DUBAI: MITO O REALTA'?
Il grattacielo più alto del mondo e, appena dietro, il deserto o il nulla. Un grande residence con centinaia di ville, a forma di palma, creato dove c’era solo il mare. Una medina artificiale ideata per essere l’habitat perfetto dei turisti. Davanti a questi record, la sensazione più sconcertante che può prendervi durante un soggiorno a Dubai è di essere in una realtà virtuale. Di vivere non in un mondo concreto ma in una finzione creata a scopi commerciali. Un’illusione di autopropaganda. Un parco a tema come quelli dei divertimenti.
Prima di iniziare la descrizione della tappa a Dubai, è bene chiarirsi le idee. Prima della fine degli anni Sessanta e della scoperta del petrolio, questa città era solo un villaggio di pescatori. Nel giro di una generazione è diventata una megalopoli. Dal 2000 al 2006 il pil è cresciuto al ritmo del 13 per cento annuo, meglio di Cina e India. La famiglia degli sceicchi Al Maktoum, e dal 2006 anche l’ultimo regnante Mohamed, come i re biblici o i faraoni in odore di divinità una notte hanno sognato la nuova Dubai e il giorno dopo hanno iniziato ad edificarla. Costruzioni ciclopiche realizzate in pochi anni, capitali immensi guadagnati e reinvestiti, legioni di lavoratori attirati da tutti i continenti. In questo momento solo il 15 per cento dei residenti a Dubai è di ceppo arabo. Gli altri sono immigrati, i protagonisti di un melting pot senza paragoni al mondo.
L’obiettivo degli sceicchi? Proporsi al mondo come i protagonisti di una grande impresa epica, uscire dalle oscurità del medio Oriente e rivaleggiare con gli Stati Uniti quanto a capolavori dell’ingegneria e dell’architettura.
Un sogno di magnificenza, un revanchismo e un lusso a volte sfrenato, una vetta di tecnologia che in lontananza nasconde un incubo, cioè la prossima fine del petrolio. Già oggi i ricavi dall’estrazione di questo tesoro dalle viscere della terra coprono solo il 6 per cento del pil di Dubai. E per Mohamed Al Maktoum l’imperativo degli ultimi anni è stato proprio differenziare le entrate economiche, irrobustire il turismo e il commercio, in due parole portare nell’emirato qualunque uomo occidentale od orientale che volesse sbalordirsi a colpi di “wow” e soprattutto spendere.
Dalla fine del 2008 lo sceicco ha dovuto fare i conti anche con la crisi mondiale: fece scalpore in quei mesi la notizia che decine di auto con le chiavi nel cruscotto venivano abbandonate all’aeroporto di Dubai da gente in fuga all’estero, partita con un biglietto di sola andata. L’effetto più clamoroso fu il rischio di interrompere in extremis la costruzione del grattacielo più alto al mondo. Completato invece nel 2009 grazie agli ingenti capitali arrivati da Abu Dhabi. Tanto che la costruzione ha cambiato nome e ora si chiama Burj Khalifa, la torre di Khalifa, che è il nome dello sceicco dell’emirato vicino e rivale.
E oggi? Si sono fermati alcuni megainvestimenti immobiliari come “The World”, l’immenso arcipelago di isole che si stava creando in mare accanto a “The Palm”. Una enorme operazione di prestiti ha salvato (almeno per ora) il fragile sistema finanziario del Paese. Qualche sogno da nababbo è stato rimesso nel cassetto in attesa di tempi migliori, oppure è tornato a essere un miraggio tra le dune.
Dubai, mito o realtà? La domanda vi rimarrà irrisolta nella mente dopo un soggiorno frizzante e appagante, presi dalla frenesia della vita notturna, tra le luci multicolori, il bagliore dei gioielli nel Souk dell’oro. E probabilmente è lo stesso per i residenti. Dubai è una domanda irrisolta, una città che ha già creato la leggenda di se stessa, una Babilonia dei tempi moderni, stretta tra l’illusione della conquista del mondo e la forza del deserto che cerca di risucchiarla.