchiantesi sul mare, avvistammo due scie insidiose. In un attimo fummo pronti ai nostri posti di combattimento. Sparammo due cannonate coi cannoni di prora per ordinare rapida accostata ai piroscafi onde evitare l'urto mortale dei siluri e ci lanciammo a dar la caccia al sommergibile nemico. Un nostro aereo ricognitore ci segnalò il punto ove era immerso con una fumata bianca ed in breve fummo sopra il luogo dell’agguato nemico. Lanciammo simultaneamente 4 bombe di profondità regolandone lo scoppio dai 20 ai 100 metri di profondità. L'effetto dello scoppio non tardò a manifestarsi. Col ribollire della spuma, salirono in superficie pezzi di legno ed una grande quantità di nafta. Nel breve tempo di 10 minuti si esaurì la nostra azione seppellendo il nemico in quegli abissi marini nei quali aveva tentato di mandar noi. Rapida e decisa fu la nostra azione, Galati era lieto della vittoria ottenuta. Col microfono ordinò: Scopritevi!! e ci raccogliemmo in una breve preghiera di suffragio per quei poveri morti. Veramente cavalleresco il gesto del vincitore che si inchina a suffragare le anime dei vinti.
Riprendemmo fieri la nostra scorta ancor più guardinghi di prima. Il comandante ci aveva avvertiti: attenti ragazzi!! la nostra salvezza sta nella rapidità dell'avvistamento.
In quella lontana notte della vigilia dell'Assunta, cogli occhi fissi al binocolo ad esplorare il mare illuminato e reso quasi romantico dai riflessi argentei della luna, pensavo alla felicità del ferragosto dell'anno precedente... Un anno prima eravamo felici in viaggio per Montecastello. Andavamo assieme, mano nella mano, a trovar la Madonna ed invece allora mi trovavo in alto mare in acque nemiche navigando verso l'Africa. Galati aveva ancora una volta disobbedito agli ordini e... non cademmo in bocca al nemico. Di tanto in tanto lo vedemmo in lontananza che ci cercava lanciando i "bengala" e noi eravamo più che mai pronti a rintuzzare ogni offesa.
Spuntò l'alba sul giorno dell'Assunta ed una squadriglia di aerei da caccia ci giunse dalla Sicilia per difenderci dagli attacchi dei bombardieri nemici. Di tanto in tanto guardavo l'orologio e dicevo a me stesso: l'anno scorso a quest'ora ero là in quel punto con Mary e coi miei cari verso Montecastello. L'esistenza mia di allora, (appesa ad un fragile filo che anche un'insidia banale del nemico poteva spezzare) era fatta di ricordi. Mi era negato fare progetti per il futuro e questo era una incognita atroce. Solo conforto il ricordo di pochi giorni felici... poche lettere ed immagini care sul cuore. Quel 15 agosto ci rivelò quanto era duro forzare il transito nel Mediterraneo. Ci attaccarono svariate volte i bombardieri. Tenuti a quota elevata dai nostri cannoni, scaricarono le loro bombe senza colpire nessuna nave.
Un violentissimo scontro contro gli aerosiluranti si risolse pure vittoriosamente per noi. Impavidamente vennero all'attacco. Con le mitragliere che sparavano sincronizzate ai giri delle eliche, lanciarono in massa i loro siluri. La rapida accostata fatta eseguire ai piroscafi valse a schivarli e questi si persero nell'immensità del mare. Ben 4 aerei abbattemmo in quella battaglia. Ma anche loro, lasciarono orme di sangue sul Vivaldi. Il tiro delle loro mitraglie uccise 3 nostri bravi marinai e ne ferirono altri 6. Ricordo il nome di quei cari commilitoni che immolarono la loro vita in quel lembo di mare azzurro della 4a Sponda. Ancor oggi... nella S. Messa, al MOMENTO dei MORTI, non posso fare a meno di ricordarli con un pensiero riconoscente. Eroi purissimi caduti nell'adempimento di un dovere supremo. All'arrivo in porto a Bengasi il nemico ci accolse con una nuova incursione. Sbarcammo i feriti al cessato allarme.
Assopito quell'inferno con le prime ombre della sera, ci guardammo gli uni gli altri in faccia con orgoglio e con dolore a un tempo. la nostra navigazione fu violenta e bella; fu assicurata l'incolumità ai piroscafi, fu sconfitto ed affondato un sommergibile e 4 aerosiluranti nemici ma sul nostro glorioso Vivaldi c'erano 3 corpi inanimati e 6 feriti colle carni lacerate che porteranno per sempre l'impronta del loro eroismo. Ho curato per primo quelle ferite. Tamponato le loro emorragie ed essi mi sorridevano. Sorridevano a me, quasi soddisfatti del dovere compiuto, del loro martirio. Il più grave ( mio parigrado sergente Testabruna) mi consegnò il portafogli dicendomi: Se torno me lo darai... se no guarda, dentro c'è l'indirizzo della mia Mamma.
Una lacrima ribelle affiorò dai miei occhi e lui mi sorrise. Guarda Pasqua - non piangere ma prega per me. Ultime parole di un amato collega, che rimasero maggiormente scolpite nel mio cuore quando seppi più tardi della sua fine e dovetti spedire alla sua Mamma sconsolata quel portafogli intriso del sangue del suo eroico figlio.
E poi... sbarcammo i morti... non li potemmo seguire perché non c'era tempo di fare i funerali. Irrigiditi sull'attenti a capo scoperto, il comandante scandì ad uno ad uno i loro nomi e noi rispondemmo: "PRESENTE". Avvolti nel tricolore, li portammo a terra. Scesero così per l'ultima volta quella passerella aureolati di gloria. La Patria li accolse nel suo cuore materno ed i loro nomi (ora incisi nei monumenti ai loro paesi natii) sono di monito alle nuove generazioni.
Per tutto agosto e settembre 1941 continuammo a scortare convogli, avanti e indietro dalla Sicilia a Tripoli. Il nemico non ci dava tregua in quelle pericolose navigazioni. Colse certamente un altro successo quando, verso la fine di settembre, in un attacco massiccio di aerosiluranti e bombardieri assieme, ci mandò a picco la grossa motonave "Esperia" colpita simultaneamente da tre siluri, in soli 12 minuti scomparve. Oltre 4000 morti in un sol colpo.
Si ripeterono le medesime scene dell'affondamento dell’Oceania, con la differenza che quella ebbe una agonia di due ore e questa di soli 12 minuti. Pochi veramente i superstiti da quell'immane naufragio che ai nostri occhi attoniti sembrò una visione apocalittica.
Il Vivaldi fu la sola nave che scortò tanti convogli anche in quei ultimi giorni di quell'estate funesta ai rifornimenti via mare. Il comando supremo si convinse che ormai era diventata follia il pensare di passare incolumi coi lenti convogli per l'Africa. Le perdite subite dalla marina militare e mercantile indusse Supermarina a desistere di tentare di violare il blocco aereo navale tesoci dal nemico nel mediterraneo. Ci vennero perciò assegnati altri compiti.