• Benvenuto\a sul forum di Crocieristi.it, la più grande community italiana sulle crociere.

    Prendi confidenza con il forum leggendo le discussioni presenti, o ricerca l'argomento che più ti interessa attraverso l'apposito form. Per partecipare al forum è necessario registrarsi, ovviamente la registrazione è gratuita e non obbligatoria, non registrarti se per te non è davvero utile. Per eseguire eventuali cancellazioni il tempo previsto è di una settimana.

    Ricorda che il regolamento vieta l'uso di due o più nickname differenti relativi alla stessa persona. Se nel frattempo hai cambiato l'indirizzo e-mail di registrazione contattaci attraverso questo form e specifica il tuo problema assieme alla tua username, la tua vecchia e-mail ed il tuo nuovo indirizzo.

    Hai dimenticato la password? clicca qui

    Per qualsiasi problema TECNICO puoi contattare lo Staff attraverso questo form spiegando DETTAGLIATAMENTE il tuo problema
  • Nella sezione SONDAGGI potrai dare il tuo voto per il miglior itinerario! -->i sondaggi di Crocieristi.it
  • Questo sito raccoglie dati statistici anonimi sulla navigazione, mediante cookie installati da terze parti autorizzate, rispettando la privacy dei tuoi dati personali e secondo le norme previste dalla legge. Continuando a navigare su questo sito, cliccando sui link al suo interno o semplicemente scrollando la pagina verso il basso, accetti il servizio ed i cookie stessi.
  • Ospite, seguici anche sui social!
    Seguici su Facebook Seguici su Twitter Seguici su Instagram Seguici su YouTube

  • Ti andrebbe di condividere sui social, assieme a noi, le tue fotografie ed i tuoi video? Clicca qui!

  • Ciao Ospite e benvenuto su Crocieristi.it, siamo davvero felici di averti a bordo!

    ti invitiamo a leggere il regolamento per una migliore convivenza con gli altri utenti (clicca qui) mentre qui trovi qualche dritta sull'utilizzo del forum

    e poi... che ne dici di presentarti? Clicca qui per accedere alla sezione "Mi Presento" e presentati!

My USA on the Road...and more.

13 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Road to Cleveland

Svegliatomi abbastanza presto ho approfittato per fare due passi alla ricerca di un telefono pubblico per chiamare casa e un locale dove poter far colazione. La prima incombenza è presto soddisfatta, rendendomi sereno per aver parlato con i miei; la seconda, invece, ha richiesto un po’ di tempo perché solo di ritorno all’ostello trovo un bar aperto di buon mattino.
Assolte queste necessità, torno in camera per dare l’ultima sistemata ai bagagli. E’ ancora presto e scendendo nell’ingresso trovo la signorina della reception che ha preparato una colazione a base di pancarrè, marmellata, burro, dolce, caffè – si fa per dire – e macedonia, all’apparenza vecchiotta..
Approfitto in ogni caso, ma metto da parte un pezzo di dolce, pane e una banana che mi serviranno come “cestino da viaggio” durante il lungo trasferimento di oggi, poiché l’arrivo a Cleveland è previsto intorno alle 18:00.
Nel frattempo, sono additato dalla ragazza che ieri sera tossiva fortemente. Mi prega di offrirle altre pastiglie di Borocillina, segno che quella di ieri le aveva procurato notevole ristoro. Mi tocca risalire in camera e ripescare le pastiglie dalla scatola dei medicinali finita in fondo al sacco-zaino, ma faccio tutto volentieri per poter alleviare, ancora una volta, le sofferenze di quella ragazza…della quale non conosco il nome.
Sono le nove e mezzo e in cinque minuti raggiungo il terminal per attendere il bus della Greyhound.
Nell’attesa, me ne sto al sole, niente male come calore, ma c’è comunque un vento secco che pizzica non poco e all’ombra, sicuramente, la temperatura è, a dir poco, abbastanza fresca.
Intorno alle undici giunge il bus che è diretto a New York e che devo cambiare a Buffalo con quello per Cleveland. Speriamo bene!

NDVD_109.webp



Mi accomodo al primo posto libero dietro quello dell’autista e quello accanto a me è occupato da una bella e gentile signorina con la quale intrattengo una conversazione: si chiama Judy, fa l’insegnate, vive in California e si reca all’aeroporto di Buffalo per prendere il volo per Los Angeles. Alla mia destra, oltre lo spazio del corridoio, c’è invece una signora avanti con gli anni di nome Rina, originaria di Taormina dove viveva quand’era bambina. Purtroppo ricorda poco l’italiano, ma comunque ci intendiamo perfettamente.
A mezzogiorno arriviamo alla dogana USA e l’autista fa sbarcare tutti i passeggeri, tranne i cittadini statunitensi. Scarica i nostri bagagli in una specie di botola che li inghiotte in un attimo riversandoli dall’altra parte del muro della stazione di frontiera.
Sono uno dei primi a presentarmi al funzionario di confine che prontamente mi chiede il passaporto e l’ESTA. Ho un attimo di smarrimento ma, memore del fatto che per il passaggio di frontiera “via terra” quell’autorizzazione non è indispensabile, gli dico che non la posseggo.
Gli dico anche che non capisco bene l’inglese e a scanso di altre domande tipo “perché viene negli Stati Uniti”e “dove sei diretto”, tiro fuori dalla tasca posteriore del trolley la cartellina che contiene tutto il programma del viaggio a Sturgis.
Il funzionario controlla attentamente il dossier pagina per pagina, abbastanza interessato, e poi me lo riconsegna, facendomi intendere che la natura del mio viaggio non potrebbe essere meglio descritta. Mi prende le impronte digitali, mi fa anche una bella foto, mi fa compilare la “carta verde”, mi fa pagare sei dollari e poi timbra l’autorizzazione all’ingresso negli Stati Uniti.
Al terminal di Buffalo cambiamo autobus e con noi parte una bella e grande famiglia di mormoni: gli uomini hanno il caratteristico cappello a larghe tese di paglia e il viso incorniciato dalla barbetta senza baffi, mentre le donne, con lunghi abiti neri e cuffie sulla testa, sembrano le suore di una strana confraternita.
Allora, il bus è pronto, io sono pronto per l’imbarco, ma il foglio del cambio di data che mi hanno dato a Niagara sembra che abbia qualche problema quando lo presento per salire a bordo. L’autista mi dice di recarmi in fretta alla biglietteria dove un’impiegata di colore, abbondante, seccata e scortese, mi procura il biglietto vero e proprio.
Un responsabile della stazione chiama “alla voce” la partenza per Cleveland e si procede confusamente all’imbarco. Tutti i mormoni si sono accomodati nei posti anteriori ed io, che per via del biglietto rifatto sono uno degli ultimi, tento di agguantare la sistemazione in fondo. I tre posti disponibili sono però interamente occupati da una signora che disinvoltamente se li è già accaparrati stendendosi sopra per dormire.
Finalmente si parte dopo circa un’ora di viaggio, la signora autista di colore, tarchiata e al solito abbondante di taglia, fa una sosta in un’area attrezzata accanto a un esercizio della McDonald.
Scendono quasi tutti, si ristorano e tornano su con sacchetti pieni di viveri e l’immancabile bicchierone di cartone colmo di caffè americano o coca cola ghiacciata.
Proseguiamo costeggiando il lago Erie che in verità sembra un grande e azzurro mare del tutto tranquillo. Ci fermiamo per far scendere qualche passeggero all’unica fermata di questo percorso nel terminal bus di Erie e quando ripartiamo noto che il signore seduto nel posto avanti a me ha un giornale sul quale intravedo la faccia del Berlusca: ne avrà combinata un’altra delle sue?
Grande l’America e lo stato dell’Ohio che stiamo attraversando! Il territorio mi sembra abbastanza godibile e fa fin troppo caldo; niente a che vedere con le temperature di Toronto e dintorni.
L’hinterland di Cleveland è molto esteso e così impieghiamo più di un’ora di tragitto per entrare in città che mostra subito strutture edilizie alte e aguzze, frammezzate da palazzi meno elevati di quartieri abitativ e lo stadio di baseball.
Raggiungiamo il terminal, a pochi isolati dal lago Erie, e non molto distante da Tower City Center, edificio simbolo e centro nevralgico della città di Cleveland. Scarico i bagagli e in un attimo sono sul marciapiede dove una specie di alto totem, con il simbolo del levriero e la scritta in verticale Greyhound, ha in cima un orologio che segna le ore 17 e 35.
Anche se conosco il percorso a piedi, preferisco attendere un mezzo pubblico e l’autista mi fa scendere a una fermata vicinissima al centro e alla centralissima Public Square.
I palazzi, quelli moderni, sono altissimi, ma la sede della biblioteca pubblica, poco più di cinque piani, è in stile neo classico che ne esalta l’agile struttura quadrata con finestre e mezze colonne di tipo corinzio. Dello stesso tenore, più avanti, è il palazzo della Corte di Giustizia, anch’esso elegante, con lampioni di bronzo e due statue femminili che inneggiano al rispetto della legge.
Attraverso le pagine di internet, avevo letto di Cleveland quale bella città ma, a ben guardare questi primi aspetti attraenti, direi che i presupposti per poter assaporare al meglio il mio soggiorno turistico ci sono tutti.
Ancora due passi e mi trovo in Public Square suddivisa in quattro giardinetti quadrati. I primi due, affiancati, sono messi a verde con prato rasato e alberi, mentre al centro del terzo domina un grande monumento ai caduti della guerra di secessione americana. Il quarto quadrato è impreziosito, nel mezzo, da una piazzetta con fontana e cascatella e dalla statua, a grandezza naturale, del generale Moses Cleaveland, fondatore della città.
Nell’angolo di Public Square svetta la bellissima e imponete Tower City Center con 52 piani e alta oltre 200 metri.

NDVD_023.JPG

Dalla parte opposta, i grattacieli della Key Tower e BP Building, fanno da corona a questo complesso urbano accattivante e scenografico.
Molti scatti fotografici precedono l’avvio verso l’ingresso principale della Tower, al di sotto della quale transita la metropolitana. Il luogo è presidiato da molti poliziotti che tengono d’occhio le persone di colore che bazzicano nei dintorni.
Cleveland, infatti, ha un alta concentrazione di abitanti di colore e mi fa supporre che sia una fra le sedi più “calde” degli Stati Uniti per quanto riguarda la criminalità. E’ il rovescio della medaglia di questa città dove, a dispetto della sua concreta eleganza, la ricchezza deve fare i conti con povertà e disuguaglianza razziale.
Comunque, appena entro nel grande edificio della Torre la musica rock, ad un livello di ascolto essenziale, mi fa ancor più apprezzare gli spazi immensi e luminosi, solo per effetto della luce del sole che penetra dalle grandi vetrate dell’enorme cupola posta alla sommità dell’edificio.
Negozi eleganti e caffè/bar sulle balconate dei piani superiori fanno da cornice a grandi vasche nelle quali si gettano gioiosamente, da una sorta di scivolo, acque zampillanti. A richiamare il legame della città con la musica ci pensano invece monumentali chitarre elettriche difficili da ignorare.

20140813_121703.jpg

Rimandando tutto alla visita più approfondita della città, scendo nel piano interrato dove chiedo informazioni per prendere la metro. Un addetto alla sicurezza mi aiuta a comprare il biglietto da una macchinetta e per giunta, gentilmente, prende la mia valigia e mi accompagna al cancelletto del varco (cose che succedono all’estero!). Attendo qualche minuto sulla piattaforma dei binari e subito arriva il treno della Red Line che ha come capolinea l’aeroporto internazionale Hopkins di Cleveland. La mia fermata è quella precedente: Brookpark.
Durante il percorso cerco di individuare la sede del noleggio e transitando lì vicino ho un momento di compiacimento perché domani andrò a ispezionare la motocicletta, la mia compagna d’avventura.
Una mezzora di viaggio, scendo a Brookpark e imbocco un percorso di uscita dalla stazione che mi conduce… nel nulla.
Non c’è anima viva a cui chiedere informazioni e del bus della linea 54 che mi dovrebbe condurre alla fermata nei pressi dell’albergo non c’è ombra. Sono alquanto deluso e disorientato, nonostante abbia a disposizione una mappa della zona.
L’aeroporto è impossibile da raggiungere a piedi e forse avrei fatto meglio a scendere al capolinea per prendere un taxi, ma adesso sono perplesso sul da farsi. Unico rimedio possibile, per uscirne dall’impiccio, è quello infallibile… dell’autostop, nonostante tre bagagli!
Un signore con famiglia al quale spiego la mia difficoltà accetta di farmi salire a bordo, ma purtroppo intuisco che mi sta portando in direzione opposta a quella dove si trova il mio albergo. Mi fa scendere vicino a un hotel e alla signorina della reception spiego che ho una prenotazione all’Americas Inn ma sono in difficoltà perché…mi sono perso.
Non so perché, ma la ragazza non riesce a individuare né l’albergo né tanto meno il percorso per raggiungerlo. Fortunatamente, però, un giovane lì presente, che ha capito tutto, imposta l’indirizzo sul cellulare, ottiene la mappa della destinazione e si prodiga per accompagnarmi. Quando giungiamo alla mia meta gli offro per il disturbo quindici venti dollari che rifiuta di accettare e intasca solo dopo una mia cortese insistenza.
Sono già le otto di sera quando nell’hotel, per due notti e 140 dollari, prendo possesso di una camera abbastanza ampia, al pari del letto, e un grande balcone. E’ tardi e comunque mi tocca sottopormi a una maratona, andando in cerca di un posto dove mangiare qualcosa. Solo dopo quasi un’ora di girovagare riesco a reperire una sorta di trattoria americana dove mi sazio con costate di manzo …spalmate con una crema marrone!
Di ritorno in albergo mi appresto a fare il bucato e una doccia, ma non riesco a manovrare la maniglia americana dell’acqua calda. Comunque, faccio toilette alla ben meglio, lavo anche alcuni indumenti e poi li metto ad asciugare, con un sistema empirico, sulla vasca da bagno.
E’ mezzanotte, sono stanchissimo e sul lettone prendo sonno all’istante.​

Cleveland Harley-Davidson…tomorrow!

continua…
 
Ultima modifica da un moderatore:
14 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Electra Glide in Blue

Alle sette, uscendo sull’ampio balcone della stanza, apprezzo la bella giornata e la temperatura abbastanza piacevole.
Il programma odierno prevede di recarmi alla concessionaria EagleRider per una ricognizione di controllo e preconsegna della moto che mi sarà affidata. In tal modo, domani, non avrò altre incombenze se non quella di caricare i bagagli e partire prima possibile. Dopo aver assolto questo impegno, farò un’escursione turistica “downtown Cleveland”.
Pertanto, scendo in fretta per far colazione, poi il bus della linea 54 e quindi la metro per la fermata di West Park: la concessionaria Harley-Davidson Cleveland è lì a due passi.
Nell’ampio salone espositivo contatto il primo che incontro dicendogli che ho una prenotazione per il noleggio di una motocicletta e quasi subito mi viene presentata una gentile signora che si occuperà di me. Il suo nome è Stephanie, simpatica e carina, con la quale entro subito in sintonia. Le spiego che sono giunto per un controllo preconsegna della moto e per adempiere a tutte le formalità del ritiro per evitare di perdere tempo prezioso domani quando dovrò partire.
Stephanie mi prega di attendere nell’ampio piazzale all’aperto e poco dopo si presenta a cavallo di una rombante Electra Glide Classic che parcheggia disinvoltamente nonostante il peso rilevante. Me l’aspettavo rossa, come quella che avevo prenotato on-line, e per un attimo resto perplesso.
Presto però questo imprevisto lascia il posto a un’emozione eclatante e seducente:
la Harley-Davidson Electra Glide … è blu!
NDVD_029.JPG
Un bellissimo blu metallizzato sul quale si specchiano le numerose cromature scintillanti. Parabrezza alto e protettivo, manubrio ampio, grande faro anteriore con altri due fari antinebbia e frecce sovradimensionate. Il quadro strumenti è completo, con il cruise control mentre sotto troneggia la radio di bordo per la musica “on the road”. Ha tutto, tranne il navigatore satellitare. Rimedierò con le mappe per il viaggio caricate sul mio potente cellulare di servizio.
La sella di guida e quella del passeggero, pur essendo notevoli, quasi scompaiono nell’insieme perché il baule posteriore è enorme, con un poggia schiena integrato, mentre da uno dei lati svetta l’antenna radio, alta più di un metro. Solo un cavalletto laterale la tiene incollata al suolo e non riesco a comprendere come faccia a sostenere tutto il peso della moto. Completano l’attrezzatura due grosse borse laterali abbastanza capienti, ma devo dire, non all’altezza di quelle eleganti della mia BMW. Sono veramente contento per questa moto bellissima che cavalcherò per undici giorni e che sarà la mia fida compagna di viaggio.
Stephanie mi delucida su tutto quanto attiene l’operatività della moto e impieghiamo più di un’ora nella nostra conversazione che si avvale anche della traduzione automatica di google, adoperando il computer.
Sistemata questa necessaria faccenda, do l’arrivederci a domani alla mia gentile istruttrice e riprendo la metro per andare a trascorrere il resto della giornata a “downtown Cleveland”.
Oggi, più della fugace impressione di ieri, il piano a livello stradale, all’interno di Tower City Center, mi sembra più gradevole e godibile, allietato dall’eccellente e incessante sottofondo musicale emesso da casse acustiche, sistemate in punti strategici. Le grandi e lunghe sale, nelle quali fanno bella mostra le altrettanto grandi ellittiche vasche di granito verde, sono il luogo di un andirivieni di moltissime persone indaffarate, di altre che passeggiano o che si soffermano davanti alle vetrine dei numerosi negozi. Peraltro, tutto questo, visto dall’alto – molto in alto – è molto spettacolare. Le balconate imbandierate dei piani superiori, infatti, dove clienti fan colazione tranquillamente seduti ai tavolini dei bar, sono ideali per apprezzare la vastità dell’ambiente sottostante e non solo. La musica che allieta e si diffonde ovunque e la luce che penetra dalla cupola di vetro, attraverso la quale si intravede e si innalza l’altissima torre, non fanno altro che esaltare ulteriormente questo luogo elegante.
In fondo all’edificio c’è l’Hard Rock Cafè identificato fuori all’aperto dall’iconica chitarra; una piacevole veduta panoramica sulla darsena portuale del lago Erie completa il quadro.
Rientrando e uscendo dall’ingresso principale, dove perraltro resiste ancora il banco del lustrascarpe, trovo nel piazzale antistante la consueta presenza di polizia, persone di colore che sembrano non sapere come sbarcare il lunario e bus delle varie linee urbane che arrivano e ripartono senza sosta.
E’ giunta l’ora di fare uno spuntino ed entro quasi per caso in un Subway perché, ciò che più mi attira, è la pubblicità di una sorta di sfilatino farcito: “italian footlong”. Approfitto e mi faccio preparare una baguette imbottita con carne, insalata di pomodori e olive. Coca cola dal dispenser refrigerato è la mia bevanda. La coca è già fredda, ma come facciano a berla, gli altri clienti americani, dopo aver riempito di cubetti di ghiaccio il bicchierone…è un mistero!​

vlcsnap-00026.webp

20140813_122945.webp

vlcsnap-00031.webp

20140813_122825.webp

vlcsnap-00033.webp

NDVD_035.webp

20140812_121343.webp

NDVD_119.webp

NDVD_120.webp




continua…
 
Ultima modifica da un moderatore:
15 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

Rock & Roll of Fame and Museum

E’ tempo di andare a vedere il famoso museo del rock e mi avvio a piedi attraverso Public Square; percorro tutta Ontario Street fino all’edificio neoclassico della Corte d’Appello dell’Ohio. Ai due lati di una bassa scalinata del palazzo di giustizia sono disposte due grandi statue bronzee dedicate a due fondatori della federazione americana, Thomas Jefferson, terzo Presidente, e Alexander Hamilton. Quest’ultimo ha il privilegio, pur non essendo mai stato Presidente, di essere effigiato sulle banconote da dieci dollari. Continuo passando davanti alla City Hall, il municipio, in stile neoclassico, supero un grande ponte pedonale e giungo finalmente davanti alla bellissima struttura piramidale, tutta di vetro, del celeberrimo Rock & Roll of Fame and Museum .
La piazza antistante è resa gradevole da una grande aiuola circolare piena di fiori e molti diffusori audio, ben mimetizzati fra le piante, emettono le note inconfondibili di musica rock e blues di anni ormai lontani. Sul frontespizio dell’ingresso, invece, svetta la grande insegna “50° ROLLING STONES” con l’emblema della “linguaccia rossa”, che inneggia alla nascita del famosissimo gruppo inglese.
NDVD_368.webp
E’ decisamente un invito ad entrare, a guardare e apprezzare.
La struttura piramidale, affacciata sul lago Erie è opera dello stesso architetto cinese naturalizzato americano Ieoh Ming Pei che progettò quella del Louvre e ne ricalca la forma. Dentro, tutto parla di musica, di cantanti e musicisti, di professionisti della musica rock, di artisti di epoca lontana che suonavano e cantavano canzoni country, folk e blues. La lista dei nomi legati alla storia del rock sarebbe lunghissima e spazierebbe, solo per citarne alcuni, da Nat King Cole a Billie Holiday, da Chuck Barri a James Brown, Ray Charles, Fats Domino, Jerry Lee Lewis, Little Richard, Elvis Presley, Beatles, Rolling Stones.
Insomma, accedo a questo museo della musica, unico negli Stati Uniti, con tutta la mia piacevole reminiscenza degli anni ’70/80 e una curiosità quasi infantile, pagando un biglietto ridotto di 17 dollari perché… sono “senior”!
Nella hall c’è un grande poster dei Rolling Stones e qualche divertente vettura è appesa alle bianche travi portanti di ferro della struttura vetrata del museo. La musica trasmessa da Radio Rock & Roll permea tutto l’ambiente alla cui destra c’è il grande reparto shopping, mentre il meglio da vedere si trova al piano inferiore.
NDVD_124.webp
Scendendo, sono catapultato di colpo negli “anni ruggenti” perché nelle sale sono esposti cimeli, soprattutto chitarre elettriche, di artisti famosi, mentre la musica richiama l’atmosfera degli anni passati. Purtroppo è vietato filmare e fotografare ma con qualche precauzione e discrezione riesco a fare qualcosa.
E’ quasi impossibile elencare tutto ciò che c’è da vedere in questo piano interrato, ma almeno in parte ci provo ugualmente. C’è una grande sala cinematografica nella quale si potrebbe passare un’intera giornata, ascoltando concerti e vedendo filmati d’epoca. Non ci metto piede per mancanza di tempo. Tuttavia, molti schermi su pareti riproducono leggendari concerti e in apposite zone tematiche si possono guardare grandi bacheche con chitarre elettriche di artisti famosi, dischi e copertine originali 33 e 45 giri, abiti di scena, fogli scarabocchiati di composizioni di canzoni che avranno poi un successo mondiale.
NDVD_033.webp
Tutto è debitamente etichettato con didascalie dettagliate: si va da Jerry Lee Lwis a Jhonny Cash, da Chuck Berry a Little Richard e i complessi di U2, Doors, Genesis per terminare con Jimi Hendrix, uno tra i grandi chitarristi di tutti i tempi. Sono esposte le sue favolose chitarre e le camicie dai colori psichedelici.
Passo in rassegna altri artisti e arrivo nella grande sala espositiva dedicata al Rolling Stones con grandi schermi che riproducono esibizioni famose, concerti e soprattutto l’inconfondibile canzone che li rese famosi: “Satisfaction”.
Come se non bastasse si passa subito ad un altro pezzo forte: The Beales!
Sono molto emozionato perché questo è da sempre il mio gruppo preferito, al pari della loro musica e delle bellissime canzoni che hanno scritto e cantato e che ogni tanto, per diletto, mi cimento a strimpellare sulla mia chitarra.
vlcsnap-00003.webp
C’è il famoso piano Yamaha di John Lennon, quello che ha dato vita alla famosissima Imagine, gli abiti grigi senza colletto delle prime apparizioni, poi quelli di scena di Sergent Pepper’s, moltissimi altri oggetti a loro appartenuti e il testo scritto a mano di molte canzoni famose, comprese le note e le modifiche scarabocchiate, tanto da poter interpretare il processo creativo dei brani. Mi soffermo a guardare la chitarra acustica di Lennon sulla quale sono disegnate con pennarello le caricature delle mitiche facce di ciascuno dei componenti del gruppo.
vlcsnap-00009.webp
vlcsnap-00008.webp
Seguono vetrine dedicate a Heavy Metal, James Brown, Aretha Franklin, Michael Jackson, arrivando in seguito allo stand dedicato a Elivs Presley e ai suoi abiti luccicanti di lustrini e paillettes. Sotto un grande schermo, dove si proiettano i video della sua storia, i suoi concerti e le sue turnè, è parcheggiata la Lincoln Coupè del 1975 che ha sulle maniglie delle porte le sue iniziali.
Si passa quindi alla sezione blues e country folk con artisti del calibro di Otis Redding, Chuck Berry, B.B. King e Janis Joplin “the greatest white urban blues and soul singer of her generation” (la più grande artista bianca di blues della sua generazione). La sua Porche 365 Cabriolet del 1965, tutta dipinta con forme e colori psichedelici, è lì parcheggiata quasi fosse un’opera d’arte.
Molto altro ancora ci sarebbe da vedere, ma il tempo passa inesorabilmente e dopo questa bella scorpacciata di famosissimi artisti mi reco al piano superiore dove il museo presenta la sezione dedicata agli “Architetti del Rock & Roll”. In questa sezione è mostrata la genesi dei primi strumenti di registrazione e di riproduzione musicale: bobine arcaiche, giradischi primordiali, bellissimi jukebox, apparecchi televisivi dal quadro ovale, le mega radio portatili degli anni ’70 che hanno ceduto infine il passo ai cd audio della Sony, fino ai lettori audio digitali di ultima generazione.
Per curiosità, salgo ancora al piano ristorazione ed esco sulla balconata per prendere aria e affievolire questa specie di incontenibile sbornia artistico - musicale.
Il cielo coperto e grigio non vanta la bellezza del tranquillo e grande lago Erie. Meglio rientrare per fare shopping di gadget e ricordini da regalare. Fra l’altro compro una maglietta dei Rolling e una cartolina del Rock & Roll of Fame che, memore della promessa fatta, spedirò a Duncan Williams di Los Angeles.
Aappagato da questa sorta di Mecca della musica e devo dare atto al mio amico Duncan che è una di quelle mete assolutamente da non perdere se ci si trova a Cleveland, una città affascinante per l’aria di rock che tangibilmente vi si respira.
Tornando sui miei passi verso il centro, mi capita di salire, più per curiosità, su un bus storico di colore verde. Al conducente di colore mostro il day pass ma lui mi fa intendere che non c’è bisogno perché il trasporto passeggeri su questi bus … è “free”. Resto sbalordito!
Il grazioso mezzo di trasporto, pulitissimo, ha i sedili di legno, tutti gli inserti metallici e i tubi passamano di ottone lucido ed è una specie di “circolare” del centro città.
Non lontano da Public Square, scendo proprio davanti alla mia seconda destinazione: “Arcade”.
NDVD_367.webp
E’ una delle gallerie commerciali coperte più antiche del mondo, costruita nel 1890, e la sua bellissima ed elegantissima architettura in stile liberty è sormontata da una vetrata ad archi per tutta la sua lunghezza. Vi entro attraverso una sorta di grande arco e sono molto stupito dalla luminosità degli interni, dai negozi d’un tempo e dall’eleganza delle sue balconate di ferro battuto che fanno da cornice al piano sottostante. Non dedico molto tempo alla visita, ma quanto basta per uscirne, sorpreso da tanto sfarzo e bellezza, dalla parte opposta dell’isolato, nella Euclide Avenue.
Mi inoltro in questa strada pedonale con bar e ristoranti dove la gente trascorre tranquillamente il pomeriggio e avviandomi a prendere la metropolitana per tornare all’albergo, sfoglio l’opuscolo della linea 54. Sorpresa: il servizio da Brookpark termina alle 17:45 e ora sono le 18:00!
Una volta raggiunto con la metro quella fermata mi tocca fare una bella passeggiata di due chilometri e mezzo per raggiungere l’hotel.
In camera, prima di tutto, sistemo i bagagli da caricare sulla motocicletta e siccome ho un po’ fame scendo in strada per comprare qualcosa: ceno con un panino del Subway, una banana e una bottiglia di birra Heineken comprate da “l’egiziano”, il gestore di un negozietto annesso a un distributore di benzina poco distante dal’albergo.
Per finire, un ulteriore controllo ai bagagli e poi subito a dormire perché domani…comincia l’avventura.​

Sturgis Motorcycle Rally…I’m coming!

continua…
 
16 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

1ª Tappa HD CLEVELAND (Ohio) – JOLIET (Indiana) - 566 km
PRIMA TAPPA.webp

Mi sveglio di buonora, condizionato dalla rilevanza della data odierna perché segna l’inizio del mio ambito viaggio avventuroso verso Sturgis per partecipare al 73° Motorcycle Rally.
La fioca luce mattutina che filtra da un angolo della tenda che copre la vetrata del balcone mi fa presagire che la condizione meteorologica non sarà delle migliori. In ogni caso, il mio orologio Oregon Scientific segna “poco nuvoloso” e delle sue previsioni mi sono sempre fidato.
Con Stephanie di EagleRider avevo concordato di farmi venire a prendere. Tutti i bagagli sono già pronti da ieri sera e quindi non perdo tempo nell’abbandonare la camera e attendere l’arrivo del delegato della concessionaria che puntualmente si presenta alle 9; carico i bagagli e in meno di un quarto d’ora sono a Cleveland Harley-Davidson.
La Elettra Glide è già pronta, lucida, pulitissima e accattivante nella sua bella livrea blu metallizzata: numero di targa “Cleveland - 66QLP - Ohio” e non vedo l’ora di guidarla.
Stephanie mi consegna i documenti e il numero di telefono per eventuali emergenze; mi fa firmare il contratto e mi propone di acquistare un’assicurazione supplementare: per pochi dollari la sottoscrivo subito. Poi, mi consegna il lucchetto con cavo d’acciaio che mi consiglia di adoperare sempre nelle soste prolungate; la chiave di accensione che apre anche il bocchettone del carburante, la bagagliera posteriore e le borse laterali.
E’ un’ottima soluzione quella di avere una chiave per tutti i sistemi di apertura ma, purtroppo, non c’è quella di riserva, nell’eventualità che vada persa. Mi consegna anche un foglietto in tre lingue - tranne l’italiano - dove sono riportate tutte le precauzioni da adottare all’occorrenza.:
Infine, Stephanie mi chiede di riconsegnare la motocicletta nel medesimo stato nel quale me l’hanno noleggiata: lavata e con il pieno di benzina!
Per quanto riguarda l’unica chiave della moto che ho disponibile, ho trovato il sistema per evitare di perderla: la aggancio a un laccio portachiavi tricolore della FMI, che opportunamente mi son portato dietro, e messa al collo sarà difficile che me ne separi.
Purtroppo, non sono riuscito a trovare nemmeno un francobollo e nemmeno una buca per spedire la cartolina a Duncan, quindi, chiedo cortesemente a Stephanie di occuparsenei perché è un impegno che devo rispettare.
E’ giunto il momento di caricare. Il trolley trova perfettamente posto nel grande vano del baule posteriore e tutto il resto nelle capienti borse laterali, mentre la tenda e il sacco a pelo, dopo averli avvolti in una cerata antipioggia di colore arancione, li ancoro per mezzo di cinghie elastiche alla sella con schienale del sedile posteriore.
NDVD_000.webp
Tergiverso un po’ e mi metto a trastullare con il cellulare, tentando di impostare il percorso di tappa, ma senza cavarci un bel niente.
Mi consolo telefonando a casa per sapere come stanno: tutto tranquillo.
Nel frattempo è giunto un gruppo di danesi. Hanno noleggiato quattro Harley e conversando con loro mi dicono che sono diretti a Sturgis, passando prima da Chicago dove li attende un altro amico motociclista. Qualche foto di rito con l’eventualità, molto aleatoria, di rivederli al raduno.
NDVD_009.webp
Guardo con un po’ di perplessità e timore riverenziale questa possente motocicletta che non ho mai guidato in vita mia. Più la guardo e più aleggiano strane sensazioni sensuali provocatorie perché appare come una donna pronta a sedurti e ad attirati a se con le braccia del manubrio smaniosa di essere posseduta – perdon -guidata.
Ho l’impressione di aver bisogno al momento dell’intervento di uno psicologo o psicoterapeuta!
Tuttavia, spronato dalla curiosità e dalla necessità, decido di mettere in moto per fare qualche giretto nell’ampia zona parcheggio della concessionaria.
Pigiando il tasto di accensione, un rombo poderoso si sprigiona dal motore e dai tubi di scappamento della moto. Tirandola in equilibrio dal cavalletto laterale, mi accorgo che, a causa del peso esorbitante, occorre impiegare una quantità di energia non paragonabile alla stessa operazione che si effettua con altre motociclette.
Ingranare la prima marcia è come dare un colpo di martello su un’incudine, ascoltando il medesimo suono o rumore, mentre un contemporaneo lieve saltello fa sobbalzare la moto in avanti, pur con la leva della frizione premuta. Mentre rilascio quest’ultima lentamente, la pesante Electra Glide si muove tranquilla senza il minimo tentennamento e mi basta poco per comprendere che, al pari di tutte le altre moto, ha solo due ruote e un motore. A moto ferma e con motore acceso, apro la manopola dell’acceleratore e controllo che la basetta con il telefono che ho fissato al parabrezza con una ventosa, possa sopportare le vibrazioni che su questa moto non sono da sottovalutare.
Sembra che il sistema adoperato funzioni correttamente.
Sono molto ansioso e smanioso di partire.
Allora, saluto Stephanie, salgo in moto, la metto in equilibrio, giro la chiave, aziono l’interruttore della messa in moto della mia elegante e poderosa Electra Glide e con tutto l’itinerario già in mente, inizio il mio viaggio verso Sturgis: prima meta verso ovest, Joliet - Illinois, 566 chilometri.
In uscita dalla concessionaria seguo per un tratto l’autostrada 471 West - Toledo e poi mi immetto sulla Intestate 80/90, in direzione di Chicago. Non appena apro l’acceleratore per prendere velocità, accade subito una contrarietà: il cellulare mi dice “addio” volando letteralmente fra le corsie dell’autostrada, irrimediabilmente “pestato” da macchine e camion che transitano a forte andatura.
Cominciamo bene!
La ventosa, purtroppo, non ha fatto il suo dovere e il rammarico per aver perso quel dispositivo che conteneva tutti i dati del percorso è fortissimo. Soprattutto era il mezzo per tenermi in contatto con la mia famiglia. Tuttavia, ho di scorta la guida cartacea del mio road book, mentre per il collegamento telefonico cercherò un rimedio, avendo pur sempre a disposizione la scheda internazionale della Telecom.
Non ci voleva proprio, ma ormai è fatta. I contrattempi bisogna sempre metterli in preventivo e quindi è inutile stare a disperarsi: bisogna andare avanti!
Riparto e dopo qualche chilometro ad un camion che mi sta sorpassando scoppia una ruota.
Il mio istinto mi dice che sull’autostrada devo stare molto attento perché, nonostante il limite imposto sia di 70 miglia orarie vedo che non tutti lo rispettano e truk enormi, con tubi di scappamento che sembrano grosse ciminiere, mi sorpassano in un baleno.
Continuo ad avanzare sull’autostrada a pagamento Ohio Turnpike che attraversa lo Stato dell’Ohio a settentrione per 260 km. Poi cede il passo alla “Indiana Toll Road” che percorre tutto il confine nord dello Stato dell’Indiana, per 300 km, sfiorando il limite sud di Chicago e del lago Michigan.
Il territorio che sto attraversando è abbastanza piatto e monotono e alla prima sosta ho il primo impatto con la difficoltà, non insuperabile, di fare rifornimento carburante. Occorre parcheggiare vicino alla pompa di benzina, recarsi nell’ufficio, pagare quanto serve e tornare alla colonnina per il “self service”. Sollevo la pistola della pompa ma vien fuori solo una goccia di benzina, tanto che mi tocca chiedere lumi per far rifornimento a un altro motociclista.
E’ facile: togliere la pistola erogatrice dal sistema di aggancio e tirare su quest’ultimo: vale per la prossima volta!
Come avevo previsto, la postura della sella stanca nelle lunghe percorrenze, per cui mi tocca fare brevi soste per rimediare e rilassarmi. In ogni caso, questo mi consente di apprezzare la vasta area di servizio nella quale mi sono ulteriormente fermato. Ha un grande ristorante self service con ambienti pulitissimi e una pizzeria dal nome italiano, con tanto di tricolore: SBARRO Fresh Italian Cooking. C’è un trancio di pizza che mi invoglia e che mi piacerebbe assaggiare, ma guardando bene ho l’impressione che non sia stata cotta a dovere e rinuncio.
NDVD_010.webpNDVD_011.webp
Il tempo discreto con cielo poco nuvoloso mi consente di procedere speditamente ma, nel tratto autostradale che sto percorrendo, bisogna esser molto prudenti e prestare attenzione ad alcuni punti critici; in particolare, agli innesti molto congestionati della zona sud di Chicago. Comunque, anche se ora non ho più il conforto del navigatore satellitare del cellulare, me la cavo abbastanza bene perché i tabelloni autostradali sono molto precisi nell’indicare la direzione da prendere. Per il viaggio, mi basta seguire la segnalazione “80 West” che conduce ora verso lo Stato dello Iowa.
80West.webp
Ho percorso tantissimi chilometri in sei ore di viaggio ma complice la velocità non elevata, sembra che non si giunga mai a destinazione. Mentre il sole sta già volgendo al tramonto, inizia anche a fare buio e il traffico nella zona che sto attraversando diventa sempre più sostenuto. Sono abbastanza stanco, anche se la meta di Joliet dovrebbe essere vicina. Infatti, sul far della sera, arrivo nei pressi di quella città, ma purtroppo, non rammentando l’uscita da imboccare per andare al motel, tocca fermarmi e dare un’occhiata al mio “aiutante” road book: Exit - 130 B.
Proprio nelle immediate vicinanze dello svincolo mi accorgo che, ben appostato, c’è un poliziotto con una pistola laser puntata nella mia direzione. Sono ben al di sotto del limite massimo consentito e proseguo senza esitazioni.
Non mi è peraltro difficile scovare il Motel 6 perché è proprio a due passi dallo svincolo e il fatto poi che tutte le strutture ricettive di questo tipo hanno altissimi piloni metallici con la propria insegna pubblicitaria è facile individuarli anche da notevole distanza.
Motel 6 joliet. 2 JPG.webp
Al motel mi offrono una sistemazione al piano inferiore: solito lettone e servizi essenziali. Ho il parcheggio della motocicletta proprio davanti alla porta di ingresso della camera e tutto questo, solo per passare la notte, mi costa 41 dollari, standard minimo…ma solo per gli americani.
Il mio orologio segna le dieci di sera, ma da queste parti sono le nove perché viaggiando verso ovest ho percorso 360 miglia e, attraversando un fuso orario, ho guadagnato un’ora.
In verità, ho una fame da lupi, ma non me la sento di girovagare nei dintorni alla ricerca di un “food store”. Trovo invece nelle vicinanze un esercizio “Seven/Eleven” e compro un panino, pessimo, e una mela che, al contrario e inaspettatamente, si rivela saporitissima.
La serata è abbastanza calda, ma il letto mi attende, facendomi addormentare immediatamente per la stanchezza.​

Tomorrow…is another day!

continua …
 

Allegati

  • Motel 6 joliet. 2 JPG.webp
    Motel 6 joliet. 2 JPG.webp
    21.7 KB · Visualizzazioni: 1
17 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

2ª Tappa - JOLIET – GRINNEL (Pilot Travel Center) - 420 km

Tappa 2.webp

La tappa odierna, Joliet – Sioux City di 814 km, sarà durissima. Temo però che non potrò rispettare l’intero percorso perché, quando mi affaccio fuori, vedo un cielo nuvoloso che promette solo pioggia e stanotte, per giunta, ci sono stati rovesci. Non mi piace viaggiare con l’insidia della strada bagnata, tanto meno sotto la pioggia. Questo contrattempo scombussola non poco i piani della partenza e del percorso di tappa.
La motocicletta è tutta bagnata, la sposto sotto una balconata e poi tento di fare colazione da qualche parte perché il motel offre solo caffè… e nient’altro.
Dall’altra parte della strada c’è un bar della catena “Bob Evans” e almeno lì mi accontento con latte, caffè e un pezzo di torta. Fuori, intanto, piove a dirotto, com’era prevedibile, e allora approfitto di questa pausa forzata per starmene tranquillo a scrivere. Partirò quando terminerà questo temporale passeggero, tanto più che, guardando verso ovest - la mia rotta di viaggio - vedo sprazzi di cielo sereno. Pazientemente, attendo fiducioso, tanto non mi corre dietro nessuno!
Tuttavia, appena spiove, cerco di rimpiazzare il cellulare perso cercando un negozio di elettronica. Lo trovo a mezzo chilometro dal motel e compro un cellulare Verizon: con un contratto di 30 dollari ho la copertura di un mese in tutti gli Stati Uniti e la possibilità di ricevere chiamate dall’Italia. Ho risolto nel migliore dei modi la faccenda e la mia preoccupazione.
Intanto, la situazione meteorologica è cambiata, la strada si è asciugata, ma è già quasi mezzogiorno e devo affrettare la partenza, non senza aver fatto prima il pieno di benzina. La prima pompa, alla quale mi accosto, non funziona e passo alla seconda spingendo la moto a mano: mai fare questo tipo di operazione con una Harley di oltre mezza tonnellata!
La moto mi cade su un fianco appoggiandosi sul paramotore e metterla in verticale mi è impossibile da solo. Cerco di farmi assistere da un camionista che sta scaricando benzina – ha già visto tutto - e solo grazie al suo aiuto provvidenziale riusciamo a metterla in verticale. Lo ringrazio e credo proprio di averla scampata bella anche perché la moto non ha riportato alcun danno o ammaccatura.
Fatto il pieno, mi immetto subito sulla Intestate 80/90, direzione West-Davemport.
Le indcazioni stradali americane seguono un orientamento che rispetta i punti cardinali, in qualsiasi direzione si voglia andare. Pertanto, tutti i cartelloni di colore verde delle autostrade e delle altre strade statali riportano sempre il riferimento ad uno di quei noti quattro punti.
Nel mio road book la prima sosta è prevista una sosta gradevole a Rapids City e vi giungo dopo duecento chilometri.
Rapids City, un piccolo paese dell’Illinois, è uno di quei posti pianificati perché, situato presso le rive del grande fiume Mississippi e scoperto grazie all’omino di google map, mi sembrò un luogo decisamente piacevole.
Arrivando in zona, so già come muovermi e quindi imboccata l’uscita autostradale mi dirigo subito sulle rive del Mississippi. Mi soffermo ad ammirare questo grande fiume, ricco di storia e cultura, che nasce dal Minnesota, attraversa gli Stati Uniti centrali e dopo 3.700 chilometri sfocia nel Golfo del Messico. Immagino anche i grandi battelli con le rute a pale che lentamente scendevano e risalivano questa Great River Road americana, in pieno territorio indiano.
Parcheggio la moto sul ciglio di una piccola stradina lungo fiume, dove si affacciano stupende e grandi ville residenziali, con l’immancabile vasto parco erboso.
NDVD_144.webp
Mi rilasso in questa realtà serena e idilliaca, lasciandomi cullare da un dondolo di un piccolo molo privato che sembra messo lì di proposito ad attendermi, per farmi godere appieno il paesaggio e il lento e tranquillo cammino delle acque.
NDVD_042.webp
Stento ad allontanarmi da questa piacevole situazione, ma devo recarmi a “dar da bere” alla moto, assetata di benzina, e placare il mio stomaco che brontola non poco per la fame. Una stazione di servizio che trovo nei dintorni esaudisce l’ingordigia della motocicletta mentre un ristorante a conduzione familiare lì vicino mi permette di far colazione con una specie di cotoletta di carne e Coca Cola che non manca mai per dissetarmi.
Sono già passate le cinque del pomeriggio e senza ombra di dubbio non rispetterò la meta della tappa odierna che si trova a ben 600 chilometri di distanza. Pertanto, torno sulla 80 e transito su un grande ponte di ferro che scavalca il Mississippi e che proprio qui fa da confine tra l’Illinois e lo stato dello Iowa nel quale sono appena entrato.
Dopo aver superato Iowa City e percorso 180 chilometri in circa due ore, comincia a farsi veramente tardi e sono obbligato a cercare un albergo dove pernottare. Nei pressi di un piccolo paese, Williamsburg, avvisto un altissimo pennone con una grande bandiera americana sventolante che fa quasi da faro a un grandissimo centro commerciale: Tanger Outlet.
A parte un piccolo paese, peraltro distante qualche chilometro, nei dintorni non c’è praticamente nulla, tanto che la denominazione di quella struttura piena di negozi evoca inevitabilmente un’oasi del deserto nordafricano. Eppure, di gente se ne vede molta, giunta da chissà dove per fare acquisti nei negozi di abbigliamento, di articoli sportivi, di elettronica, per rifornirsi di derrate alimentari nei supermercati, rifocillarsi in tavole calde e far divertire i bambini nelle “attraction”.
Mi fermo al Subway per mangiare un panino e poi, avendo visto poco lontano l’insegna di un motel Super 8 e di un Best Westrern’s, vado a sincerarmi se posso sistemarmi per la notte. Trovo lì un gruppo di motociclisti appena giunto e quando chiedo alla reception del primo albergo se c’è una stanza disponibile mi dicono che è tutto esaurito. La stessa cosa accade con il secondo motel e uscendo fuori sono alquanto preoccupato e indeciso sul da farsi.
Nel frattempo, la medesima sorte è capitata ad un altro motociclista che si appresta a riprendere il viaggio. Sia lui che la moto suscitano un interesse al quale mi è difficile sottrarmi e la forte curiosità mi esorta a intavolare una conversazione che verte soprattutto sul suo mezzo di trasporto.
Per prima cosa, il motociclista è un omone grande e grosso ma con un faccione simpatico, una foltissima barba increspata quasi grigia e capelli tenuti insieme da un paio di occhiali neri messi sul capo a guisa di frontiera. Indossa una salopette di jeans e un giubbotto da motociclista con sotto una maglietta nera sulla quale intravedo il logo di Sturgis.
NDVD_012.webp
Me è la moto il pezzo forte e ha molto di inverosimile. Intanto, è l’esatto contrario, in termini di stazza, del suo proprietario. Infatti, è una piccola e vecchia Yamaha bicilindrica, a trasmissione cardanica, che più “hard metal” di così non si può. Nn posso esimermi da evidenziare i particolari più appariscenti.
NDVD_044.webp
I pneumatici hanno la striscia bianca e la ruota anteriore non ha il parafango, volutamente; i poggiapiedi sono fatti di pesante lamiera mandorlata con abbellimento di ruote dentate di catene duplex di trasmissione. Le due marmitte debordano di almeno mezzo metro dalla ruota posteriore e sono accessoriate con la saldatura sul bordo superiore di una lunghissima catena di trasmissione che alla fine penzola e striscia per terra. Appese al telaio posteriore sono poste due borse borchiate di pelle nera, chiuse da fibbie metalliche.
Il meglio, forse, è riservato al manubrio e alla sella. Infatti, sul “ponte di comando” le manopole vengono fuori quasi inaspettate da tutta una serie di accessori fra i quali fa capolino uno striminzito e rotondo contachilometri; poi un panno, steso dietro al fanale con funzione antivento; una cinghia elastica che tiene appesi fazzoletti di stoffa quasi fossero stati stesi per asciugare. Due grandi barattoli, come quelli dei nostri pomodori pelati, contengono il “necessaire da viaggio”: in uno c’è una bottiglia di plastica per l’acqua e nell’altro appaiono distintamente uno spazzolino, un tubetto di dentifricio, pettine e altri articoli di toilette. Una chiave inglese è appesa in primo piano pronta per assolvere alle necessità meccaniche in caso di difficoltà.
Sono molto divertito e il motociclista, favorito per il mio interesse, togliendo il casco di foggia tedesca, mi mostra con fierezza il pezzo forte della cavalcatura: l’accogliente sella per il suo poderoso sedere!.
NDVD_045.webp
La sella è di ferro, uguale a quella dei trattori, senza ulteriore imbottitura – tanto ci pensa lo strato ammortizzante della sua mole – e con molti fori che hanno forse il compito di fungere da prese d’aria antisudore. Ma non è ancora tutto perché, sulla sella è stata applicata una grossa stella di gomma con l’immagine della “sex simbol” Betty Boop, celebre personaggio dei cartoni americani d’animazione degli anni ’30.
Dalla conversazione amichevole apprendo, come avevo già intuito, che è diretto anche lui a Sturgis, dove peraltro si è recato in passato, e parlando della possibilità di soggiornare in qualche campeggio mi suggerisce Hog Haven Campground: è nella lista del mio road book.
Ci diamo l’arrivederci di consuetudine, sperando di ritrovarci a Sturgis, mentre lui indossati gli occhiali scuri e l’elmetto nazista, si accomoda sulla moto, che letteralmente scompare sotto la sua straripante sagoma; mette in moto e parte con un allegro sorriso verso chissà dove.
NDVD_046.webp
La mia meta, invece, è alquanto aleatoria, quando mi rimetto in strada sulla 80, nonostante abbia come riferimento sulla mia tabella di marcia la città di Grinnell, lontana circa 90 chilometri e un tempo di percorrenza superiore a un’ora.
E’ tardi e dopo appena trenta chilometri un cartello blu, presente prima di ogni uscita sulle autostrade, mi informa sulla possibilità di far benzina in una grande area di servizio attrezzata con il marchio Pilot Travel Center.
Impegno l’uscita e avvistando nelle vicinanze una struttura alberghiera vado a controllare se c’è la possibilità di pernottare. Molte motociclette sono parcheggiate, certamente per una sosta verso Sturgis, e il proprietario mi invita e mettere la mia a fianco di qualcuna di esse. Al banco gli chiedo se posso pernottare e quanto devo pagare: mi “spara” 100 dollari!
Sono allibito e ho l’impressione che abbiano alzato di proposito le tariffe, proprio in concomitanza del passaggio dei motociclisti diretti al raduno. Non sono disposto a farmi spennare solo per dormire una notte e quando gli dico “no!”, il proprietario mi sembra seccato per il “’buon affare” mancato.
Si sta facendo buio e certo non me la sento di proseguire, anche se sull’autostrada scorgo orde di motociclisti, anche senza casco, che proseguono imperterriti.
Ho percorso solo 420 chilometri, meno della metà della mia tappa odierna, e questo produrrà inevitabilmente ritardi sensibili sulla tabella di marcia di avvicinamento a Sturgis. Però non mi dispero più di tanto: va bene ugualmente!
Per il pernottamento, c'è solo una possibilità: accamparmi nei pressi dell’area di servizio del Travel Center perché, il massimo che io possa fare in queste condizioni è…“dormire sotto le stelle”.​

Starlight is very wanderful!

continua…
 

Allegati

  • NDVD_045.webp
    NDVD_045.webp
    73.3 KB · Visualizzazioni: 1
  • 2 Tappa.webp
    2 Tappa.webp
    24.9 KB · Visualizzazioni: 1
La vecchia Yamaha è proprio un pezzo vintage ma è accessoriata di tutto ...:ROFLMAO:

peccato per il tuo cellulare ma in fondo forse ti ha fatto vivere meglio questa avventura e fatto tornare indietro nel tempo quando si viaggiava solo con le cartine stradali.

continuo a seguirtti... ;)
 
Hai proprio ragione giada50 la moto era veramente una spasso! Alle carte stradali sono sempre affezionato e al mio road book non mancava proprio nulla ed era molto minuzioso e particolare.
Quando viaggio porto sempre con me "una via di fuga" per gli imprevisti: funziona come un doppione, all'occorrenza.
Grazie per il "follow me"!
 
18 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

3ª Tappa – GRINNEL - SIOUX CITY - 400 km
3 TAPPA.webp

Non sono riuscito a riposare bene per il frastuono indescrivibile dei mezzi pesanti che transitavano sulla vicina autostrada e per mille pensieri che si sono affollati nella mente, compreso il grande rammarico che mi perseguita per la perdita del cellulare. Alle 5 di mattina, mentre sorge un bellissimo sole, sono già in piedi. La stazione di servizio è ampia e attrezzata per fare una buona colazione, non prima di essermi sbarbato e ripulito nella toilette perfettamente linda.
Il mio programma di viaggio non potrà essere rispettato per la pioggia di ieri ma, con rinnovato ottimismo per il seguito della mia spedizione, riempio il serbatoio della benzina e vado avanti.
Penso di raggiungere Sioux City e di pernottarvi.
Sull’autostrada tutti guidano ben oltre le 70 miglia, compreso camion e squadroni di motociclisti senza casco, coperti solo da misere magliette a mezze maniche, nonostante la temperatura non certo caldissima. Il sibilo dei pneumatici mi da la sensazione di trovarmi su una pista di aeroporto, con un costante andirivieni di aerei in decollo o atterraggio. Siamo ancora molto lontani da Sturgis, ma il raduno comincia dopo domani e tutti si affrettano per non mancare all’appuntamento atteso per un anno intero.
Sulle prime viaggio abbastanza bene, ma poi la stanchezza, per non aver riposato durante la notte, prende il sopravvento, complice la sterminata ma comunque bella distesa verde e pianeggiante dello Iowa e il rettilineo stradale che non finisce mai. Per rimediare all’affaticamento, dopo circa 200 chilometri e aver superato il grande raccordo di Des Moines, prendo un’uscita e, dopo un po’ di strada, mi ritrovo nella pace di un tranquillo paesello della campagna circostante: Menlo.
NDVD_015.webp
Vado in centro, si fa per dire, dove trovo un Ufficio Postale, il Menlo Cafè, forse l’unico del paese, e due Honda Gold Wing parcheggiate lì davanti. Più per curiosità che per altro, entro nel bar dai soffitti bassissimi che incombono sui tavolini, mentre sulle pareti di legno molti quadri rimandano a vecchie fotografie dell’epopea western. Due signore attempate chiacchierano tranquillamente facendo colazione, allo stesso modo dei due proprietari delle motociclette.
vlcsnap-14.webp
Mi rilasso fuori del bar su una panchina e riparto dopo circa mezz’ora in direzione del paese di Atlantic.
Il luogo è anonimo, scelto però da molti camionisti per la sosta Nelle vicinanze c’è un’area di carburante dismessa e più in là un boschetto e un gazebo che si prestano a farmi riposare, a mangiare qualcosa e a scrivere qualche nota sul diario.
D’un tratto, nell’area abbandonata, noto un gruppetto di persone che armeggia intorno ad una moto. Questo mi incuriosisce e avvicinandomi lentamente noto qualcosa di familiare: la motocicletta che stanno tentando di riparare è una BMW r50 nera, come quella che ho restaurato e che ho a casa.
NDVD_048 bis.webp
Mai avrei immaginato una simile eventualità e siccome conosco il mezzo mi avvicino al gruppetto cercando di capire l’inconveniente al quale stanno tentando di porre rimedio: la ghiera che tiene ancorato uno dei tubi di scappamento al rispettivo cilindro è sfilettata e non stringe per niente. Non sono sicuro che riusciranno nell’impresa e, senza proferire parola, cerco da me un espediente: un filo di ferro, spesso quanto basta. Nell’area dimessa, fortunatamente, trovo molti fili di rame penzolanti e robusti, chiedo di intervenire e mi metto all’opera. Dico loro che sono italiano e posseggo a casa una moto uguale ma bianca (peccato che non gliela posso mostrare dalle immagini inserite nel telefono che ho perduto).
Attorciglio a dovere il cavo intorno al tubo della marmitta, che forzo contro lo sfiato del cilindro, e poi ancoro stabilmente il medesimo filo di rame al poggiapiedi e al telaio. Stringo bene il tutto, metto in moto e spero che la mia riparazione possa tenere…fino a Sturgis (?).
L’operazione “chirurgica” dura meno di venti minuti e i motociclisti, ringraziandomi, ripartono per la meta agognata lasciandomi solo, ma con una sorta di soddisfazione samaritana.
BMW  r50.webp
Parto anch’io proseguendo sulla 80 che abbandono di lì a poco, impegnando il raccordo della 680 con la Interstate 29, che passa a nord delle città di Omaha in direzione di Missouri Valley e Sioux City. Prima dello svincolo per immettermi sulla I 29, che piega decisamente verso nord, lungo il confine dello stato del Nebrasca, mi fermo in un’area di sosta a 80 miglia da Sioux City.
Specialmente nello Iowa, queste “Rest Area”, individuabili dai cartelli autostradali, sono bellissime, grandi ed estese come mezzo campo da calcio. Sono alberate, con panchine disposte sapientemente nel prato verde, aiuole fiorite, gazebo accoglienti dove si può far colazione, acqua potabile, sevizi puliti a disposizione e un’attenzione americana quasi maniacale per sopperire alle difficoltà dei portatori di handicap.
vlcsnap-00005.webp
Camion dal volume considerevole si fermano e ripartono dalle aree parcheggio senza che le abbiano minimamente insudiciate con perdite d’olio. Allo stesso modo c’è un andirivieni di pick-up enormi che trasportano moto al seguito, camioncini di fast food, roulotte grandi quanto una casa, motociclette con gancio di traino e carrello al seguito: tutti vanno a Sturgis!

Più in là sull’autostrada, sfrecciano gruppi di motociclisti con fari accesi e rombanti motori a scappamento libero, mentre molti altri vedo fanno relax in questa accogliente area.
vlcsnap-00007.webp
Alcuni hanno giubbetti smanicati e quello che attira di più la mia attenzione è l’abbigliamento di una ragazza che ha una maglietta tanto scollata da lasciar nude le spalle, la parte superiore del petto e tutte le braccia: come faccia a viaggiare in moto è un mistero!
Ovviamente, niente caschi protettivi: non sono obbligatori in questo Stato!
NDVD_049.webp
A questo punto direi di portare a conoscenza la mia provenienza e faccio l’alzabandiera sullo stelo dell’antenna radio issando il tricolore che mi son portato dietro e che d’ora in poi sventolerà e mi accompagnerà sulla via.
Nel frattempo, ho preso la decisione di pernottare a Sioux City perchè devo assolutamente riposare e dormire, con la speranza che ci sia posto nell’albergo Days Inn che ho segnato nel mio personale itinerario di viaggio. Sono in ritardo di un giorno sulla tabella di marcia ma tant’è! L’autostrada 29 segue il corso del fiume Missouri che segna il confine fra Iowa a est, Nebrasca a ovest e Sud Dakota a nord.
Percorrendo l’autostrada scavalco il Big Sioux, un affluente del Missouri, noto di sfuggita un cartello con un’immagine che mi è familiare: South Dakota, Great Faces Great Places, la medesima con l’effige dei presidenti di Monte Rushmore che compariva sulla copertina della guida turistica che mi arrivò dal Dipartimento del Turismo di quello Stato, nel mese di gennaio. Insomma, nonostante contrarietà, sono contento di essere giunto in South Dakota.
segnale sud dakota.webp
Alquanto incoraggiato, avendo visto più avanti un cartellone con la possibilità di mangiare qualcosa e pernottare, imbocco l’uscita numero 2 e vado prima di tutto al Subway, la mia ancora di salvezza per quanto riguarda i pasti. Non ci sono clienti nel locale, non devo quindi attendere, e al dipendente chiedo di prepararmi un “foot long” ripieno di “meat-balls”, (polpette di carne al sugo); da bare, coca abbondante.
Gli chiedo se ci sono alberghi nella zona e mi informa che sono tutti dalla parte opposta nella quale mi trovo.
Dopo essermi rifocillato, sulle prime mi dirigo al Motel Super 8, dove una donna di colore, impegnata nelle pulizie e richiamata da me al banco di ricezione, mi chiede 100 dollari.
Rimango perplesso e come sempre accade non ho la possibilità di controllare il listino prezzi che gli alberghi non hanno mai in vista. Dopo una sorta di patteggiamento, concordiamo il pernottamento a 72 dollari, tasse incluse. Mi sembra una soluzione accettabile perchè non mi fa perder altro tempo nella ricerca di un altro motel con un prezzo minore. Chiedo comunque una camera con una finestra attraverso la quale possa tenere sotto controllo la moto parcheggiata e sono accontentato.​

Le nove di sera e ….meno 2 a Sturgis!

continua…
 
19 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

4ª Tappa – SIOUX CITY – WINNER - 490 km
4 tappa.webp

Ci voleva proprio una buona dormita dopo 800 chilometri e la notte insonne del giorno precedente Alle sette mi basta una buona colazione per rimettermi in sesto e un’occhiata alle condizioni meteo: cielo parzialmente nuvoloso e una temperatura abbastanza calda.
Dovrei fare molti chilometri per raggiungere la riserva indiana di Pine Ridge, ma riesco a partire solo dopo le nove.
Comunque, nonostante le previsioni meteo che mi erano parse favorevoli, il cielo è diventato molto nuvoloso e incomincia a piovere abbastanza. Purtroppo, dopo appena sessanta chilometri sono costretto a rifugiarmi sotto un cavalcavia di un’uscita autostradale. Anche se sono attrezzato con tuta e copriscarpe antipioggia, non mi aggrada di tirarli fuori e viaggiare sotto l’acqua. La temperatura, inoltre, è scesa di parecchi gradi.
Attendo più di un’ora e quando la pioggia smetta di cadere, temporaneamente, cerco un posto migliore di un anonimo e solitario sottopasso che trovo dieci chilometri oltre. Vicino un’uscita autostradale, noto un agglomerato di case, distributori carburante e l’Emily’s Cafè, dove mi rifugio perché inizia nuovamente a piovigginare.
Il locale è affollato di avventori serviti ai tavolini e al bancone del bar da una simpatica donna di mezza età e da un’altra molto più giovane Per un dollaro e venti bevo un caffè americano, che di buono ha solo il “calore” – calore e non colore – e compro qualche cartolina, nell’attesa che il tempo migliori.
Riparto quando vedo sprazzi di sereno cercando poi di individuare sull’autostrada la “Exit 47” per proseguire verso la riserva indiana. Però, mentre viaggio, mi accorgo che la numerazione delle uscite continua ad aumentare, ben oltre il numero “47”, e ho la netta impressione di aver commesso qualche errore. In effetti, sono giunto, addirittura, a Sioux Falls, ben 45 chilometri oltre il punto dove dovevo svoltare, e quindi mi tocca uscire dall’autostrada alla Exit 81 per ponderare sul da farsi.
Di fatto, ho due alternative: proseguire direttamente in direzione di Sturgis, comunque distante più di 600 chilometri, rinunciando a molto dei miei programmi; oppure, tornare indietro e seguire l’itinerario di tappa prefissato.
Propendo per quest’ultima soluzione e riesco a individuare un gruppo di ciclisti per chiedere informazioni. Uno di loro mi conferma che per l’uscita 47 …devo tornare sui miei passi: 45 km!
Se avessi controllato il road book mi sarei accorto che l’uscita era proprio quella del bar Emily.
Sono molto seccato da questi continui inconvenienti che, vuoi per le condizioni del tempo o per sviste del tutto inopportune, non mi permetteranno di raggiungere per tempo Pine Ridge e poi Hot Springs, la città Sud Dakota dove avevo intenzione di pernottare.
All’agognata uscita, lascio l’autostrada e al successivo distributore di benzina, sulla US 46 West, mi fermo per sgranchirmi un poco. Il rettilineo di questa strada statale raggiunge il limite dell’orizzonte e sembra che passi anche oltre. Infatti, per raggiungere il prossimo centro abitato di rilievo, Wagner, dovrò percorrere ben 120 chilometri di rettilineo.
NDVD_052.webp
Sono in pieno territorio degli indiani Sioux, con prateria sterminata, case sparse e forse disabitate, fattorie di allevamento bestiame e, ovviamente, odore di sterco che appesta l’aria.
Dopo molti chilometri, il rettilineo diventa un saliscendi che segue l’ondulazione del territorio, tanto che la US 46 sembra una giostra simile alle “montagne russe”. Quando mi fermo sul bordo della strada, e scendo per scattare una bella foto, un motociclista di passaggio mi chiede se è tutto OK: alzo il pollice facendo segno che va tutto bene!
Comunque, pian piano giungo a Wagner, esteso paese di case basse, che ha un supermercato, forse l’unico, dove posso fare provviste alimentari. All’uscita dal magazzino mi metto a chiacchierare con un signore del posto, incuriosito, più che dalla motocicletta, dalla bandierina italiana che sventola sull’antenna radio. Se ho ben inteso, possiede una fattoria da queste parti e il suo abbigliamento è quello classico dei cowboy: camicia a quadri, stivaletti quasi nascosti sotto i jeans, cintura con una grande fibbia; gli manca solo il cappello a larghe tese per completare lo stile western.
NDVD_053 BIS.webp
Mi fermo a pranzare nel parco comunale dove bambini indiani della riserva Yankton, fra salatini Ritz e altalene, mangiano e si divertono allegramente.

NDVD_054.webp

Riparto dopo questa sosta, ma presto se ne aggiunge un’altra perché arrivo alla grande diga di Fort Randall, sul fiume Missouri, che ha, per giunta, bei parchi ricreativi ben attrezzati.

NDVD_056 bis.webp
Parcheggio vicino al Centro Informativo per ammirare il paesaggio e leggere alcune tavole didattiche poste sotto alti pali metallici, raggruppati ad arte per simboleggiare una capanna indiana. Nelle tavole è spiegato come la regione fosse stata attraversata nei primi anni del 1800 dalla spedizione esplorativa di Lewis e Clark, primi a raggiungere l’Oceano Pacifico via terra.
Altri pannelli illustrano la fauna, la flora e le attività dei nativi di questo territorio, come la caccia ai bisonti e la concia delle pelli. Il territorio, appunto: una prateria sconfinata, con il fiume Missouri che vi scorre nel mezzo, punteggiata da casette e fattorie, e resa inebriante dal profumo stimolante dell’erba verde e rasa.
Purtroppo il cielo di colore grigio, abbastanza incerto e coperto, non è il in modo migliore per apprezzare al meglio il paesaggio. Dopo circa 50 miglia mi fermo per una pausa a Burke, un paese quasi anonimo e tranquillissimo. Al pari di tutte le altre località ha il caratteristico e alto traliccio metallico su cui poggia un enorme serbatoio d’acqua. Sul serbatoio è dipinto un cane mastino con un muso divertente e il nome del paese.
NDVD_057.webp
Per svago, dopo aver viaggiato per un totale le 260 miglia, mi addentro verso il centro del paese: non c’è alcuno in giro, le case sembrano disabitate e un bar è chiuso forse per mancanza di avventori. Ma, nonostante tutto, una grande insegna luminosa a caratteri scorrevoli accoglie con cortesia improbabili o eventuali visitatori come me: “Welcome to Burke”. L’insegna indica anche l’ora e la temperatura: 7:32 PM – 75° Fahrenheit (circa 24 gradi).
La strada da percorrere è ancora molto lunga e certo non mi va di transitare nella riserva indiana di Pine Ridge con il buio. Com’è solito, bisogna trovare una sistemazione per pernottare e, purtroppo, questi piccoli paesi non hanno strutture ricettive adeguate al mio fabbisogno. Riprendo a viaggiare e dopo una decina di miglia vedo una grande insegna che sembra essere tutto un programma: “Welcome to Dallas”!
Non sarà certo la grande città del Texas, ma vale la pena fermarsi e indagare.
DALLAS.webp
La mia attenzione è rivolta a molte motociclette parcheggiate davanti a un basso saloon, una specie di baracca tutta di legno scuro, dove si può mangiare e bere birra, e che ha anch’essa un’insegna degna di nota: “Frank Days, Motel & Museum”.

NDVD_174.webpFaccio qualche ripresa fotografica esterna e poi, entrando nel bar, ciò che attira subito la mia attenzione sono le “saloon girl” che si attardano a chiacchierare con i motociclisti, ognuno dei quali ha in mano una bottiglia di birra quasi vuota. In un’atmosfera quasi buia e pesante, altre ragazze rifocillano i motociclisti e altri avventori si sollazzano seduti a un bancone d’altri tempi. La grande specchiera sul retro dilata oltremodo il locale mentre in bella mostra, sulla lunga mensola inferiore, campeggia una montagna di bottiglie alcoliche, mezze piene, dalle marche di whisky e bourbon le più disparate.
Ho la netta impressione che il vantato museo sia rappresentato dalle pareti tappezzate da un’infinità di fotografie storiche debitamente etichettate, al pari di bardature e selle da cavallo, moltissimi stivali e cappelli di cowboy sistemati su mensole, sotto il soffitto, e conservati in improbabili rastrelliere di reti metalliche.
Torno fuori per sincerarmi sul motel, ciò che più mi interessa e vicino al saloon trovo una specie di lungo container di tavole di legno. Una passerella di assi dello stesso materiale, abbellita da ruote di ferro a raggi, permette di accedere a quattro o cinque porte bianche e numerate che immettono, suppongo, in camere ricavate nel cassone. Per finire, una grande insegna di legno chiarisce il mio interrogativo sul ruolo del container: Frank Day’s Lodging House …il Motel!
Un cartello avverte che per quanto riguarda l’alloggio bisogna chiedere informazioni al bar e visto che fuori c’è una delle ragazze, chiedo il prezzo che, se ben intendo, è di 65 dollari. Poi, quando lei cerca di portarmi dentro a bere qualcosa e a concludere “l’affare” le dico che lo farò dopo aver fatto qualche foto.
NDVD_060 bis.webp
Noto su una parete del container l’iscrizione “jail” con piccola finestra e un’inferriata: con il rispetto dovuto, non mi sembra convincente passare la notte… in prigione!
Un tramonto bellissimo, con i dorati raggi del sole che al pari di spade infuocate fendono le nubi all’orizzonte, mi invita ad andare avanti prima possibile.
NDVD_062.webp
Detto fatto, lasciando perdere anche la “ragazza butta dentro”, inforco la mia bella motocicletta, e proseguo velocemente per altre venti miglia sulla US 18 giungendo, sul far della sera a Winner, bagnata dalla pioggia caduta qualche ora fa.
Mi rendo subito conto che è un grande centro abitato, avendo un aeroporto regionale, e subito mi si presenta una ghiotta opportunità per pernottare: Dakota Inn, un motel, a dire il vero, molto più accogliente del container.
Le stanze, tutte basse, sono disposte a ferro di cavallo intorno a uno spiazzo centrale con strisce di parcheggio poste proprio davanti alle porte delle camere. Noto che sono già alloggiati una decina di motociclisti e di fronte alla struttura, dall’altra parte della strada, c’è anche un grande supermercato, ottimo per fare rifornimenti.
Per pernottare non posso chiedere di meglio!
La proprietaria del motel, una signora che si è appena lavata i capelli, mi chiede 42 dollari, assolutamente conveniente, e mi consegna la chiave di una camera. Appena messovi piede, la trovo abbastanza in ordine, soprattutto pulita come non mi sarei mai aspettato, mentre un gentile segno di cortesia è rappresentato da una caramella americana e un biglietto di benvenuto: “Thank you for staying with us!”. Impareggiabile! E’ l’unico sincero commento che mi viene in mente.
Più per curiosità che per altro, apro il tiretto del mobile scrittoio. Con molta sorpresa vi trovo una Bibbia e una figurina di Gesù. Penso che in questo territorio la religione cattolica sia quella che conta molti proseliti, rispetto ad altre confessioni, e la dimostrazione tangibile è il fatto di aver notato sul percorso molte chiesette.
Dopo aver viaggiato per 305 miglia, non mi rimane altro che tentare di prender sonno, dopo la lunghissima cavalcata a bordo della mia fedele Electra Glide.​

Indian Reservation…tomorrow!

continua...
 
20 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

5ª Tappa – WINNER - HOT SPRINGS - 435 km
5 tappa.jpg

Stanotte ho dormito bene ma solo fino a quando sono stato svegliato dal fragore di un temporale che mi aveva buttato giù dal letto per guardare fuori dalla finestra: pioveva!
Tuttavia, nonostante l’ora e il buio che lentamente veniva sopraffatto dall’alba incombente, percepivo che il cattivo tempo si stava spostando verso est e questo, almeno, era un buon segno.
Approfitto per sistemarmi, mettere a posto i bagagli e ingannare in qualche modo il tempo perché penso che dovrò attendere almeno un paio d’ore prima di rimettermi in marcia.
Sono in fortissimo ritardo sulla mia tabella di marcia perché oggi avrei dovuto concludere l’itinerario turistico delle Black Hills e giungere in serata a Sturgis.
Quando smette di piovere, esco dalla camera per andare a fare comunella con i motociclisti, tutti intenti ad asciugare le moto e caricare i bagagli. Colloquiando con uno di loro apprendo che viene dal Tennesy; è un poliziotto della narcotici, ha una motocicletta Harley e per giunta il suo cognome, ironia della sorte, è Davidson: un’accoppiata decisamente perfetta!
Appena pronti, sono le otto e mezzo, mi salutano e partono tutti fragorosamente, nonostante cada una pioggerellina e la strada sia completamente bagnata: non hanno tempo da perdere perché il raduno è già iniziato. Per quel che mi riguarda, preferisco attendere che spiova completamente e che l’asfalto si asciughi almeno parzialmente.
vlcsnap-00003.jpg
Nell’attesa, vado a piedi al grande supermercato di fronte al motel per fare qualche rifornimento alimentare e comprare un tubetto di colla per sistemare in qualche modo il supporto della camera car che si è rotto due giorni fa mettendomi in sella.
Parcheggiato nel grande piazzale mi imbatto in qualcosa di stravagante, che avvalora la mia certezza che a Sturgis si va anche per metter in mostra il proprio mezzo di trasporto.
NDVD_068.JPG
Infatti, ciò che osservo è un massiccio triciclo Harley di colore rosso che ha sulla forcella anteriore, sotto il faro, due grandi corna di bue; sulla sella c’è una bianca pelliccia di pecora ma il pezzo forte sta nel carrello attaccato al gancio di traino posteriore. Si tratta di una casetta di legno, rossa, con tetto spiovente, frangiata alla base con striscette verdi per simulare l’erba, e un pupazzo del cartoon Barone Rosso sull’apice: è la dimora del cane al seguito!
La proprietaria del motel mi ha chiesto di chiudere la porta della camera lasciando però all’interno la chiave di accesso.
Lo so non è corretto, ma sono certo mi perdonerà se porterò con me, per protezione, l’immagine Sacra trovata nel comodino. La sostituirà certamente con un’altra che appagherà devotamente futuri clienti cattolici.
Alle dieci, tardi, parto sotto un cielo coperto ma senza pioggia e poco fuori del paese, a causa di lavori in corso, mi imbatto subito in una deviazione che mi porta obbligatoriamente a fare un fastidioso giro vizioso sulla SD-44, più a nord, prima di poter tornare sull’US 18 verso ovest.
Tornato finalmente sul tracciato originario, trovo un cartello stradale di benvenuto nel territorio della Riserva Indiana di Rosebud, una fra le più estese del Sud Dakota. Adesso le reminiscenze infantili, quando giocavamo agli indiani, si fanno strada nell’immaginario delle battaglie con archi e frecce combattute dai pellerossa contro i bianchi armati di fucili e usurpatori dei loro territori di caccia.
vlcsnap-00008.jpg
Gli indiani Sioux, ieri liberi, sono ora relegati in case prefabbricate e conteiners che, sparsi nella prateria, scorgo di tanto in tanto. Queste dimore sono squallide, povere, con qualche segno di paleria elettrica, di automobili vecchie e decrepite e di bambini intenti a giocare fra cumuli di oggetti in disuso. Posso anche immaginare la vita che conducono all’interno di queste supposte case dove tutto parla di condizioni assolutamente precarie e umili, favorite da disoccupazione, problemi sociali, assistenziali e quant’altro.
NDVD_021.JPG
Tutto questo, però, non sminuisce, immagino, la fierezza degli abitanti di appartenere ai popoli nativi che amavano grandemente “la madre terra” perché forniva loro la possibilità di cacciare, quale sostentamento, e la libertà non condizionata, fino all’arrivo dell’uomo bianco.
Quando organizzai l’itinerario di viaggio, il passaggio attraverso le riserve indiane fu intenzionalmente pianificato ed ora, realmente e con entusiasmo, mi sto dirigendo verso il territorio della Riserva Indiana di Pine Ridge che accoglie Sioux delle tribù Lakota e Oglala.
Sfortunatamente, l’epicentro di questa riserva è rappresentato da un luogo dove accadde una vicenda cruenta e ignobile perpetrata dai soldati americani nel dicembre del 1890: Wounded Knee.
Il luogo, annunciato da un cartello sulla statale, lo raggiungo dopo una deviazione e sette miglia di percorso.
Le condizioni meteo sono ora splendide, con cielo azzurro e poche nuvole bianche. In questo contesto sereno guardo con compassione, su una verde e piccola collina, il luogo che accoglie i resti umani del massacro di Wounded Knee. La vicenda è ricordata su un tabellone di ferro, fondo rosso e lettere bianche, posizionato proprio sul luogo dell’eccidio, non lontano dalla base dell’altura. Sinteticamente, riporto i fatti appresi.
vlcsnap-00012.jpg
"Il 28 dicembre 1890, senza combattere, Big Foot si arrese al 7° Cavalleria USA comandate dal Maggiore Whitesides presso un posto distante cinque miglia a norde la tribù fu poi condotta sotto scorta a Wounded Knee per la sistemazione della notte che incombeva. La mattina del 29 dicembre il Colonnello Forsythe prese il comando di una forza di 470 uomini e una batteria di quattro cannoni Hotchkiss fu posta sulla collina che dominava l’accampamento indiano composto da 106 guerrieri e 250 donne e bambini.
Agli indiani fu ordinato di cedere le armi prima di procedere per Pine Ridge e il Capitano Wallace, con un gruppo di soldati, iniziò a cercare armi nascoste nelle tende.
Ad un tratto, non si sa come e da chi, partì un colpo di fucile e si scatenò l'inferno.
Le truppe spararono una raffica mortale sui guerrieri uccidendo quasi la metà di loro. Seguì una lotta sanguinosa corpo a corpo, tanto più disperata in quanto gli indiani erano armati per lo più con mazze, coltelli e qualche pistola. I cannoni Hotchkiss spararono dalla collina uccidendo indiscriminatamente guerrieri, donne e bambini.
Un'ora più tardi, 146 uomini indiani, donne e bambini giacevano morti nella valle del Wounded Knee. I corpi di molti erano sparsi lungo una distanza di due miglia dalla scena dello scontro. Venti soldati dell’esercito perirono sul campo mentre sedici morirono in seguito per le ferite riportate. A causa di una bufera di neve, solo quattro giorni dopo l’eccidio gli indiani morti furono raccolti dai soldati e sepolti in una fossa comune in cima alla collina.
Il campo di battaglia Wounded Knee è il luogo dell'ultimo conflitto armato tra gli indiani Sioux e l'esercito degli Stati Uniti”

Dopo aver parcheggiato la moto, proseguo a piedi sul viottolo sterrato che conduce sulla collina. Il silenzio è assoluto e il paesaggio tutt’intorno è solo prateria, quasi priva di segni di vita come il cimitero che è stato eretto in cima all’altura.
Attorno al sacrario non c’è alcuna recinzione a meno dell’entrata composta da due colonne quadrate di mattoni bianchi e rossi sovrastate da un arco di ferro con sopra una piccola e semplice Croce.
Varco questo semplice passaggio trovando, subito dopo, una recinzione di rete metallica che delimita un rettangolo di terreno lungo 25 metri per 2 di larghezza: questa è la fossa comune nella quale furono sepolti uomini, donne e bambini uccisi dal fuoco dei soldati americani.
vlcsnap-00015.jpg
E’ veramente triste vedere questa spoglia e piatta dimora di poveri sventurati.
Sulla recinzione, soltanto pezzetti di stoffa colorata sventolano, accarezzati dal vento che semina preghiere per quanti sono lì sepolti, mentre nel mezzo di questa fossa comune si leva un cippo di marmo grigio con la seguente iscrizione:
Questo monumento è stato eretto dai parenti indiani superstiti dei Sioux Oglala e Cheyenne
in memoria del Capo Big Foot e della strage del 29 dicembre 1890
”.

Altre tombe di nativi sono collocate nei dintorni della collina, sotto la poca ombra di qualche basso alberello, in un terreno lasciato quasi volutamente sterile, ma certo non in abbandono o dimenticato. In fondo a questo cimitero, quasi a ricordare in qualche modo l’identità cattolica di quei poveri resti sepolti, c’è una piccola chiesa di legno sormontata da una Croce.
Insomma, ho poco da commentare in merito al trattamento subito dagli indiani nativi per la sete di conquista, per gli affaristi senza scrupoli, per la sottrazione indiscriminata di terre durante la corsa all’oro dei pionieri e della condotta di molti ufficiali dell’esercito americano desiderosi di far carriera a scapito di quei popoli quasi inermi.
Per ironia della sorte, il 7° Cavalleria presente a Wounded Knee era il medesimo che, al comando di Custer, aveva subito nel 1876 la cocente sconfitta a Little Bighorn da parte di Toro Seduto. Con la sola differenza, sostanziale, che lì si svolse una vera e propria battaglia, mentre a Wounded Knee si trattò di un massacro indiscriminato di uomini, donne e bambini.
Dall’alto della collina scorgo tre o quattro bancarelle con vendita di souvenir e mi reco per cercare qualcosa che possa interessarmi.
Dietro una delle bancarelle c’è un indiano Oglala che sta intrattenendo due turisti americani con la storia della vicenda, cercando inoltre di piazzare anche la sua mercanzia. Attendo, ma quasi mi spazientisco per il protrarsi della conversazione e inizio a pensare che forse sarebbe meglio non perdere tempo e lasciare il luogo. Comunque aspetto ancora un poco e finalmente posso dare un’occhiata agli oggetti che l’indiano ha da vendere sul banco e intavolare qualche conversazione.
vlcsnap-00022.jpg
L’Oglala incomincia a sfogliare un raccoglitore e a mostrarmi molte copie di fotografie in bianco e nero scattate subito dopo il verificarsi dell’evento tragico: le spoglie degli sventurati, fra cui quella di Big Foot, che giacevano in pose strane e irrigidite dal gelo perché composte solo quattro giorni dopo la battaglia; la fossa comune parzialmente riempita; il campo di battaglia dopo l’evento; i soldati che avevano partecipato alla sparatoria e molte altre immagini sull’argomento dell’eccidio.
Una fotografia, emblematica, ritrae il Generale L.W. Colby che ha in braccio una bambina Sioux Lakota di pochi mesi, scampata miracolosamente al massacro, che fu in seguito da lui adottata.
Altre fotografie, invece, attestano come questo posto sia diventato un luogo sacro, fungendo anche da richiamo, nell’anniversario, per cerimonie commemorative di indiani Sioux delle generazioni successive.
Nel frattempo, una donna indiana, forse la moglie, piuttosto grassa ma direi abbastanza giovane, volutamente disinteressata ai nostri colloqui e seduta in disparte all’ombra, sta confezionando alcune collane di perline di vetro. Dalla bancarella improvvisata, scelgo un paio di orecchini e un braccialetto di manifattura tipica indiana che l’uomo mi assicura essere di produzione artigianale propria. In più, un cerchietto con croce centrale e piccole penne d’uccello appese ai lati: la “ruota della medicina”, oggetto misterioso che simboleggia non tanto “la guarigione”, quanto il “potere della conoscenza”.

Pine Ridge dista 25 km; devo affrettarmi per raggiungerla, fare una sosta e ripartire alla volta di Hot Springs.
Percorrendo la statale che va in quella direzione, si susseguono sparpagliate molte case prefabbricate dove vivono indiani e avvicinandomi alla città quasi si compattano per formare un paese. Nell’incedere, mi attraversano la strada due ragazzi che cavalcano “a pelo” altrettanti cavalli, quasi stessero giocando, e poi arrivo nel centro cittadino. L’impressione è quella di essere giunto ad uno svincolo importante della US18.
In questa zona centrale di Pine Ridge c’è un traffico considerevole di enormi e rumorosi pick up, nonché un via vai incessante di persone. Tutto sembra gravitare attorno a un distributore di benzina Shell e al Big Bats, l’esercizio commerciale della stazione di servizio. Inoltre, sembra che a Pine Ridge non piova da mesi con tutta la polvere che si è accumulata sulle strade e che inevitabilmente e senza riguardi viene sollevata dai mezzi di trasporto che vi transitano.
Per curiosità, mi reco nel Big Bats. All’infuori di me, bianco, a cui peraltro nessuno fa caso, le persone presenti sono nativi Sioux della riserva. La corporatura è abbastanza imponente e spesso obesa, gli uomini. Le donne, invece, di norma acconciate con trecce, accompagnano bambini grassottelli che si trastullano con ingordigia tra patatine fritte e altra roba calorica.
All’interno del negozio non c’è aria condizionata e il calore, per me opprimente, attira inevitabilmente sciami di mosche alle quali nessuno bada. Questa condizione mi infastidisce non poco e quindi, dopo aver acquistato un gelato, vado a gustarmelo fuori, dall’altra parte della strada, sotto un albero che con la sua ombra stempera vagamente la calura pomeridiana.
Sul mio itinerario ho preso nota che non lontano da Pine Ridge, circa sette chilometri, c’è la tomba di un altro importante capo indiano: Nuvola Rossa.
Non attendo oltre e parto verso questo luogo che, strada facendo, si fa individuare, oltre che da un cartello che reca la scritta Red Cloud Indian School, anche e soprattutto dalla collina sulla cui cima svetta una grande croce. Svoltando sulla strada indicata, mi ritrovo quasi subito nel parcheggio di un collegio cattolico che ha una grande chiesa dedicata alla Madonna. Il luogo è ben curato, c’è molto verde, alberi d’alto fusto, un silenzio che invita alla meditazione e ospita scuole di primo e secondo grado per i giovani indiani. Una bacheca informa i visitatori che questo è l’unico collegio della riserva indiana di Pine Ridge. La missione di Red Cloud Indian School è un istituto gestito da Gesuiti e dal popolo Lakota.
Su una grande bacheca di ferro, di colore verde e simile a quella di Wounded Knee, sono narrate le gesta del leggendario capo Nuvola Rossa e quasi introduce al viottolo sterrato che porta sulla collinetta dove è sepolto.
Seguo l’acciottolato e dopo qualche minuto mi ritrovo in un cimitero indiano in fondo al quale c’è una bassa recinzione di tavole bianche con una panchina di ferro posta di fronte alla tomba di Nuvola Rossa. Una lastra di pietra e un cippo di marmo grigio, sormontato da una croce artisticamente lavorata, segnano il luogo in cui riposa. Accanto, solo una piccola croce bianca di legno indica la sepoltura della moglie Mary Oca Ze Win.
NDVD_073.JPG
Per la sepoltura, certo intenzionalmente, è stata scelta proprio questa zona della piccola collina: Red Cloud può dominare dall’alto e per sempre la grande prateria del Dakota accarezzata dal vento e attraversata dalle grandi mandrie di bisonti al pascolo.

Fino a questo momento la giornata non è stata avara di spunti nostalgici e gratificanti riguardo ai Sioux e appagato abbandono la collina di Nuvola Rossa e la riserva di Pine Ridge con l’intento di raggiungere quanto prima la città di Hot Spings, “la porta sud” di ingresso del Parco Nazionale delle Black Hills”.
Cento chilometri dalle nostre parti non sono poi tanti, potendosi distrarre in molte occasioni; nel Sud Dakota gli stessi chilometri sembrano molto di più se percorsi su una strada che offre solo prateria su prateria. Comunque, raggiungo Hot Springs, una città nata nel 1870 perché c’era abbondanza di acque termali e la sua prosperità è stata determinata, più tardi, dal turismo legato alla scoperta di un sito preistorico di Mammut. Inoltre, a soli undici chilometri più a nord c’è il Wind Cave National Park con le sue gallerie naturali sotterranee, le più estese del mondo.
Il Motel 6 dove sono diretto si trova poco prima di entrare in città e quando vi giungo trovo l’ampio parcheggio già occupato da numerosissime motociclette: brutto segno!
Infatti, alla reception mi chiedono se ho una prenotazione. Ovviamente no e quindi devo cercare altrove. Vado in centro, preso d’assalto da numerosi gruppi di motociclisti e nei pressi di un bel parco trovo l’albergo America Inn e tento la fortuna: la camera c’è, ma la stangata è 160 dollari per una notte!
Non sono affatto disposto a spendere quella cifra e neanche dieci in meno ad un altro albergo al quale ho chiesto dimora. Con tutti i motociclisti di passaggio diretti a Sturgis, gli albergatori fanno festa con prezzi a dismisura, certi di una sosta quasi obbligata.
Per me non è così e allora:
- primo: “footlong” al Subway e coca cola abbondante;
- secondo: ho capito che anche questa volta dovrò accamparmi sotto le stelle e il posto migliore e tranquillo sembra essere un boschetto vicino al grande parcheggio del Motel 6.
Tenda, mia dolce tenda!
Buona notte


continua…vlcsnap-00013.webp
 
Ultima modifica da un moderatore:
Conosco la storia di Wounded Knee una delle pagine più ignobili della storia delle "giacche blu"... Sembra (almeno così si racconta) che il colpo di fucile parti inavvertitamente ad un ragazzo indiano sordo che non aveva capito che avrebbe dovuto consegnare l'arma reagendo al soldato che tentava di portarglielo via.
 
Confermo "giada50", e la ritorsione del 7° Cavalleggeri, a causa di Little Bigorne, fu spietata causando un vero ignobile massacro.
 
21 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

6ª Tappa 1/3 – HOT SPRINGS - STURGIS - 250 km

6 Tappa.webp
Dormire sostelle, nonostante la condizione idilliaca di sentirsi parte dell’universo…. non è proprio comodissimo come dormire in un letto.
Avevo messo in conto che a Sturgis e dintorni non si potesse trovare posto negli alberghi a ridosso della settimana del raduno. Ora devo prendere atto che questo può accadere anche in un raggio di 200 km.
La guida turistica dal Dipartimento del Sud Dakota, riferendosi all’area delle Black Hills, prospettava un territorio vasto di 13.000 km² (molto più dell’intera nostra Basilicata) e non volevo perdermi alcun aspetto degno di nota.
La regione è ricca di alture che possono raggiungere anche i 2.000 metri ed è posizionata nella parte centrale delle Montagne Rocciose, la catena che si estende dal Sud Dakota fino allo Stato del Wayoming. E’ una vastità selvaggia e incontaminata di foreste di pini e abeti, laghetti alpini e grandi prati di montagna dove pascolano allo stato brado bisonti, orsi, alci, scoiattoli, marmotte e piccoli roditori soprannominati “cani della prateria”.
Black Hills è un Parco Nazionale che possiede al suo interno il Wind Cave Park con le gallerie sotterranee più estese del mondo e il Custer Park, uno territorio abbastanza ampio e definito per il pascolo selvaggio delle mandrie di bisonti. Come corollario, quasi ce ne fosse bisogno, possiede due bellissime strade panoramiche, la Iron Road e la Needless Scenic Road, molti laghetti alpini, aree di relax invidiabili e città di interesse turistico rilevante come Keystone, Custer City e Hill City.
Come se tutto questo non bastasse, c’è Mount Rushmore, il polo turistico preminente, richiamo tutto l’anno per milioni di visitatori, al pari dell’altro monumento nascente, già in fase di realizzazione avanzata, dedicato al capo indiano Crazy Horse, alias Cavallo Pazzo.
A causa del sostanzioso ritardo accumulato nella mia tabella di marcia, devo giocoforza modificare parzialmente il percorso per adeguarlo nel miglior modo possibile all’attraversamento del Parco delle Black Hills. Desidero, per quanto possibile, non perdermi paesaggi e luoghi spettacolari che avevo preso in considerazione preparando il viaggio.
Pertanto, faccio il punto della situazione decidendo quanto segue:
- percorrere Black Hills verso nord sulle panoramiche Playhouse Road e Iron Mountain Road;
- visitare Rushmore, proseguire per le Needless e poi andare a vedere Crazy Horse;
- raggiungere Hill City per concludere l’itinerario paesaggistico;
- proseguire, nel pomeriggio inoltrato, per giungere a Sturgis.
Ciò che rimarrà fuori, e mi dispiace fortemente, sono le grotte sotterranee di Wind Cave perché aprono purtroppo alle nove di mattina e la visita dura più di due ore; la città di Custer City e, parzialmente, la strada panoramica Needless Highway.
Purtroppo… non si può avere tutto!

E’ ancora buio, sono irrequieto per non aver riposato bene e mi preme far colazione.
Le serrande della stazione di servizio Shell vicino al Motel sono ancora abbassate nonostante l’ora di apertura dell’esercizio sia indicato alle 6, quella che segna il mio orologio in questo momento. Strano, perché gli americani sono sempre puntuali.
Attendo, ma la stazione continua a restare irrimediabilmente chiusa. Mi aggiro nei dintorni sperando di trovare qualche bar, ma niente. Ritorno alla Shell e scorgo un signore, che mi sembra l’addetto alle pompe di benzina, che inizia ad aprire i locali. Mi affretto ad entrare e la prima cosa che noto è un orologio a parete che segna le 6 e 10; guardo il mio Oregon: le 7 e 10.
Solo adesso mi rendo conto che, viaggiando nel Sud Dakota, verso ovest, ho guadagnato un’ora con il cambio di un altro fuso orario. A quest’ora, una buona cioccolata calda con biscotti è tutto quello che mi serve per andare oltre, verso Custer Park.
Mentre il sole sorge nel Parco delle Black Hills, sono subito ripagato dalla presenza di un enorme bisonte solitario che, vagando nella prateria, attraversa tranquillo e impassibile la strada che sto percorrendo.
NDVD_207.webp
Non credo ai miei occhi: desideravo fortemente vedere questi enormi e mansueti abitanti delle praterie e questo incontro ravvicinato è sicuramente un evento. Scendo dalla moto e, restando a distanza di sicurezza, mi avvicino con cautela al bisonte: filmo, fotografo e riparto pieno di entusiasmante soddisfazione.
Impiego solo qualche minuto di percorso e devo nuovamente parcheggiare la moto sul bordo della strada perché trovo davanti a me un’intera mandria di bisonti che si sta spostando in cerca di erba fresca, in uno scenario che mi rimanda a immagini viste nel film “Balla con i lupi”, con la differenza che questa è pura realtà.
NDVD_208.webp
Sono emozionato e forse anche fortunato, sapendo già che l’avvistamento dei bisonti è molto più probabile nelle primissime ore del mattino e al tramonto.
Tuttavia, ciò che rende ancor più spettacolare l’avvenimento, in questo momento, sono i raggi radenti del sole che, velati da sbuffi di polvere leggera che si solleva al passaggio, esaltano il lento incedere della mandria selvaggia nell’ondulata, libera e smisurata prateria, mentre il richiamo cupo del capo branco invita perentoriamente a proseguire.
Fra me, abbozzo un sorriso di compiacimento e contentezza, ripartendo con la mia fedele Electra Glide, mentre si avvicendano banchine panoramiche, accuratamente posizionate, dove non posso fare a meno di fermarmi ogni cinque minuti: devo obbligatoriamente scendere dalla moto, filmare o fotografare l’ambiente selvaggio e incontaminato del parco che si schiude sotto il bellissimo cielo azzurro del mattino.
NDVD_216.webp
Un cippo annuncia l’ingresso nel Custer Park e anche qui sono subito ripagato dall’apparizione in mezzo alla strada di alcuni cervi che, liberi e in atteggiamento interlocutorio, quasi avessi violato la loro privacy, mi osservano.
NDVD_215.webp
Il parco è un susseguirsi di magnifiche pinete, prati verdi e fauna selvaggia, che per confine hanno orizzonti non lontani punteggiati da cime di montagne che sembrano essere state messe a guardia di tutto il paesaggio sottostante.
Le opportunità escursionistiche sono infinite, al pari delle aree di campeggio o relax che incontro e nelle quali mi piacerebbe sostare per giorni, assaporando così il vero e pieno contatto con la natura selvaggia che mi circonda.
Purtroppo, nonostante le piacevoli e frequenti soste, sono sempre costretto, dai tempi che ho disponibili, a ripartire verso altri luoghi, di certo non meno interessanti.
Percorrendo la US-87 giungo al casello di ingresso a pagamento della Wildlife Road, una carrozzabile che fa un percorso ad anello nel cuore del Custer Park.
Questa zona del parco è un territorio delimitato dove è più facile incontrare mandrie di bisonti al pascolo, ma occorrerebbero almeno due ore per fare il giro completo che si conclude quindici miglia a est del punto di partenza. Avendo già visto i bisonti da vicino, soprassiedo, guadagnando tempo prezioso. Mi concedo solo una fotografia con la simpatica ranger di servizio, con cappello bianco a larghe tese, che mi invita a darle dieci dollari perché, così capisco, non farò la coda ad altri caselli a pagamento presenti nelle Black Hills. Accetto e lei perentoriamente ripone i biglietti verdi in un marsupio e mi attacca al polso un braccialetto rosso di plastica: il “lasciapassare”!
NDVD_217 BIS.webp
La strada abbandona questo tratto di prateria, si insinua fra pini e abeti verdissimi e dopo appena due chilometri mi devo ancora fermare.
Al diavolo il rispetto dei tempi perché l’area del Camping Blue Bell, con casette per alloggiare, è assolutamente stupenda, inserita com’è nel bosco: piccoli prati, panche e tavoli per picnic all’occorrenza, una pompa di benzina e un negozio “general store” per vivande e souvenir.
NDVD_218.webp
Situazione incantevole, a dir poco.
Altri cinque chilometri e devo per forza fermarmi in un’area panoramica dove, con altri motociclisti, osservo dall’alto il bellissimo panorama del paesaggio di verdi colline e montagne poco lontane sotto le quali si intravede il Monte Rushmore.
NDVD_224.webp
E come se questo non bastasse, bellissime marmotte nel loro ambiente naturale si mettono in posa…a voler salutare.
NDVD_219.webp
Fra boschi di abeti bellissimi, assaporo maggiormente l’incedere viaggiando piano sulla tranquilla e poco trafficata strada panoramica fin quando giungo al cartello stradale che mi indirizza verso Legion Lake - 2 km - e Rushmore - 40 km. Il lago è bellissimo, azzurro, incastonato fra i boschi e l’area attrezzata con alloggi tipo cottage o chalet di montagna non è da meno.
NDVD_220.webp
Sto percorrendo la Pleyhouse Road, fitta di foreste su ambedue i lati, fino a quando sfocio in un vasto pianoro erboso con un campeggio celato sotto moltissimi abeti. E’ un luogo magnifico, ma devo proseguire sulla Iron Mountain Road, una panoramica avvincente ricca di stimoli notevoli fino a Rushmore.​

continua…
 
22 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

6ª Tappa 2/3 – HOT SPRINGS - STURGIS - 250 km

La Iron Road è una strada scenografica ideata e fatta costruire nel 1920 da Peter Norbeck, senatore americano, nell’intento di preservare la natura selvaggia del territorio e permettere al maggior numero possibile di persone, allo stesso tempo, di potervi accedere per ammirarlo.
La strada, non molto larga e in salita verso la città di Keystone, la percorro lentamente per apprezzare maggiormente il paesaggio di montagna e il profumo dei pini ponderosa che addensa l’aria. Molti riders mi sorpassano o mi vengono incontro con le rombanti Harley a scarico libero e quando arrivo ai “pigtail”, famosi e bellissimi ponti di legno a forma di cavatappi che permettono di connettere i dislivelli della strada, il divertimento delle curve in moto è un piacere di guida assicurato.
NDVD_229.webp

Su uno di questi ponti, trovo una banchina di sosta con veduta panoramica proprio accanto a uno dei famosi tunnel, scavati nel granito della montagna, che permette di scorgere appieno le facce dei Presidenti scolpiti sul Monte Rushmore.
Sono sbalordito e mi fermo come molti altri perché questa volta il divertimento è dato dal passaggio, sotto la stretta e bassa galleria, di motociclisti che con i fari accesi e il loro sorriso stampato sul viso salutano allegramente.
NDVD_227.webp
Le condizioni meteo sono splendide, non è da meno una temperatura gradevole. Man mano che proseguo, giungo al secondo tunnel al di là del quale una piccola area di sosta permette di osservare dall’alto e nel migliore dei modi la scenografica montagna dove sembrano quasi stampate le grigie e granitiche facce dei quattro presidenti. americani
La bellissima Iron Road termina a un incrocio dove a destra si può proseguire verso Keystone e a sinistra verso Rushmore.
Svolto decisamente a sinistra assieme a molti altri motociclisti e solo dopo due chilometri raggiungo il sito per eccellenza delle Black Hills: Mount Rushmore Memorial Monument, la scultura celebrativa più sorprendente degli Stati Uniti e forse del mondo.
Sul fianco della montagna sono stati scolpiti nella roccia, a forza di martelli pneumatici, i volti di Gorge Washington, Tomas Jefferson, Abramo Lincoln e Teodoro Roosevelt.
Le effigi sono alte più di venti metri e già dal punto in cui mi trovo sembrano ciclopiche. Non per nulla hanno richiesto un duro lavoro durato quattordici anni, dal 1927 al 1941.
NDVD_231.webp

Decido di non entrare nel Parco perché impiegherei almeno due ore di tempo che posso sfruttare meglio. In ogni caso, lo scenario è già bellissimo se lo guardo dal mio parcheggio. Come me, centinaia di motociclisti sostano sul bordo della strada per immortalare con scatti fotografici questo show granitico, complice la giornata bellissima con il cielo azzurro che fa da sfondo a un monumento grandioso.
Più avanti, aggirando il sito, i motociclisti sono tutti lì parcheggiati all’ombra ad ammirare, da una posizione strategica, certamente la migliore possibile, il profilo magnifico e autorevole di Washington illuminato dal sole alto di mezzogiorno.
00016.webp

Sono arcicontento e ripagato dall’essere giunto fin qui con fatica e qualche difficoltà, per aver visto, almeno fino a questo momento e dal vero, quasi tutto quello che avevo immaginato nel mio programma di viaggio.
E’ già passato mezzogiorno quando riparto per andare a percorrere un’altra strada scenografica che non voglio perdermi e che dista solo 25 chilometri: la Needless Highway.
Viaggiando fra boschi di pini con un’andatura rilassante, con la quale curvare in moto è un vero piacere, lascio sulla destra un altro lago, con immancabile area di relax attrezzata e degna di trattenersi almeno qualche giorno: Horse Thief Lake.
Come se non bastasse, più avanti, trovo il meraviglioso camping Koa, immerso in una grande area di prati e boschi di pini, dove entrano ed escono motociclisti che di questo posto hanno fatto la base per le escursioni nelle Black Hills.​
Infine, giungo a un bivio che porta a destra verso Hill City e a sinistra verso Custer City, Silvan Lake e Needless. Apro un po’ il gas e mi inoltro a sinistra sulla bellissima strada panoramica curvilinea e piacevolissima, dirigendomi verso il lago e il territorio delle needless” (aghi).
Impossibile descrivere la bellezza selvaggia del paesaggio granitico, inframmezzato da pini e abeti rossi, osservato da piazzole di sosta situate in punti nevralgici: bisogna esserci!
Se necessita di fermarsi più a lungo, non c’è di meglio dell’incantevole Silvan Lake. Circondato da colline, pini e blocchi di granito di grandi dimensioni è un pittoresco e bellissimo laghetto alpino situato alla base di Harney Peak, la vetta più alta delle Black Hills. Oltre ai molti sentieri escursionistici, il lago è perfetto anche per fare rinfrescarti bagni in estate.
Giunto sulle sponde del lago, trovo il parcheggio affollato, a dir poco e non esagero, da più di un centinaio di bikers.
NDVD_238.webp
E’ ora di pranzo e sale nell’aria anche l’aroma inconsueto dei salsicciotti messi a cuocere sulla brace e poi gustati da allegre comitive con l’immancabile birra Budweiser, da bere rigorosamente dalla bottiglia.
Mi incammino lungo una sponda del lago per godermi questo posto stupendo e inaspettato. Piacevolmente, guardo un piccolo pontile dove stanno dirigendosi, per approdare, due canoe con a bordo quattro ragazze che hanno terminato di navigare dolcemente sull’acqua a specchio, calma e azzurra.
00019.webp
I grandi massi di granito, posti a semicerchio, sembrano emergere dalle acque limpide, quasi fossero stati messi a difendere e a delimitare le sponde in una scenografia da cartolina.
Silvan Lake è definito dalla guida delle Black Hills come il più bello del Custer Park e senza dubbio, meriterebbe una intera giornata di pace e tranquillità. Se fosse possibile, pianterei anche la tenda per passarci la notte in una situazione veramente speciale.
Di speciale, comunque, c’è ancora altro da vedere perché poco oltre il lago c’è il luogo più “gettonato” ddella strada panoramica: Needles Tunnel Eye.
Centinaia di altissime e appuntite rocce di granito sembrano nate dal terreno per stupire quanti le osservano e di tanto in tanto permettono di passare, da parte a parte, solo attraverso strettissimi tunnel dove a mala pena può transitare una macchina per volta.

NDVD_246.webp
Giungo a una banchina con una balconata panoramica di legno, parcheggio e scendo dalla moto per ammirare le spettacolari guglie di granito. Alla base di una di queste mi soffermo a leggere una tavola illustrativa con la spiegazione geologica delle formazioni.
Guardando in alto, vedo benissimo ciò che è stato creato nel corso dei millenni: la “needles eye” una guglia di granito con un foro spettacolare simile alla “cruna d’ago”, da cui prende nome e grandioso emblema del territorio circostante. Dalla balconata poi, il colpo d’occhio sulle Needless è assolutamente indimenticabile.
La piazzetta, specialmente in estate e a causa del rally, è anche luogo di attesa del senso unico alternato per transitare attraverso uno strettissimo passaggio scavato fra le guglie di granito e passare oltre: il trafficatissimo Needles Tunnel Eye.
NDVD 246 bis.webp
Rombanti motociclette a scarico libero dappertutto; un andirivieni senza fine e frenetico davanti all’ingresso del tunnel, presidiato in modo allegro da personale di servizio che per mezzo di un grande segnale rosso di “Stop & Go”, dirige il traffico per il passaggio lungo la stretta fenditura rocciosa.
Sembra che questo sistema sia assai divertente e quando il personale ci dà via libera, mi intrufolo anch’io transitando lentamente assieme ad altri motociclisti sotto questo speciale “foro suggestivo”, buio, stretto e lungo qualche decina di metri: veramente incredibile!
Stessa scena dalla parte in cui esco, solo che la piazzola di sosta è molto più grande e trafficata da motociclisti e….motocicliste che nonostante l’aria frizzante sono tutte in decoltè, braccia completamente scoperte e striminzite magliette.
Sembra che le ragazze, con le braccia nude e stese a tenere ben saldo l’alto manubrio a corna di bue, non abbiano difficoltà alcuna nel governare le pesanti Harley. Penso che non siano nemmeno particolarmente intimorite dal clima abbastanza pungente e dal vento della corsa che le lascia completamente esposte, senza un parabrezza di riparo.
Gli uomini, invece, sono quasi tutti in maglietta e gilet di pelle che a mala pena proteggono; immancabili blu jeans con catenelle, cinture superdimensionate e stivaletti con tacco alto.
Non ho visto altre marche di moto all’infuori di quelle Harley e per giunta nessuna di queste era simile all’altra per i colori, le ruote, il telaio, le cromature e i manubri. Una sola cosa valeva per tutte: la testata dei due cilindri!
Tuttavia, la regola fondamentale per uomini e donne è sempre la medesima: viaggiare senza casco e capelli al vento!
Indugio molto nella piazzola, conquistato piacevolmente da questo luogo unico popolato dalle sconvolgenti e frastagliate forme di granito che vento, pioggia e ghiaccio hanno contribuito a plasmare erodendo, scavando la pietra e assegnando loro una forma appuntita inusuale, nel corso di milioni di anni. Penso anche al modo con cui la natura sia in grado di stupire con forme, colori e molto altro ancora coloro che sanno apprezzarla e soprattutto salvaguardarla.
Il tempo è tiranno e non posso spingermi oltre sulla Needles Hwy. Pertanto, devo tornare indietro perché desidero andare a vedere il luogo dove sta nascendo il monumento a Crazy Horse. Dista circa un’ora, sulla strada per Custer City, e quando sono sul posto decido di non addentrarmi nel sito perché mi rimane poco tempo prezioso: sono lontano 137 km da Sturgis che devo raggiungere assolutamente prima di sera.
Comunque, dalla strada che corre a poca distanza dal sito, la sagoma del Crazy Horse Memorial si distingue perfettamente e, maggiormente, il volto di Cavallo Pazzo.
vlcsnap-00018.webp

A forza di ruspe, martelli pneumatici e cariche esplosive, una fondazione di nativi americani sta cercando di realizzare un sogno. Nel lontano 1948 i nativi Sioux decisero di edificare, proprio nelle Black Hills e quasi a dispetto di Rushmore, una colossale struttura equestre, alta 172 metri e lunga 195, raffigurante il mitico capo indiano Cavallo Pazzo, vincitore assieme a Toro Seduto della battaglia di Little Bighorn contro il colonnello Custer.

Per ora, del personaggio a cavallo, come ho visto, c’è solo il viso ma, una volta terminata, questa opera gigantesca diventerà la più grande scultura del mondo, doppiamente enorme e strabiliante rispetto a Rushmore, e rappresenterà per sempre l’orgoglio della nazione Sioux.
Ancora una volta devo tornare sui miei passi, a nord, verso Hill City che trovo carina, abbastanza western e non a caso, per la sua posizione strategica, definita “il cuore delle Black Hills”. La strada principale che taglia la città perpendicolarmente è affollata a destra e a sinistra di bassi edifici di legno con tetto spiovente, per lo più negozi che vendono per i turisti.
Le occasioni per divertirsi sono molte e l’attrazione più in voga è il viaggio di andata e ritorno a Custer City su un autentico treno a vapore del 1880, fermo nella stazione “old west”.
vlcsnap-00022.webp
Mi sarebbe piaciuta questa passeggiata, ma purtroppo mi devo accontentare di panino e coca cola al primo Subway che incontro. Per riposarmi mi accomodo sulla veranda e guardo le numerosissime motociclette che transitano sulla strada con un frastuono e un andirivieni incredibile.​

continua…
 
Molti di questi panorami mozzafiato del Sud Dakota li ho persi, nonostante sia passata lì vicino. Che nostalgia!
 
Beh, almeno al Monte Rushmore hai trovato bel tempo che ti ha permesso di godere appieno di quella meraviglia.

p.s. La locomotiva nella foto è una "Prairie 2-6-2" dell'inizio del 900. "Praire" sta per "Prateria" ed i numeri 2-6-2 indicano la posizione delle ruote cioè 2 ruote principali, 6 ruote motrici accoppiate e 2 ruote posteriori. (appassionato di treni :ROFLMAO: )
 
Le condizioni meteo sono sempre state eccellenti, a meno di qualche trasferimento, e non ho potuto lamentarmi. Copmlimenti "giada50" per l'inciso sulla locomotiva!
 
22 - seguito Electra Glide in Blue to Sturgis

6ª Tappa 3/3 - STURGIS

Copia di LOGO STURGIS 2013.webp
Dopo essermi rilassato per il tempo necessario A Hill City, riparto questa volta con l’unica e ultima meta della tappa odierna: Sturgis!
La US 385 sale decisamente verso nord in un paesaggio splendido di abeti, pini, prati e “dispettose” aree di sosta che quasi ti ingiungono di fermarti, passando lungo due bellissimi laghi che incontro per strada: Sheridan Lake e Pacatola Lake.
NDVD_251.webp

Non mi faccio sedurre troppo, e vado avanti fino a una deviazione che mi permetterà di percorrere, in seguito, la Nemo Road, una bella strada fra i boschi, percorsa da molti motociclisti diretti a Sturgis, a ragione anche di numerosi campeggi presenti in zona.
Il problema è che non riesco a trovare l’indicazione stradale, incluso il fatto di non aver controllato il mio road book e i mie appunti. Vado su e giù perdendo tempo fino a quando arrivo nei sobborghi di una città. Francamente non so dove mi trovo, ma dopo aver fatto benzina scopro di essere arrivato nientemeno che a Rapid City: proprio il contrario di quello che desideravo fare!
Comunque, mancano appena cinquanta chilometri alla mia meta; mi dirigo prontamente sull’autostrada 90 e poi, per sgranchirmi un po’, mi fermo in un’area di sosta e osservo il via vai del traffico. Le corsie dell’autostrada, nel senso di marcia verso nord, sono letteralmente prese d’assalto da motociclisti il cui flusso è frenetico e senza soluzione di continuità. Inoltre, pur trovandomi a discreta distanza, il rombo degli scarichi liberi è assordante e mi fa già presagire ciò che piacevolmente troverò al raduno.
vlcsnap-00028.webp

Mi infilo nel traffico, con la fedele Electra Glide, che mi ha assecondato benissimo, per percorrere gli ultimi 16 chilometri che coronano il mio sogno.
Non bado più a nulla, salvo avvistare l’uscita 32, quasi un miraggio. Quando infine la raggiungo ed esco dall’autostrada, mi ritrovo poco dopo vicino alla fatidica e grande bacheca che recita: “Welcome to Legendary STURGIS City of Riders”.
NDVD_254.webp
Questo momento è la degna conclusione di una giornata fantastica e, cosa molto più importante, l’avverarsi, finalmente, di un sogno accarezzato per tutta la vita. La gioia di aver raggiunto felicemente la mia meta è, non a caso, al culmine!
La circostanza ha certamente bisogno di essere immortalata con una foto. Mi basta fare un cenno a due motociclisti che immediatamente capiscono la situazione e mi ritraggono davanti alla bacheca, accanto alla motocicletta Electra Glide in Blue su cui sventola, con mio evidente entusiasmo, il “tricolore” della bandiera italiana.
E’ superfluo sottolineare che le motociclette sono dappertutto: è un’invasione pacifica e rumorosissima che non ha eguali e mi trovo appena in periferia del paese. Infatti, quando giungo nella main street, il corso principale, il contesto sembra un “caos motociclistico” perfettamente organizzato.
NDVD_257.webp
La lunghissima arteria principale del paese è esageratamente stracolma di motociclette. E’ qualcosa di inverosimile: una bolgia fantastica di colori, cromature e rombi di scarichi liberi che, per tutti è soltanto “musica” da ascoltare, apprezzare e condividere, aprendo la manopola dell’acceleratore per mandare a tutto gas i poderosi bicilindrici Harley.
Il corso è lungo due chilometri e al centro delle due corsie di marcia, interrotte solo da incroci, sono parcheggiate due file interminabili di moto poste una di fronte all’altra. Medesimo parcheggio lungo i marciapiedi sui quali c’è una moltitudine sovrabbondante di riders a spasso che si sposta fra padiglioni, negozi, fast food, saloon e attrazioni per tutti.
Un pezzettino della strada, simile a un corridoio, è il solo luogo lasciato libero per permettere la circolazione delle moto in entrambi i sensi.
Sono immerso nel “clou” del 73° Motorcycle Rally di Sturgis e la cosa mi elettrizza molto.​
E qual'è il divertente passatempo più caro a tutti i motociclisti che giungono a Sturgis?
Guidare la moto parecchie volte su e giù nella main street, lentamente, dando ogni tanto qualche sgasata per enfatizzare la propria presenza con l’assordante rombo del motore Harley-Davidson.
NDVD_263.webp

Il transito dei mezzi è ininterrotto e, da motociclista, devo dire apertamente che è uno spettacolo che mi eccita, mi stupisce e mi inorgoglisce per il fatto che con la mia Electra Glide ci sono anch’io!
Devo approfittare e guido nella main street, cercando e sperando di trovare un posto libero dove parcheggiare.
Appena ne avvisto uno in questa bolgia esagerata di moto mi ci infilo perentoriamente.
NDVD_258.webp
Quasi sotto il grande striscione “Welcome Riders!”, appeso in alto da parte a parte sul corso, la mia Electra Glide posa tranquilla e luccicante dopo aver percorso, fin qui, ben oltre 2.400 chilometri senza darmi alcuna preoccupazione: le devo essere particolarmente grato!
734 RALLY.webp

Dopo questa lunghissima giornata entusiasmante che mi ha visto percorrere in lungo e in largo le Black Hills con i suoi meravigliosi paesaggi, le strade panoramiche, laghi e luoghi di eccellenza ho un ultimo compito: sistemare la tenda prima che faccia buio.​
Ho scelto il campeggio Hog Heaven perché è quello più vicino al paese che mi permette di raggiungerlo anche a piedi.
Questa volta la guida mi aiuta nel compito e nei pressi di un McDonald’s, trovo una bacheca uguale a quella che ho incontrato quando sono arrivato in città da sud/est, posizionata strategicamente per dare il benvenuto a quanti giungono da nord/ovest.
NDVD_259.webp
Il camping è a non più di due chilometri e mi sbrigo in un attimo a guadagnarlo, passando sotto un ponte autostradale. Al gabbiotto dell’entrata una signorina mi chiede quanti giorni devo trattenermi, cosa che al momento non posso stabilire, e allora pago trenta dollari per una sola notte.
Il camping è animato e affollato ma gli spazi a disposizione sono talmente ampi che trovo subito un posto dove piazzare la tenda.​
In questo momento la stanchezza mi assale: la giornata è stata lunghissima, gratificante, ricca di sensazioni piacevoli e di molti chilometri entusiasmanti sulla mia Electra Glide, parcheggiata ora in meritata sosta accanto alla tenda che ho già montata.
vlcsnap-00005.webp

Ho conservato metà del footlong comprato al Subway di Hill City; lo mangio e poi mi infilo sotto la tenda, nel mio sacco a pelo per dormire…a Sturgis!

A very wondeful day!

continua…
 
Top