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My USA on the Road...and more.

JonnyV

Well-known member
Spinto e quasi trascinato piacevolmente dal diario di Vera95 spero di fare cosa gradita agli amici crocieristi se scrivo sulle mie avventure motociclistiche e automobilistiche americane, nell’attesa di una transatlantica già prenotata alla fine di novembre.

Electra Glide in Blue to Sturgis.
A molti, anzi a moltissimi, “Sturgis” non dirà alcunché ma nei miei anni giovanili aveva attinenza con la mia passione per la motocicletta e con una ipotetica avventura “coast to coast” negli Stati Uniti, preferibilmente sulla mitica “Route 66”.
Easy Rider, un film del 1969 diretto e interpretato da Dennis Hopper assieme a Peter Fonda (figlio di Henry Fonda) e Jack Nicholson, allora giovane attore quasi sconosciuto, aveva avuto la sua parte nel temprare la mia passione per la moto. Il lungometraggio narrava un viaggio di due motociclisti attraverso gli “states”, da Los Angeles a New Orleans, sulle loro motociclette Harley Davidson opportunamente modificate secondo lo stile “chopper”:
Possedevo in quegli anni una Moto Morini 125 di seconda mano e catturato dalle immagini di quel film mi cimentai nel tentativo renderla più appariscente possibile, a somiglianza di quanto avevo visto nel film, con risultati sufficienti sotto molti aspetti.
Cilindrata troppo piccola la 125 e non le era permesso di viaggiare in autostrada. Pertanto, fu la volta della mitica Honda 500 Four color oro, comprata sempre di seconda mano. Bellissima e con un livello qualitativo e meccanico non paragonabile con le motociclette italiane.
Ancorché apprezzabile, la Honda era comunque sottodimensionata per viaggiare in coppia e con bagagli al seguito; quindi decisi di salire di categoria comprando di seconda mano una Moto Guzzi 850 California. Era un vero trattore con vibrazioni a non finire.
Per viaggiare con tranquillità, avevo bisogno di una motocicletta di tutto rispetto.
Un’altra compagna di viaggi quindi ma, questa volta, finalmente “nuova”: BMW r100s.img005.webp
Nel 1982 con mia moglie decidemmo di fare il nostro primo lungo viaggio in terra di Spagna, proprio nel periodo della grandiosa epopea del calcio italiano con la conquista del titolo mondiale.
La moto si rivelò costantemente una fida “compagna” che non tradiva mai, a patto di darle da “mangiare” un po’ d’olio e da “bere” ottima benzina: 6.000 chilometri tra andata e ritorno senza alcun problema.20240710_175601.webp
Le lunghe distanze da percorrere in moto non mi intimorivano e certamente avrei potuto anche prendere in considerazione, in futuro, un viaggio avventura negli Stati Uniti. Tuttavia, gli impegni di famiglia e la nascita dei nostri figli mi costrinsero ad accantonare la motocicletta, la mia passione e il mio sogno che finì in un cassetto.
Ma il fuoco covava sotto la cenere!

continua...
 
2 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Nel lontano 1985 avevo acquistato una ottima “Guida agli USA”, nutrimento per la mia mente e tizzone per alimentare l’ardore della pira. Dopo averla letta con avidità e studiata con perseveranza avevo immaginato e tracciato un lungo itinerario turistico e motociclistico attraverso gli Stati Uniti, partendo da New York per giungere a Santa Monica, al chilometro zero della Route 66.
Tuttavia, per quel lungo di viaggio, tempo e denaro erano presupposti indispensabili e quel sogno era rimasto dispettosamente confinato nel limbo dell’utopia di poterlo tradurre in realtà. Negli anni che seguirono, con moglie e figli al seguito ci divertivamo a viaggiare in Europa, in Italia, nella bellissima Sardegna, non disdegnando villaggi turisti e rotte verso la Grecia e Creta. E poi fu la volta della nostra prima crociera in assoluto a bordo di Costa Classica per un itinerario in Adriatico e Egeo.img008.webp
Con i figli ormai grandicelli e insofferenti, l’unica alternativa per i nostri viaggi era quella di togliere dalla naftalina quello che più amavamo: tenda, sacchi a pelo e la nostra motocicletta.img017.webp
Scorribande quindi in quasi tutte le isole Cicladi e un lungo, bellissimo e avventuroso viaggio andata e ritorno in Turchia, fino ai confini con la Siria.img006.webp

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Più tardi, sfogliando qualche rivista motociclistica, “Sturgis” era rimbalzato prepotentemente alla ribalta e l’avvento di internet aveva spalancato una porta che aveva aperto orizzonti visivi di una straordinaria aggregazione di bikers che partivano da ogni angolo degli Stati Uniti per raggiungere quel luogo.
Non da meno, le fantasticherie si erano fatte largo ancora di più nella mia mente e la quasi irrealizzabilità di un bellissimo viaggio era un tormento che di tanto in tanto mi assaliva.
Tuttavia, quel nome aveva trovato, finalmente, la sua inamovibile collocazione dentro di me.
Sturgis è un piccolo paese del Sud Dakota, quasi al centro degli Stati Uniti, ubicato a un’altitudine di 1.300 metri con appena 6.500 abitanti, nel bel mezzo delle Black Hills, Custer Park, Rushmore Memorial, Crazy Horse Memorial e vicinissimo ad alcune città minerarie storiche della corsa all’oro del vecchio west come Deadwood, Leeds e Custer City.
Ogni anno, nella prima settimana di agosto, questa tranquilla cittadina veniva letteralmente invasa da non meno di mezzo milione di “bikers”, provenienti da ogni dove, per dar vita allo strabiliante “Sturgis Motorcycle Rally”, il più grande motoraduno del mondo.
Insomma, dovevo cercare di inseguire tutte le opportunità per tentare di raggiungere anch’io quella meta, seducente e mitica, perché “era una di quelle cose che nella vita bisognava fare almeno una volta”.

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Ma non era ancora giunta l’ora!


continua…
 
3 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Dopo aver adoperato per viaggiare tutti i mezzi di trasporto possibili, ad un certo punto ci accorgemmo di averne uno, anzi due, che facevano parte di noi stessi a cui non avevamo dato, fino a quel momento, la necessaria importanza: i nostri piedi.
La meta? Che cosa c’era di meglio se non viaggiare “a piedi” sul Camino verso Santiago de Compostela? Erano la pista e la meta ideale da raggiungere con la nostra forza fisica e la tenacia della volontà. Una “passeggiata” durata più di un mese, più di molti altri viaggi indelebile, bellissima perché metafora perfetta della vita. A favore di chi legge ci piace condividere ciò che di importante abbiamo trovato sul percorso, ci ha colpiti profondamente ed è rimasto in noi alla fine:
Il Cammino di Santiago è una miscela non comune di stati d’animo, di spazi e orizzonti infiniti, di vastissimi campi di grano, di spighe che il vento accarezza e piega dolcemente; di monti da valicare, colline da superare, vallate da attraversare, boschi dove la luce fatica a penetrare; è un viaggio tra cinguettio felice di uccelli, ruscelli che dolcemente scivolano nel proprio alveo e invitano i pellegrini a rinfrescare le membra; è il silenzio degli altopiani delle “mesetas” e delle lunghe e rettilinee “sendas” polverose; è il freddo vento che viene dal lontano mare d’occidente che come un ostacolo cerca di frenare il tuo passo, ma invece rafforza la tua determinazione; è il sincero, genuino rapporto con il prossimo fatto di gesti concreti come la dolce parola che allevia le tue sofferenze e ti aiuta e incoraggia a proseguire, mentre le mani samaritane si adoprano per curarti i piedi malconci; è il susseguirsi delle suggestive funzioni eucaristiche che quasi ogni sera scandiscono la fine del “cammino quotidiano” con l’immancabile e commovente “Benedizione del Pellegrino”, rinnovato auspicio di un domani migliore; è l’incontro con le innumerevoli chiese, ponti, strade e ostelli antichi che trasudano storia da ogni pietra, a testimoniare l’ausilio ai pellegrini che con incrollabile fede e coraggio si recavano e si recano a Santiago de Compostela. Tutto questo e molto più è “El Camino”, un percorso fatto soprattutto di “fede”, “speranza” e “fratellanza”.
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L’Europa è nata dal pellegrinaggio a Compostelae la sua lingua è il Cristianesimo.
J.W. Goethe
 
4 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Nell’estate del 2008 venne a trovarci Jack, un nipote di mia moglie che vive in California. Gli parlai di Sturgis ma lui, pur interessato, a quel raduno non vi aveva mai partecipato. Gli confessai che un mio sogno era prendervi parte e forse avremmo potuto fare il viaggio assieme. Non gli feci una richiesta esplicita e quindi tutto finì come si suol dire…a tarallucci e vino.
Nell’estate del 2012, invece, giunse da Toronto un parente di mia moglie emigrato in Canada. Aveva la medesima passione per le moto e in garage una Yamaha Virago 750 con la quale si divertiva ad andare a spasso da solo o con altri amici.
Insomma, durante il suo soggiorno, i nostri discorsi scivolarono inevitabilmente su Sturgis e gli proposi apertamente di andarci assieme. Colsi a volo il suo entusiastico interessamento per questa esperienza motociclistica e, per giunta, gli avrebbe fatto piacere ricambiare la mia ospitalità in Canada.
Non posso negare che da quel momento sembrava si fosse accesa in me una piccola lampadina da 25 watt che non tardò molto ad essere sostituita da una da 100 che restò accesa fino alla fine di questa storia.
Forse il viaggio in America e a Sturgis, quel sogno tante volte rimasto inappagato, poteva trasformarsi in realtà. L’ospitalità in Canada era una ghiotta opportunità da non lasciarsi sfuggire e più ne parlavamo e più mi elettrizzavo all’idea di coronare l’avventura motociclistica che più ambivo da tempo.
Unica nota stonata: con rammarico, non avrei potuto viaggiare assieme mia moglie.
Il prossimo motoraduno di Sturgis avrebbe avuto inizio appena quindici giorni dopo la data del ritorno a Toronto di questo amico di famiglia. Nonostante avessi preso in considerazione di partire insieme a lui per parteciparvi, mi resi subito conto l’idea era impraticabile, quantomeno dal solo punto di vista organizzativo. Troppi fattori dovevano essere presi in considerazione e un viaggio sognato per tutta la vita poteva trasformarsi in un fallimento, solo per causa della fretta. Pertanto, memore del detto che “presto e bene non van bene insieme”, verso la metà di luglio del 2012 “il canadese” partì ed io rimasi con il sogno nel cassetto appena spalancato!​

Tuttavia, forse, era veramente giunta l’ora che attendevo!

Se a Sturgis non potevo andarci di persona almeno avrei potuto vedere quello che accadeva. La complicità di internet era assolutamente necessaria e mi bastò poco per individuare i siti più interessanti che facevano ala bisogna. Uno in particolare era il sito ufficiale della manifestazione e disponeva di quattro webcam che in tempo reale riprendevano e trasmettevano immagini di alcuni luoghi del paesello: Main street, Auditorium, Sturgis Liquor, Community Center.
Nei giorni del raduno, verso le sette di sera, mi collegavo con il sito e per me era una vera e propria goduria partecipare da remoto: gazebo dappertutto, bar, saloon, tavole calde, una moltitudine di gente a spasso, al pari di un numero esorbitante di moto parcheggiate dappertutto e il loro ossessivo e rombante andirivieni nel corso principale di Sturgis.
Mi interessavano anche le condizioni meteo. Di solito la sera pioveva e la temperatura non superava i 15 gradi; di giorno, invece, la temperatura era abbastanza elevata, tanto da permettere di stare in maniche corte e alle donne di indossare abiti succinti. Su youtube, inoltre, si sprecavano i filmati della manifestazione e quelli on the road di motociclisti che partivano dai luoghi più disparati degli Stati Uniti.
Invidia! Era il sentimento che più aleggiava in me e non poteva essere altrimenti perché, mentre poco prima la mia partecipazione al quel raduno sembrava essere stata a portata di mano, adesso la meta da raggiungere si allontanava sempre di più, quasi fosse un miraggio.
Pazienza, insomma!
E così, ad agosto, il 72° Motorcycle Rally di Sturgis terminò lasciandomi molto amaro in bocca.​

Ma non era ancora stata detta l’ultima parola!

continua…
 
5 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Sturgis assillava continuamente la mia mente e per affrancarmi momentaneamente da quel luogo a settembre presi il traghetto e andai a calmare i bollenti spiriti a Mykonos.
Di ritorno da quella bella distrazione mi ritrovai però ancora una volta immerso nel desiderio di andare in America perché Sturgis aveva inesorabilmente e stabilmente messo piede nei miei pensieri. I presupposti mentali c’erano tutti ma le risposte da assegnare a ciascuna domanda organizzativa dovevano trovare l’esatta collocazione come in un ipotetico puzzle.

Works in Progress

Non c’era miglior metodo della navigazione in internet per pianificare tutti i dettagli e, in primis, il tracciato dell’itinerario da consultare attraverso Google Maps e il suo omino di Street View.
In linea di massima, l’avventura doveva svolgersi in un lasso di tempo di dodici giorni, non eludendo, comunque, nel corso del viaggio, di visitare le località turistiche più rilevanti: quattro tappe di andata, tre giorni di permanenza a Sturgis, quasi le medesime per il ritorno.
Dopo intere giornate trascorse a navigare, in cuor mio sapevo che finalmente potevo concretizzare ciò che fino a quel momento era stata solo e soltanto una chimera: partecipare al 73° Raduno Motociclistico di Sturgis.
Le ipotesi a riguardo della moto da utilizzare, dopo varie indagini di mercato, avevano escluso di affidarmi alla mia BMW, prospettando invece di noleggiarne una in Canada o Stati Uniti.
Naturalmente, i costi dell’operazione riguardo a voli di trasferimento, vitto e alloggio, carburante polizza sanitaria e quant’altro fosse necessario, avevano il loro peso e occorreva ponderarli attentamente. Poi, dovevo stilare una lista di viaggio, abbastanza completa ma senza esagerare, che tenesse conto di carte stradali, guide turistiche, documenti, attrezzature fotografiche, indumenti, medicinali e altre necessità.
Così, alla fine del mese di ottobre, grato per l’invito in Canada inoltrai all’amico di famiglia una mail sul risultato delle mie ricerche e sull’itinerario che avevo tracciato per raggiungere Sturgis.
Attendendo risposta e continuando a “cercare” su internet, scovai il nome dell’operatore internazionale e leader mondiale in tema di noleggio moto e di viaggi organizzati: aveva la sede operativa a Los Angeles e una collaborazione con una società italiana del settore turistico con sede a Torino. Notizia interessantissima quest’ultima e siccome a Milano, nella prima decade di novembre, si sarebbe svolto l’annuale salone del ciclo e motociclo internazionale alla Fiera di Rho, contavo di andarci e prendere contatti.
Fu così che a novembre partii per Milano e mi recai alla Fiera di Rho, con l’intento di raccogliere informazioni circa la preparazione del mio viaggio e osservare nello stand espositivo di Harley-Davidson il modello di motocicletta che probabilmente avrei dovuto noleggiare.
Girovagando fra gli stands riuscii a scovare, in un piccolo spazio più o meno grande quando un gazebo, la società di Torino che sponsorizzava l’organizzatore americano.
Con il responsabile ebbi un colloquio assai fruttuoso e mi disse che attraverso il sito della società di noleggio americana non mi sarebbe stato difficile reperire tutte le informazioni necessarie per le condizioni contrattuali, la prenotazione on-line del tipo di moto, i giorni di noleggio e il luogo di ritiro. Mi congedai assicurandogli di aver preso buona nota di quanto riferitomi e lui mi salutò augurandomi un viaggio fantastico.
Mi recai in seguito allo stand della Harley Devidson e con una certa dose di curiosità salii a bordo di una Ultra Glide. La sensazione immediata fu quella di essermi sistemato su una poltrona viaggiante ma, nonostante l’ampiezza della sella, a causa della seduta praticamente infossata nel telaio, la postura era scomodissima e nelle lunghe percorrenze non si sarebbe stata confortevole La difficoltà non secondaria era quella di dover gestire una moto ingombrante e pesante più di 450 kg.
Ma, per andare a Sturgis non c’erano alternative: Harley…solo Harley!
Pochi giorni dopo il ritorno da Milano arrivò la risposta del “canadese”. Fui molto contento nell’apprendere che aveva preso in considerazione la possibilità di viaggiare assieme a me verso Sturgis, senza peraltro una conferma definitiva.
Comunque, aveva preso contatti con la concessionaria di noleggio di London (Canada), a circa 300 chilometri da Toronto e l’importo del preventivo per 14 giorni di noleggio era interessante.
Nel frattempo, presi di mira il sito americano e cominciai a “smanettare” per fare qualche simulazione di costi e per individuare, fra quelle preposte, una “location” di noleggio appropriata. La scelta cadde su quella di Cleveland nell’Ohio che, peraltro, praticava costi minori rispetto a quasi tutte le altre stazioni di noleggio. Inoltre, questa concessionaria era facilmente raggiungibile con la metropolitana e non molto lontano c’era un hotel la cui ubicazione era molto comoda, avendo dirimpetto anche la fermata di un bus di una linea urbana.
La città di Cleveland distava circa trecento chilometri da Toronto; era raggiungibile con un bus della linea storica Greyhound e, transitando da Niagara, avrei avuto modo di fare tappa per andare a vedere le famose cascate.
Ciliegina sulla torta, le informazioni attinte sulla città di Cleveland dalla mia Guida agli Usa promettevano molto bene: ubicazione sulle sponde del grande lago Erie, capitale elegante e non molto estesa, monumenti di tutto rispetto, una linea metropolitana eccellente con capolinea strategico sotto la centralissima e bellissima Tower City Center. Vantava anche quella che veniva descritta come una delle più antiche gallerie commerciali del mondo: l’Arcade (1890), una bellissima architettura in stile liberty, sormontata da una vetrata per tutta la sua estensione.
Ad avvalorare ancor più queste note positive e a rendere ancor più allettante l’escursione in città, le notizie attinte riferivano la presenza di una struttura non comune:
Rock & Roll Hall of Fame & Museum, meta obbligata in una città dove si respirava “aria di rock” dappertutto e che di fatto la rendeva indubbiamente affascinante.​

Cleveland meritava certamente di essere visitata.

continua…
 
6 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Forte di questi approfondimenti, verso la fine di novembre inviai una mail alla società di noleggio americana con la speranza di individuare anche un interlocutore appropriato.
Pochi giorni dopo ricevetti risposta dal signor Duncan Williams del Central Reservations Department di Los Angeles. Esordì con queste parole molto eloquenti che forse non hanno bisogno di essere tradotte in italiano: You’re going to have a great ride!”
Mi riferì che le mie simulazioni di noleggio erano perfette; mi chiese anche di fare riferimento a lui per qualsiasi questione e di fornirgli le date del viaggio e il modello di moto, nel caso avessi avuto bisogno di un preventivo dettagliato. Per quanto riguardava l’assicurazione avrei potuto stipularla direttamente nella sede di Cleveland, all’atto della presa in consegna della motocicletta.
Un riferimento certo, dall’altra parte del mondo, rappresentava una sicurezza e con Duncan seguirono breve altri contatti, informativi e organizzativi. Fra l’altro, gli comunicai che era interessato a venire assieme a me un amico di Toronto e che quindi avremmo avuto bisogno di due Electra Glide. Infine, gli feci presente che non appena sarei stato definitivamente pronto lo avrei senz’altro contattato attraverso posta elettronica.
Intanto, erano ancora molti i temi concreti che avrei dovuto tener presente per poter essere tranquillo fin dal momento della partenza dal mio paese. Nel puzzle tutte le tessere dovevano trovare la loro giusta collocazione.
Mi cimentai quindi con la messa a punto della maggior parte delle problematiche necessarie per gestire al meglio l’organizzazione del viaggio.
Trasvolata con Air Transat e partenza da Lamezia Terme per Toronto. Polizza assicurativa sanitaria con una nota compagnia del settore. Patente di guida internazionale, a scanso di problemi. Visto turistico non necessario con il programma americano “viaggio senza visto” perché entravo negli Stati Uniti “via terra”. Una Carta di credito e tanto bastava. Schede telefoniche Columbus della Telecom.
Mio figlio, con le sue potenti conoscenze di strumenti tecnologici, mi aveva fornito un cellulare di ultima generazione con navigatore satellitare e la possibilità di inserire tutta la documentazione cartacea del mio viaggio.
Per attrezzatura fotografica avevo la Pentax digitale e la handycam Sony con un disco rigido da 60 giga e la copertura degli eventi era garantita. In più, acquistai una sorta di “camera car” da posizionare in qualche modo sulla motocicletta per filmare mentre guidavo.

Il “percorso” era il tema più interessante perché dovevo decidere il miglior itinerario possibile per raggiungere Sturgis, tenuto conto altresì di visitare città o luoghi rilevanti presenti nei territori che avrei dovuto attraversare.
Avevo ipotizzato di partire da Toronto seguendo questa rotta verso Ovest:
Toronto – London – Sarnia (frontiera USA) – Lansing (Michigan) – Gary (Indiana) – Joliet (Illinois), Davemport (Iowa), Sioux City. Proseguendo avrei superato il fiume Mississippi, raggiunto la riserva indiana di Pine Ridge e il sacrario di WoundedKnee.
Da Pine Ridge, salendo a nord avrei incontrato la cittadina di Hot Springs, “la porta meridionale” del parco Black Hills National Forest, il massimo della connotazione paesaggistica, del Sud Dakota.
Attraversando le Black Hills avrei avuto la possibilità d visitare Windcave Park, Custer Park, Mount Rushmorel e Crazy Horse Memorial. Infine, avrei raggiunto la meta del mio viaggio: Sturgis.
In totale, 2.500 chilometri solo per l’andata.
Se invece avessi optato di andare a vedere le cascate di Niagara, avrei dovuto prendere a Toronto il bus della Greyhound e ripartire poi alla volta di Cleveland; visita della città e inizio del viaggio puntando su Joliet, seguendo il medesimo itinerario precedente.
Il viaggio di ritorno da Sturgis avrebbe toccato Rapid City, Sioux Falls, Sioux City e poi il medesimo seguito nell’andata.
Per i pernottamenti sul percorso e nelle città mi sarei affidato alla costante presenza dei Motel 6.
A Sturgis, a causa dell’altissima affluenza, la prenotazione per un motel era puramente illusoria e l’unica possibilità era rappresentata dalla piazzola sicura in uno dei numerosi campeggi disponibili. Dovevo quindi portarmi al seguito tenda e sacco a pelo.​

Il puzzle dell’organizzazione del viaggio era ormai concluso.
 
7 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Trascorsi felicemente Natale e Capodanno, mi rimisi all’opera contattando in varie occasioni il “canadese” che un certo giorno, devo dire inaspettatamente, mi riferì che sarebbe tornato in Italia per curare i suoi affari. Però, nulla di concreto aveva ancora deciso circa l’eventualità di fare il viaggio con me fino a Sturgis. Tuttavia, mi chiese se desideravo partire con lui quando avrebbe fatto ritorno a Toronto e questa eventualità non mi sarebbe dispiaciuta affatto, anzi.
Verso metà di gennaio 2013 gran parte del lavoro di preparazione del viaggio era stato completato attraverso ore e ore trascorse a viaggiare con l’omino di google maps sulle autostrade americane. Nelle mie scorribande su internet per documentarmi meglio sul territorio di Sturgis, tramite il sito web, spedii la richiesta di una Guida Vacanze al Dipartimento del Turismo del Sud Dakota e restai in attesa di ricevere quella brochure.
Poco tempo dopo, ricevetti il catalogo completo: “SOUTH DAKOTA, Great Faces. Great Places” era il titolo della copertina che, suffragato dall’immagine dei quattro presidenti americani scolpiti nella roccia del monte Rushmore, presagivano un’esplorazione accattivante.
Il sostanzioso catalogo, ricco di immagini e di una dettagliata cartina per suggestivi itinerari da percorrere, lo studiai avidamente con particolare riguardo ai parchi Black Hills e Badlands.
In pratica, giungendo da sud si incontrava la cittadina di Hot Springs. Risalendo verso nord si transitava nel Wind Cave National Park, poi nel Custer State Park dove un loop consigliato presagiva l’incontro con mandrie di bisonti al pascolo.
Completato questo percorso c’erano due possibilità: proseguire a sinistra per la città di Custer City e il Crazy Horse Memorial, fino a Hill City; ovvero a destra percorrendo la Iron Mountain Road fino a Keystone, proseguendo poi per Mounth Rushmore fino a Hill City. Nel bel mezzo di questo itinerario si snodava anche una interessante strada scenografica da non perdere: Needles Scenic Road. Infine, da Hill City, viaggiando verso nord e seguendo la Nemo Road, avrei potuto raggiungere Sturgis.
Gran parte di quelle opportunità turistiche non dovevano sfuggirmi e quindi dovevo impostare un personale itinerario paesaggistico.​

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La Guida Vacanze introduceva con queste parole la piccola cittadina del Sud Dakota sede del raduno: Sturgis, Small Town…Big Reputation, a ragione delle migliaia di motociclisti che arrivavano annualmente ad agosto per partecipare al suo famosissimo Motorcycle Rally.
Durante la mia permanenza, avrei facilmente raggiunto la vicina località di Spearfish con il suo bellissimo canyon e le cittadine minerarie dell’epopea western della corsa all’oro: Lead e Deadwood. Famosissima quest’ultima per le gesta dell’infallibile pistolero e giocatore d’azzardo Wild Bill Hickok e dell’eroina Calamity Jane, peraltro sepolti uno accanto all’atro nel cimitero posto sulla collina che domina il paese.
Così indottrinato per l’impresa mandai un messaggio a Duncan dicendogli che ero pronto per noleggiare una HD da Cleveland il 2 agosto 2013. Duncan mi rispose il giorno seguente chiedendo 50% di deposito per conferma e il saldo dopo 90 giorni.
Scrissi anche al “canadese” allegando il preventivo di Duncan con partenza da Cleveland e l’itinerario completo per Sturgis.
In conclusione, sarei dovuto partire per il Canada il 3 di luglio e rientrare il 20 agosto in Italia.
Nella risposta, il “canadese” accettò il mio programma e mi confermò che sarebbe venuto con me a Sturgis. La località di partenza, tuttavia, doveva essere quella Lansing perché potevamo andarci con la sua macchina e lasciarla nel parcheggio della concessionaria di noleggio.​

Sprizzavo entusiasmo da tutti i pori!

continua…
 
8 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Nel frattempo, avevo preparato e organizzato tutto il viaggio di andata e ritorno elaborando il mio personale “road book” in modo completo e dettagliato: una sorta di faldone con fogli formato A5 imbustati in cartelline trasparenti e asportabili con le informazioni relative a tutte le tappe del viaggio. Approfittando di uno strumento insostituibile come “street wiew” di goole maps, avevo percorso verosimilmente tutto l’itinerario e dopo aver trascorso tantissimo tempo in queste operazioni conoscevo quasi a memoria tutto il tracciato. Tuttavia questo faldone cartaceo doveva trovare posto nel bagaglio dell’attrezzatura da viaggio. Mio figlio proponeva di caricarlo in modo elettronico sul cellulare. Acconsentii, ma non evitai di portarmi dietro anche il cartaceo perché…. “non si sa mai!”
Scrissi a Duncan precisandogli che avremmo noleggiato due HD dal 1° al 12 agosto e speravo che il “canadese” non mi tradisse nella sua intenzione di venire con me. Nel frattempo arrivò anche la decisione di quest’ultimo che mi proponeva di partire da Lansing e che avrebbe preso contatti e accordi diretti con quella sede per effettuare il suo noleggio. A mia volta spedii il modulo di prenotazione e ottenni la conferma per una HD Electra Glide.
A metà marzo inviai il bonifico dell’acconto e feci anche la prenotazione del volo Air Transat per Toronto al costo veramente conveniente.
Anche al “canadese”, che aveva deciso di venire in Italia, gli proposi di predisporre un biglietto per il suo ritorno a Toronto e gli promisi che sarei andato ad accoglierlo quando sarebbe arrivato all’aeroporto di Roma.
Come promesso me lo portai a casa e da ospite, per qualche settimana, le cose filarono abbastanza bene ma poi sorsero seri problemi perché più passavano i giorni e più mi rendevo conto, appoggiato anche dall’intuizione di mio figlio, che nonostante le mie migliori aspettative non sarebbe stato il mio compagno di viaggio. Molte divergenze su come affrontarlo, nessun interesse a discutere le tappe programmate e anche l’impressione che a bordo della moto lui non sarebbe stato in grado di viaggiare per più di un’ora di fila. Poi, nonostante avessimo concordato di partire da Lansing, dove io avevo già pagato la prenotazione, lui non aveva ancora effettuato alcun versamento in acconto.
Era palese che non avrebbe noleggiato la motocicletta e che non aveva nessuna intenzione di venire con me a Sturgis.
Comunque, alla scadenza dei tre mesi, inoltrai il saldo del mio noleggio da Lansing, ma mentre mi elettrizzavo e mi eccitavo sempre più per una “impresa” che stava per essere messa in atto, il mio pseudo amico taceva, fino al punto in cui….mi fece perdere la pazienza!
Nonostante lo avessi ospitato nel migliore dei modi, i rapporti si erano deteriorati a tal punto da fami propendere di annullare tutto quanto avevo predisposto.
Quel sogno ad un tratto sembrava destinato a svanire per sempre, nonostante la programmazione meticolosa, l’aver pagato il viaggio in aereo di andata e ritorno dal Canada e il saldo del noleggio della motocicletta.
Avevo il morale praticamente “a terra”, ma questa inquietudine ebbe breve durata e per di più mi spronò maggiormente per superare l’ostacolo.
Ciò che pensai fu solo e soltanto questo: Allora, meglio solo che male accompagnato!”
Non mi persi d’animo, dunque, dovendo anche velocizzare i tempi nel tentativo di rimediare ad una situazione che si presentava alquanto difficile dopo la partenza programmata del “canadese” verso Toronto… ma senza di me.
Per prima cosa scrissi a Duncan chiedendogli di spostare il noleggio da Lansing a Cleveland. Mi rispose immediatamente dicendomi che aveva parlato con la location di Cleveland e risolto il problema. In cambio di questo piccolo favore mi disse di andare a visitare il Rock and Roll of Fame di Cleveland, unico negli Stati Uniti. Duncan mi augurò un very nice trip, mentre per me, dopo un intervento che sembrava miracoloso, era diventato “my friend”… insostituibile punto di riferimento della Compagnia di Los Angeles.
Meritava come minino una cartolina di ringraziamento da Cleveland.
Stimolato da questa ottima notizia, comprai subito i nuovi biglietti Air Transat di andata e ritorno per Toronto con partenza da Roma. Mi costarono molto di più di quelli che avevo già pagato e purtroppo non c’era rimborso.
Risistemai velocemente l’itinerario nel mio road book e la prima tappa del mio viaggio verso Sturgis, partendo dalla sede di Cleveland.
Meno di una settimana al “d-day” per preparare tutti i bagagli…cospicui!

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continua…
 
9 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

D-Day
Sono eccitato come non mai e tutta la mattinata è trascorsa controllando bagagli e attrezzature. Mi porto dietro anche una bandierina italiana che penso di issare, durante il viaggio, sull’antenna radio della motocicletta. Tuttavia, mi assalgono sempre dubbi circa l’eventualità di aver dimenticato qualcosa, anche se la lista è stata vagliata e controllata parecchie volte. Poi mi convinco che è stato tutto sistemato nel migliore dei modi …e attendo. Sembra che oggi il tempo non trascorra mai e il bus per Roma partirà soltanto dopo la fine di questa giornata, oltre mezzanotte.
Mio figlio si è prodigato ad accompagnarmi alla fermata e quando giunge il momento, dopo aver salutato mia moglie e mia figlia, mi sottopongo volentieri alle consuete raccomandazioni di prudenza.
Il bus si presenta in ritardo nella notte e dopo aver salutato convenientemente mio figlio salgo a bordo e mi sistemo nel mio posto ma lo spazio vivibile è limitatissimo perché la signora dirimpettaia dorme con il capo sul tavolino. Risultato: una notte quasi insonne.
Giunto a Roma, mi accorgo quanto sia stressante trascinare i miei colli fino a Roma Tiburtina e quando arriva il treno per Fiumicino si verifica un vero e proprio arrembaggio di gente che va al lavoro e turisti che con enormi valige si recano all’aeroporto. Nello scalo aeroportuale riesco fortunatamente a reperire un carrello che sembra stia aspettando proprio me.
L’imbarco è oltre mezzogiorno ma quando giunge il momento sono uno dei primi ad accedere nell’aereo e ho la possibilità di sistemare comodamente il trolley nella cappelliera.
L’aereo è al completo e, non appena si esauriscono le procedure di decollo, con il rombo dei motori e le ali traballanti prende il volo bucando le nuvole e allontanandosi dall’Italia.
La trasvolata sarà lunga quasi dieci ore; ascolto un po’ di musica ma poi mi assale la stanchezza e cerco di prender sonno, invano. Invano perché è ora di pranzo. Alla hostess che si presenta con le vivande chiedo cosa c’è di buono. Mi propone il menu, in inglese, ma capisco la sola parola “pasta” e allora vada per la pasta! Non so con che cosa sia stata condita ma la mangio più per fame che per altro, al pari di un’altra pietanza, la cui concentrazione piccante ho dovuto stemperare con molta acqua. La barretta di pane, inoltre, sembra venire da un altro mondo e forse il pezzetto di “cake” (torta) sembra essere il cibo migliore.
Ho dimenticato di dire qualcosa circa i due posti accanto a me perché, fra tutti i passeggeri, chi mi doveva capitare? Una bella coppia di giapponesi: la ragazza ha una forte tosse grassa, mentre il ragazzo ogni tanto emette starnuti assordanti.
La trasvolata procede tranquilla fra zone di sereno e zone con molte nuvole; qualche sobbalzo, ma tanto lieve da non far nemmeno illuminare il simbolo delle cinture di sicurezza. Leggo un po’ un libro di Corrado Augias che mi ha cortesemente fornito l’amico “gatto rosso”, proprio per ingannare il tempo, piacevolmente, durante il viaggio. Purtroppo, poche pagine riesco a far scorrere sotto gli occhi che man mano hanno voglia di chiudersi per prender sonno, negato da qualche crampo che si manifesta nelle gambe che non riesco a stendere del tutto per lo spazio ridotto fra il mio posto e quello anteriore.
Finalmente, l’aereo sbuca dalle nuvole e inizia la discesa su Toronto e mi accorgo che i due giapponesi hanno ricevuto la Declaration Carde e penso che le hostess si siano proprio dimenticate di darne una anche a me. Solo dopo l’atterraggio, prima di sbarcare, riesco a reperire una copia del documento da uno degli assistenti di volo e a scrivere velocemente i dati richiesti.
Una passeggiata, confortevolmente alleviata da tappeti scorrevoli, mi fa giungere assieme agli altri passeggeri al cospetto dei funzionari di immigrazione. Sono meravigliato perché, memore di quanto accade nei nostri aeroporti, non c’è alcuna ressa, nessun clamore, tutti aspettano tranquilli il proprio turno e le file dei viaggiatori si snelliscono abbastanza velocemente.
Quando arriva il mio turno, l’agente mi chiede in inglese per quanto tempo dovrò soggiornare in Canada. Più che rispondergli, gli mostro il mio programma; lo guarda attentamente, mi timbra il passaporto e, in men che non si dica, transito velocemente senza nemmeno un ulteriore controllo al mio bagaglio.
Sebbene molto grande, il Pearson International Airport mi sembra parecchio ordinato nei vari settori e la pulizia degli ambienti è palese; non c’è confusione né clamore fastidioso di passeggeri, al contrario di Fiumicino. Noto anche la presenza discreta del personale addetto alla sicurezza e pochi poliziotti che è possibile riconoscere per un cappello con visiera e banda rossa.
Mi reco subito al banco informazioni e chiedo se c’è qualcuno del personale che parla italiano. Mi accontentano subito e alla persona che si rende disponibile spiego che ho una prenotazione di soggiorno al Confort Inn, vicino all’aeroporto. Gli chiedo se può contattare cortesemente l’albergo affinché una navetta venga a prendermi. In men che non si dica arriva una macchina e l’autista mi accompagna all’albergo, lontano non più di cinque minuti dall’aeroporto.
Alla reception mostro il foglio della prenotazione per due notti, effettuata on-line, e mi assegnano una camera molto grande rispetto ai nostri standard, con un letto dove possono dormire tranquillamente tre persone tutte assieme.
Una sistemata alla buona e alla pizzeria annessa all’hotel mangio, per fame, “una cosa”: forse è una pizza, ma di quella che noi conosciamo con quel nome non ha quasi nulla.
Poi, stanchissimo, perché non dormo da quasi due giorni, mi butto letteralmente nel lettone per un meritato riposo.​

Good night!

continua…


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10 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Stamani a Toronto il cielo è coperto, ma poco importa perché almeno non fa eccessivamente freddo.
Devo recarmi in città per comprare i biglietti del bus Greyhound e quindi, dopo un’abbondante colazione in albergo, mi faccio accompagnare in aeroporto con la navetta e compro per dieci dollari canadesi un “day-pass” per tutti i mezzi pubblici. Il bus della linea 192 mi conduce alla stazione metro Kipling dove, in apparenza, non c’è nessun controllo dei biglietti. Sceso giù alla piattaforma dei binari, mi sorprende sulle pareti un grande cartellone che a prima vista sembra una pubblicità. Guardando con più attenzione mi rendo conto, invece, che il manifesto avverte il pubblico che “non pagare le tasse – e penso anche il biglietto – è un reato”:
Con la metro, veloce e pulita, scendo in centro alla fermata di Bay Street e uscendo per strada, anche se posseggo una mappa, mi sento disorientato. La mia attenzione va comunque ai grattacieli del circondario tutti di cemento e vetro che si stagliano comunque imponenti verso il cielo.
Alla stazione dei bus Toronto Coach Terminal acquisto per circa 50 dollari canadesi un biglietto per Niagara per domani e un altro per il giorno seguente che utilizzerò per andare a Cleveland.
Il passo successivo è quello di riuscire a trovare l’albergo che avevo contrassegnato sulla mia mappa, meglio ubicato per le mie necessità, e quando vi riesco prenoto il soggiorno.
Nel frattempo pioviggina, ma non tanto da farmi desistere da andare a vedere la Canadian National Tower, emblema di Toronto. Utilizzo la metro, ma fuori il tempo si è messo decisamente al brutto, piove a dirotto e non mi rimane altro se non attendere che smetta, al coperto. Circa un’ora di attesa e appena mi rendo conto posso camminare senza bagnarmi, cerco di raggiungere il mio obbiettivo, non vicinissimo. La Canadian National Tower, simbolo di Toronto, complice il grigiore meteorologico, non la trovo attraente, a dispetto della sua fama, anche se la sua grande struttura in cemento armato si staglia altissima e snella verso il cielo, alla ragguardevole altezza di 523 metri.. Cerco di scattare qualche foto che la inquadri completamente, ma non riesco a farla entrare nell’obiettivo, anche con un’inquadratura da sotto e verso l’alto. I risultati sono pessimi ma conto di rimediare domani, quando avrò più tempo, fidando in una bella giornata di sole. E’ pomeriggio inoltrato quando di ritorno al Confort Inn, quello vicino all’aeroporto, e incappo nel primo ostacolo del mio viaggio: la tessera magnetica, che funziona come chiave, non apre la porta della mia camera. Purtroppo è sorto un equivoco sulla mia permanenza. La direzione dell’albergo, non so perché, la riteneva di un solo giorno, mentre sul report on-line di era chiaramente indicato che si trattava di due notti.
Dopo un’agguerrita e lunga discussione con la signorina della reception, che vuol farmi pagare un supplemento per la seconda notte, riesco a sistemare la faccenda minacciando, al contrario, di far intervenire la polizia.
Finalmente mi consegnano una nuova tessera, la porta si apre, i bagagli sono integri e mi passa l’arrabbiatura per il contrattempo.​

…see you tomorrow
!

Mi sveglio abbastanza presto, alla 5. Devo prepararmi a lasciare l’albergo e trasferirmi per la prossima notte a down town Toronto. Ho tutto il tempo necessario per sistemare al meglio i bagagli e dopo un’ottima colazione mi faccio accompagnare in aeroporto con la solita navetta.
Le condizioni meteo sono l’opposto di ieri: cielo sereno, temperatura fresca e poco vento. Penso che siano i presupposti ideali per fare il turista a Toronto.
Con i collegamenti urbani già sperimentati raggiungo in città il mio albergo, nonostante l’ingombro pesante dei miei bagagli. La struttura è gestita da una cooperativa di giovani; è una sorta di ostello per studenti universitari e durante l’estate funziona come un hotel per turisti. Si trova in una zona di Toronto abbastanza centrale, a qualche minuto dalla metro, a cinque minuti a piedi da Yonge Street e Queen’s Park.
Ha ventidue piani con stanze assolutamente essenziali, servizi in comune e un grande soggiorno dove è possibile cucinare su piastre elettriche.
Fra le locandine pubblicitarie, affisse sulle pareti dell’area ricevimento, apprendo che “il meglio” dell’albergo si trova sopra l’ultimo piano. Qui, infatti, c’è un terrazzo con una meravigliosa veduta panoramica su Toronto, specialmente in direzione della CN Tower e il lago Ontario. Mi riservo di andare a dare un’occhiata dopo l’escursione in centro.
Ho deciso di non utilizzare la metro e di andare a piedi alla CN Tower, anche se distante tre chilometri, perché questo mi permette di entrare in contatto con la realtà della città.
Percorro dunque la lunghissima Yonge Street che offre negozi, alberghi, ristoranti, bar, attrazioni, grattacieli più o meno alti e qualcuno in costruzione. Dopo più di un’ora arrivo nella zona dell’ex stazione centrale di Toronto dove vecchi treni della Canadian Pacific fanno bella mostra di sé in un ampio spazio verde: sono un’attrazione da non perdere specialmente per i bambini.
La Torre svetta questa volta bellissima, altissima e intorno sembrano farle corona i vetri scintillanti dei grattacieli colpiti dai raggi del sole. Al contrario di ieri, questa volta trovo subito un’inquadratura eccellente per ritrarla con la mia macchina fotografica.
Tutta la zona pullula di gente, soprattutto famiglie con allegri bambini con la maglietta blu della squadra di baseball dei Blue Jays e siccome nel Rogers Centre c’è anche un grande acquario, sembra che tutti vadano proprio lì.
Per molti altri, invece, è in voga una sorta di sosta obbligata ai fast food che vendono hot dog innaffiati con le miscele colorate dei condimenti che mai mi sognerei di assaporare. La scenografia è allegramente allietata da un batterista di colore che si esibisce con molto mestiere attirando l’interesse di tutti, in modo speciale quello dei bambini, ai quali riserva sempre sorprese acrobatiche con le sue bacchette.
Purtroppo, temo che non ci sia tempo sufficiente per salire sulla Torre, ma per andare poco più avanti, a The Bay sul lago Ontario, certamente sì.
Ad accogliermi c’è una lunghissima banchina che funziona anche da approdo e partenza di imbarcazioni per Toronto Island Park, l’isoletta dell’Ontario di fronte a Toronto, da cui si gode uno sky line accattivante sulla città. Una folla è intenta a passeggiare, pattinare, sdraiarsi per godere i caldi raggi del sole e immancabilmente, perché è già ora, a pranzare. I ristoranti, infatti, sono tutti affollati di persone, per lo più di giovane età, che preferibilmente mangiano pizza e bevono birra.
D’un tratto, mentre sono fermo a osservare un veliero, da un angolo di un caseggiato sbuca suonando una bellissima banda musicale. Sono stupito e divertito perché i musicisti, tutti molto giovani, indossano una divisa rossa, mentre i tamburini fanno un fracasso incredibile.
E’ la banda della città di Burlington: l’abbigliamento e il suo incedere “un passo alla volta” è quello tipico delle fanfare inglesi. E’ guidata da un giovanotto con il tipico colbacco di pelo, alto e nero, che ad ogni passo, con un lungo bastone, detta il tempo.
Li filmo mentre mi passano tutti davanti e poi vanno a sistemarsi per il concerto in una bella piazza retrostante il molo. La gente è entusiasta e lo sono anch’io per questo intermezzo inaspettato che riempie di allegria e spensieratezza la mia giornata, alla quale, purtroppo, pone fine lo scroscio degli applausi al termine dell’esibizione.
Sono le tre del pomeriggio e mi tocca lasciare questo bellissimo luogo in riva al lago Ontario per tornare all’albergo con i mezzi pubblici.
Tornato all’ostello, sistemo prima di tutto i bagagli e poi salgo alla decantata terrazza del 22° piano. Sulla porta di accesso c’è un eloquente cartello, scritto in più lingue, che invita a non transitarla se si è ubriachi e a non fare uso di alcolici sul terrazzo, pena l’eventualità di un bel salto nel vuoto!
Sono sobrio e quindi varco la soglia, esco all’aperto ed effettivamente la vista panoramica è di tutto rispetto. Poiché è quasi sera, non si può non restare affascinati da Toronto, scintillante di luci e di grattacieli, e dal lago Ontario che si perde all’orizzonte.​

By By Toronto!

continua…

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11 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Niagara

Ieri sera, prima di addormentarmi, la strana irrequietezza di non svegliarmi in tempo utile per andare a prendere il bus per Niagara è stata una questione tediosa. Stamani con i bagagli già pronti approfitto per andare sul terrazzo e godermi l’alba di Toronto.
Il refettorio apre alle sette e quindi dopo un’abbondante colazione sono pronto per andare al terminal Greyhound. Il peso dei bagagli, a scanso di una bella sfacchinata, mi fa propendere per un taxi. Poca l’attesa fuori dall’albergo e al primo che passa, carico e gli dico di trasportarmi al terminal.
I tassisti amano dialogare con il passeggero e così scopro con sorpresa che parla italiano! Sono arcicontento di scambiare quattro chiacchiere nella mia lingua e lui mi dice che è originario dell’Etiopia e ha lavorato anche a Milano, Napoli e Roma. Vedo che è alquanto contento perché quando parla ha un sorriso sincero e smagliante ed è un vero rammarico che la conversazione debba terminare dopo appena cinque minuti di viaggio. Ci salutiamo allegramente, pago sette dollari che mi hanno risparmiato molto sudore e il taxi con il suo affabile conducente scompare nel traffico di Bay Street.
Nella sala d’attesa del terminal attendo che giunga l’ora di imbarco, e mi soffermo a guardare gli autobus con il caratteristico emblema del levriero sulla fiancata: a prima vista mi sembrano alquanto vecchiotti, ma spero che almeno dentro siano puliti e confortevoli.
Per salire sul bus bisogna mettersi in coda, lasciare il bagaglio, che il personale si preoccupa di stivare, e prendere posto al numero di seduta assegnato e stampato sul biglietto. I passeggeri, però, si accomodano a caso e allora me ne vado in fondo al bus e mi sistemo in un posto la cui seduta, a dispetto di quelle di nuova generazione, ha più spazio per stendere le gambe.
Un viaggio tranquillo sull’autostrada Queen Elizabeth Way che costeggia il lago Ontario ci fa raggiungere dopo qualche ora la stazione di Niagara. Scendendo dal bus resto quasi spaesato perché il terminal si trova in una zona periferica e per cercare più agevolmente il luogo dove pernottare mi disfo del sacco-zaino, sistemandolo in una cassetta di sicurezza della stazione.
Ho una mappa di Niagara sulla quale ho segnato l’ubicazione di alcune strutture ricettive, qualcuna nei pressi del terminal e le altre in centro. Il mio intento è quello di non fare molta strada domani per riprendere il bus. Dal terminal, le cascate distano un paio di chilometri e quindi mi accontento del pernottamento nel vicinissimo Ostello Internazionale, appena svoltato l’angolo di un isolato
Sistemato il bagaglio e sotto un cielo molto nuvoloso che quasi minaccia pioggia, mi avvio sul marciapiede della River Road, la strada che costeggia la sponda canadese nel cui fondo scorre il fiume Niagara, già spettacolare visto da quassù, per andare a vedere le famosissime Cascate.
Villette bellissime, con giardino antistante e fiori a non finire, si alternano a Bed & Breakfast dai prospetti accattivanti e dal verde che li attornia, al pari di graziose casette in vendita e ad altre che si offrono in locazione. Mi accorgo, inoltre, che in questo tratto di strada molte case di villeggiatura hanno il classico cartello “no vacancy”, cioè, “tutto esaurito”.
Alla mia sinistra, il Niagara è sempre sotto controllo fotografico lungo il basso parapetto che separa dal vuoto e, man mano che mi avvicino al Rainbow Bridge, il paesaggio cambia perché le belle casette basse scompaiono per far posto ad alberghi lussuosi, ad attrazioni e a quello che sembra un grande complesso a forma di obelisco… il Casinò.
Continua ad aumentare anche il flusso della gente, in massima parte turisti come me, che si muovono verso le cascate, più interessanti e scenografiche proprio se le si osservano dal versante canadese. Passo sotto il ponte che collega Canada e Stati Uniti e subito l’esibizione del grandioso fiume diventa eccitante: Bridal Veil Falls è la prima cascata soprannominata “velo da sposa” o “cascate americane” e vista da questa parte è davvero un bellissimo spettacolo della natura. Gli americani, purtroppo, per ammirarla dal loro versante devono salire su un’altana messa proprio a ridosso.
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12 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Niagara Falls

Niagara Falls è uno dei posti al mondo più fotografato e anch’io non mi sottraggo all’impegno di trasferire nella mia fotocamera Pentax e nella videocamera le immagini che rivedrò con piacere quando tornerò a casa.
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La River Road termina in una vasta piazza panoramica e sul lato opposto ci sono i giardini di Queen’s Garden. Dalla piazza si può scendere all’imbarcadero dei battelli che trasportano i turisti, muniti di palandrane di plastica azzurra, fin sotto le fragorose cascate, avvolte dalla nebbiolina umida che si leva costantemente dagli spruzzi. Le persone torneranno tutte bagnate, pertanto evito la doccia sicura di questo richiamo turistico di cui francamente posso fare a meno. Mi consolo, invece, con le interessanti altane, dall’alto delle quali fotografare le spettacolari acque che non hanno pausa alcuna, gettandosi turbinosamente dall’alto.
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E non è tutto, perché c’è di meglio più avanti, nei pressi del Welcome Center, dove si snoda un percorso pedonale bellissimo, proprio a ridosso e dietro la cascata.
Chissà quali saranno state le parole dell’esploratore francese Jacques Cartier quando nel 1535, con grande stupore, vide per la prima volta questo spettacolo incommensurabile.
Le acque precipitano da un’altezza di sessanta metri nel Ferro di Cavallo, così chiamato, ed è affascinate vederle andare giù proprio dal punto di osservazione dove mi trovo. Sono proprio sull’orlo e una bassa ringhiera di ferro è l’unico ostacolo che si frappone fra me e il vorticoso scorrere del fiume. Sono tanto vicino da poter toccare con mano l’acqua verdastra rigonfia che impetuosamente si tuffa nel vuoto creando nuvole di vapore acqueo che restano costantemente in sospensione davanti a tutto il fronte maestoso delle cascate.
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Proprio lì sotto, quasi svaniscono, per riapparire miracolosamente, i battelli delle escursioni turistiche.
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Una moltitudine di persone, ragazzi di ogni età e bambini si affacciano dalle balconate per ammirare questo spettacolo unico e dal colore del viso e dagli indumenti che indossano intuiscono che giungono dalle parti più disparante del nostro mondo. E che dire delle decine di migliaia di coppie di sposi che tradizionalmente vengono a Niagara Falls per trascorrere la luna di miele? Mi capita anche di vedere a spasso anche famiglie di mormoni con padre, figli e due o più mogli al seguito.
Ho percorso quattro chilometri per arrivare a piedi fin qui e direi che, almeno per il momento, l’escursione è stata ampiamente gradevole, anche se mi è difficile allontanarmi da questo spettacolo della natura che continuo a filmare con la mia handicam e ritrarre con la Pentax.
Da viaggiatore soddisfatto, lascio l’impeto magnifico delle Niagara Falls con il suo rombo incessante e mi avvio su lungofiume della lunghissima Parkway pedonale, rigogliosa di aiuole fiorite, per recarmi nell’edificio del Welcome Center affollato di gente che cerca souvenir, attrazioni e ristorazione.
Io, invece, sono alla ricerca dei francobolli per le cartoline che vorrei spedire ed è quasi un’impresa che per fortuna ha esito positivo solo dopo un bel girovagare. Cercare poi la buca della Royal Post è come fare la “caccia al tesoro” che infine scovo, grazie solo a qualche informazione.
Passo dall’altra parte della strada e prendo a camminare nei sentieri dei prati rasati all’inglese del Parco Regina Vittoria che tiene sempre sotto costante osservazione le cascate.
Questo grande giardino è veramente un’oasi di pace con vasche di fontane zampillanti, aiuole di fiori multicolori, alberi dal fogliame lussureggiante e invitanti panchine relax. Ne approfitto, per scrivere sul diario e per capire come funziona il GPS del cellulare che mio figlio mi ha fornito.
Mentre smanetto sui tasti, mi accorgo, guardando verso terra, che sono osservato da uno scoiattolo che è giunto a farmi visita, direi più per fame che per cortesia. Purtroppo non ho nulla da dargli da mangiare, ma lui insiste con gli occhi che chiedono “buon cuore”.
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Poco dopo, deluso, scappa via trotterellando allegramente sul prato e poi sale velocemente su un albero distante, scomparendo fra il fogliame.
Terminato il relax, mi avvio verso l’uscita del parco dove trovo un artistico tabellone di ferro che sembra essere stato messo lì di proposito per ringraziare i turisti e invogliarli a tornare a vedere le cascate: “Thanke You for visiting the Autentic Falls Experience – COME AGAIN”.
Più avanti in una grande e sinuosa strada in salita, tanto da sembrare il corso principale di Niagara, cominciano le “attraction” e mi sembra di essermi tuffato in una sorta di luna park messo ad arte per spennare i turisti con paccottiglie di ogni genere. Abbondano negozi di souvenir, cinema, gelaterie, castelli horror di cartapesta, Hard Rock Cafè, negozi di abbigliamento, insegne al neon multicolori accese anche di giorno e strilloni “butta dentro” che invitano, a voce alta, a varcare l’entrata di locali per spettacoli.
Alla fine della salita, tanto per gradire, c’è una ruota panoramica sempre affollata di famiglie con bambini. Tutto è frammezzato da alberghi, tavole calde, ristoranti e via vai incessante di tantissima gente a spasso. Uno di questi ristoranti con terrazzo prospiciente la strada, propone, per 15 dollari, bistecca di manzo con contorno di cavolfiori e patate. L’insegna è molto accattivante per me che amo la musica dei Beatles: il locale si chiama, infatti, “Ruby Tuesday”, come l’omonima canzone.
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Devo pur mangiare qualcosa e quindi vado su e ordino. Chi mi serve è un giovane italiano di venti anni di nome Nicola. Piacevole sorpresa che mi invoglia a scambiare due chiacchiere scoprendo che è di origini molisane perché i suoi genitori anni addietro emigrarono in Canada.
La bistecca non è male come pure il contorno di patate, accompagnati da una bottiglia di birra Canadian. Spendo 25 dollari, compresa la mancia per Nicola, perché qui quel compenso è una consuetudine quasi obbligatoria, a meno di tirchie figuracce.
Intanto si è fatto abbastanza tardi, sono le sette e un quarto di sera e non me la sento di tornare a piedi all’albergo. Mi reco ad una fermata la linea WeGo che percorre tutta la River Road.Qui mi accorgo che le persone che attendono hanno la tessera mentre io ho soltanto monete e non c’e una macchinetta che emette tiket. Quando arriva l’autobus, salgo e per pagare il biglietto mostro gli spiccioli all’autista, una signora. Di rimando, mi chiede invece dove devo scendere. Le rispondo “vicino alla stazione dei bus ” e lei, con mia grande sorpresa, non pretende nulla e, puntualmente, dopo appena cinque minuti di viaggio, mi fa scendere alla fermata che avevo richiesto, vicinissima all’ostello.
Devo ammettere che ora sono veramente stanco per aver camminato tutto il giorno e allora mi rilasso un poco sotto una specie di gazebo di legno, antistante l’ingresso dell’albergo.
Due ragazze, sedute sulle panche, chiacchierano, bevono non so ché e fumano. Una di queste ha una tosse così grassa e potente che mi invoglia a fare… il samaritano. Salgo in camera e dal mio borsello farmaceutico prendo una pastiglia di Borocillina e gliela porto di corsa, invitandola comunque a smettere di fumare, almeno fino a quando cesserà la tosse. Mi ringrazia, la scioglie in bocca, ma purtroppo…continua a fumare!
Poco tempo dopo, ritorno in camera per dare qualche sistemata al bagaglio per il viaggio che farò domani e, fra l’altro, controllo il biglietto per Cleveland e l’orario di partenza del bus.
Ho subito un sobbalzo, mentre prendono il sopravvento collera e irritazione: il biglietto ha la data errata!
Stenta a placarsi lo sconforto e l’irrequietezza che per questo contrattempo che proprio non ci voleva e che scombussola notevolmente il mio programma di viaggio. Rifletto sul da farsi e penso che la soluzione migliore sia quella di andare subito al terminal, per fortuna lì a due passi, e cercare di porre rimedio. All’impiegato mostro il biglietto per Cleveland e quello di stamani da Toronto a Niagara dicendogli che c’è un errore di data. Neanche il tempo di controllare e senza batter ciglio l’impiegato mi stampa una pagina con la rettifica della data per il viaggio di domani.
Tornando all’ostello, mi sento rinfrancato e pur essendo le nove e mezzo di sera decido di andare a piedi a vedere le cascate “by night” e tornare con il bus. In verità, la cascate di notte e illuminate non sono molto entusiasmanti come di giorno e così dopo qualche ripresa fotografica attendo il bus alla fermata, dove peraltro non c’è anima viva. Ho l’impressione che l’orario del servizio di trasporto sia terminato e quindi, dopo vana attesa, torno mestamente a piedi all’ostello.
A metà strada, guarda caso, transita il bus urbano e l’arrabbiatura è forte ma pian piano, alle undici di sera, raggiungo la mia meta per andare finalmente a dormire.​

Good Night Niagara!

continua…
 
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