Ieri sera era un po’ tardi quando ho piazzato la tenda e stamani, dopo aver passato una notte tranquilla, me la ritrovo in pieno sole sotto i suoi raggi piacevolmente caldi.
Metto il naso fuori dal mio riparo in un silenzio inverosimile; guardo il cielo sgombro di nuvole e siccome la temperatura è abbastanza gradevole penso che sia la premessa per un’altra giornata da trascorrere intensamente.
Me ne sto tranquillo nel sacco a pelo a pensare come potrei sfruttare il poco tempo che ho disponibile per vivere al meglio il Raduno, già in pieno svolgimento. Avevo messo in conto di pernottare a Sturgis lunedì sera, di dedicare due giorni completi al raduno, più tutta la mattinata di giovedì e partire il pomeriggio per il viaggio di ritorno. Purtroppo, oggi è già mercoledì e a causa delle vicissitudini legate alle condizioni meteorologiche di qualche giorno fa me ne rimane solo uno da sfruttare appieno.
Quindi, risolvo la questione in questo modo: decido di dedicare tutta la giornata odierna al raduno, andando a piedi in città, così non ho il problema di lasciare incustodita la moto chissà dove; domani invece, andrò a visitare
Deadwood, distante appena venti chilometri, mentre al ritorno rimarrò il pomeriggio a Sturgis, prima di prendere la strada del ritorno e far tappa per pernottare nella cittadina di
Wall.
Fa decisamente caldo nella tenda, piazzata così com’è sotto il sole, e visto che c’è abbondante spazio verde, cerco di spostarla all’ombra di un grande albero. Operazione facile quella di cambiar posto alla tenda, non altrettanto quella di spostare a mano la pesantissima Harley. L’impresa si rivela difficile, se non impossibile e mi astengo in ogni caso di metterla in moto per non disturbare il vicinato. Tuttavia, mentre mi sto cimentando nel secondo tentativo, ecco che accade la cosa più strana e impensabile. Un dirimpettaio, accampato anch’egli in una tenda molto più grande della mia, vedendomi in difficoltà, viene in soccorso e assieme risolviamo la faccenda sistemando la motocicletta accanto mia alla tenda.
Il “buon samaritano” ha notato la bandierina italiana che svetta sull’asta dell’antenna radio e così comincia a parlare in italiano. Sono sbalordito, meravigliato e stento a credere che dopo giorni e giorni che non proferisco parola nella mia lingua, mi si presenta un’occasione che non posso non cogliere al volo.
Il motociclista si chiama Antonio, è messicano e lavora in un ristorante di San Francisco il cui proprietario è italiano. Mi chiede se desidero parlare telefonicamente con questo suo datore di lavoro e non so sottrarmi a questa ulteriore opportunità che mi è data da questa bella coincidenza.
Il “messicano” lo chiama in California e gli dice che a Sturgis ha incontrato un italiano, che è lì presente e mi passa il cellulare perché inizi la conversazione. Insomma, appena saluto l’interlocutore, resto assolutamente esterrefatto nel constatare, dall’altro capo del telefono, un sentimento di gioia palpabile e un “accento” che non mi giunge nuovo: il connazionale si chiama Enzo ed è di Bari!
Conversando, gli dico che sono di un paese vicino e mentre lui è doppiamente felice perché mi enuncia cognomi di paesani che sono suoi amici, io sono doppiamente stupito da queste combinazioni fortuite che capitano ogni tanto nella vita.
Quasi al termine della telefonata, il conterraneo mi chiede l’indirizzo ed lo scrivo volentieri sul taccuino del messicano, meditando che, un giorno o l’altro, “Enzo di Bari” me lo ritroverò sotto casa.
Ancora una volta devo pendere atto che nei viaggi le piacevoli sorprese non mancano mai!
Dopo questo interessante e gradevole inizio di giornata è ora di andare in città per godermi il raduno motociclistico, per “fare spese”, per soddisfare le mie esigenze alimentari al McDonald’s e per trovare finalmente un ufficio postale dal quale spedire le cartoline ai miei amici.
Lascio la moto a riposare e mi incammino osservando prima di tutto che il campeggio
Hog Heaven non è particolarmente affollato, ma penso che dipenda dalla grande estensione degli spazi disponibili. Dista in linea d’aria solo mezzo chilometro da “
down town Sturgis” ma, per via dei binari ferroviari e dell’autostrada 90 che si frappongono, mi tocca aggirarli e percorrerne almeno due per arrivare in città.
Comunque, dopo un quarto d’ora di cammino giungo a un incrocio a T che mi sembra un punto assai nevralgico. Infatti, andando a destra si può prendere l’autostrada; passando sotto il cavalcavia, si può andare in città; svoltando a sinistra, invece, la US-14 conduce a
Deadwood.
Perfetta quest’ultima indicazione quando domani andrò in quella città.
In questo settore cittadino la quantità di traffico di motociclette è smisurata; ci sono molti motel tipo Super 8 e Days Inn; nelle aree circostanti grandi gazebo messi ad arte in occasione del rally per soddisfare l’esigenza alimentare e lo
shopping. Una stazione di servizio Conoco, con annessa attività commerciale e affollata da motociclisti intenti a far rifornimento, fa la sua parte nel contesto economico.
Passo proprio nel bel mezzo delle pompe di carburante e vicino a un muro del fabbricato una “cosa” stranissima attira il mio sguardo e subito medito che il mezzo di trasporto che sto osservando dovrebbe essere etichettato in questo modo: “
Frankenstein Motorcycle”!
Infatti, questa “cosa” sembra un mostro partorito a seguito di un rapporto incestuoso fra un’automobile e una motocicletta.
Il motore è un V8 350 Chevrolet di 5,7 litri di cilindrata, appoggiato su un telaio di tubi quadri; due marmittoni a scarico libero per bancata; il radiatore è più grande di quelli dell’aria condizionata; il grande filtro dell’aria nasconde sotto di se un carburatore quadricorpo; la ruota anteriore è piccola e senza sistema frenante; la forcella, doppia e striminzita, ha alla sommità una piastra da cui si allungano, per un metro e mezzo verso il guidatore, due barre di tondino di ferro che terminano al manubrio che funziona da sterzo; un parabrezza di plexiglass per protezione e due altoparlanti per ascoltare la musica, attaccati ai bracci del manubrio; il pannello di controllo ha 7 strumenti circolari e varie spie dislocate a caso, la chiave di accensione e l’autoradio; una leva laterale comanda la trasmissione; due posti, uno dietro l’altro, sul supporto del ponte posteriore; due parafanghi adeguatamente dimensionati alle ruote posteriori che sono larghe quanto quelle di Formula 1; il bagaglio può essere stivato in una cassa di alluminio mandorlato posta sul retrotreno e non mi è parso di vedere la ruota di scorta.
Dopo questa visione “
horror” entro nell’esercizio commerciale che, fra l’altro, vende soprattutto magliette del raduno: ne individuo due o tre, ma mi riservo di comprarle se non trovo di meglio.
Passo anche da McDonald’s per vedere cosa c’è di buono da mangiare e mentre ieri la zona era affollata, oggi lo è ancora di più. Infatti, proprio da qui transitano tutti coloro che vogliono andare nella “
main street”, nella parallela
Lazalle Street e in tutti gli altri isolati di Sturgis. Questo luogo è il posto ideale dove meglio si può misurare dal vivo l’affluenza del mezzo milione di “
riders” che vengono al raduno.
Lateralmente alla zona parcheggio del McDonald’s c’è la piazzetta con il bar
Sturgis Coffee e la grande bacheca di “benvenuto” dove ieri pomeriggio mi sono fermato per fare una fotografia alla mia Electra Glide. Di fronte e dall’altra parte della strada, c’è un grande distributore di carburante con annessa un’altrettanto estesa area di servizio e di lavaggio.
Ebbene, in questo incrocio senza semaforo, rispettando rigorosamente il diritto di precedenza per le svolte e senza il minimo accenno di utilizzo del clacson – qualcosa di impensabile dalle nostre parti - si fermano pazientemente e poi ripartono in fila indiana mandrie di motociclette, letteralmente, che occupano tutta la larghezza della carreggiata. Il loro divertentissimo girovagare consiste nello spostarsi tutto il giorno da un capo all’altro di Sturgis, in un andirivieni frenetico e assordante di scarichi liberi che si scatena in un trambusto “ordinato”.
In concomitanza, nell’area lavaggio del distributore carburante un drappello di ragazze in bikini agita cartelli recanti “cambio olio” e sventola grandi fazzoletti di pelle di daino per asciugare. Altre ragazze sono effettivamente occupate a lavare moto, ad asciugarle e a lustrarle a dovere perché i loro proprietari devono figurare, mantenendo piuttosto pulite le loro costose cavalcature.
Già da qui, posso già immaginare ciò che oggi troverò realmente in centro dove, peraltro, ho avuto già un cospicuo “assaggio” ieri pomeriggio.
Intanto, mi informo sul luogo dove si trova l’ufficio postale. E’ lontano un chilometro e quando ci arrivo, finalmente spedisco le cartoline a tutti coloro ai quali “
non ho detto” dove sarei andato in vacanza. Spero di far loro una simpatica sorpresa, sperando che il postino arrivi a casa prima di me.
Piccole colline dominano l’abitato e sul fianco di una di queste alture è stata composta a grandi lettere bianche la scritta “STURGIS”, visibile anche da molto lontano.
Continuando verso il corso principale, noto per lo più case basse recintate da piccoli prati erbosi, concessi a pagamento e occupati da tende per campeggio, e qualche simpatica bambina che offre acqua fresca in cambio di donativo.
Molte grandi aree piane sono invase da grandi capannoni mobili pieni di mercanzia motociclistica; oppure sono adibite a esibizioni e mostre statiche di motociclette elaborate artigianalmente. Insomma, tutti gli spazi disponibili di Sturgis, tutte le strade, tutti gli isolati e tutti i locali sono stracolmi di moto e motociclisti.
Attraverso
Lazalle Street e dopo un isolato mi immergo nella impressionante folla della “
main street”, l’indiscusso regno di
riders e Harley nel mese di agosto.
Descrivere tutto quello che passa sotto gli occhi è francamente impossibile ma, per sommi capi cercherò di rappresentarlo, non celando il mio entusiasmo per essere, quasi certamente, l’unico “
italiano” presente alla manifestazione.
Anzitutto,
solo in questa strada principale del paese sono parcheggiate e ammassate, a mio avviso, non meno di 3.000 motociclette. Ai più sembrerà un numero esagerato. Se però qualcuno provasse a salite su un’altana a pagamento, sistemata al centro della carreggiata della
main street, il colpo d’occhio fotografico sulla moltitudine sarebbe straordinario. Quel numero di moto, allora, forse sarebbe sottodimensionato rispetto alla effettiva presenza sul corso, considerando anche la sua lunghezza.
C’è un formicaio di persone, uomini e donne, spesso entrambi sulla cinquantina, con il solito abbigliamento casual, tatuaggi e immancabile bandana sulla testa. Venditori ambulanti dappertutto,
fast food affollatissimi, negozi di accessori moto,
saloon stracolmi e una fiumana di gente che passeggia da un capo all’altro del corso sotto l’occhio discreto di una quantità irrisoria di poliziotti a braccia conserte. Atteggiamento, questo degli agenti, che sembrerà non veritiero in tutto questo marasma di moto e persone. Sembrerà incredibile, ma al raduno è molto raro che si verifichino episodi sconvenienti.
I “riders” hanno solo voglia di farsi ammirare per l’abbigliamento che hanno addosso, oppure per quello che “
non hanno addosso” come la signorina che ho incrociato.
Non c’è una sola moto Harley che sia uguale a un’altra perché anche qualche particolare insignificante la differenzia dalle altre. Le moto
custom sono qualcosa di inverosimile con le loro forcelle anteriori chilometriche, la ruota posteriore da camion, i telai che sembrano essere stati scolpiti e adattati, serbatoi con artistiche verniciature psichedeliche e scintillanti cromature dappertutto. Tutto questo, su due cilindri con scatola cambio separata del mitico motore Harley-Davidson da 1,5 litri di centimetri cubici, minimo!
Mi soffermo sul marciapiede a guardare lo spettacolo dell’andirivieni di moto più o meno curiose, a due ruote, è ovvio, ma anche con tre ruote, magari due dietro e una davanti o il contrario; qualcuna porta al traino anche il carrello delle masserizie e qualcun’altra una carrozzina per la persona con handicap, che certamente è alla guida del triciclo Harley.
I
saloon della strada sono pieni di gente intenta a bere fiumi di birra e altri alcolici mentre i negozi di accessori sono un formicaio. Nonostante la temperatura non caldissima, tutti o quasi tutti hanno abiti succinti, specialmente le donne a spasso can i loro
boys ultraquarantenni.
Qualche coppia potrebbe anche andare a sposarsi legalmente - perché a Sturgis è ammesso anche questo - recandosi nell’Ufficio di Registro degli Atti matrimoniali dove il Funzionario, dietro compenso di 40 dollari, dichiara la coppia, ufficialmente e immediatamente, marito e moglie.
Mi soffermo davanti a una vetrina di un negozio che ha in esposizione una replica fedele della Harley-Davidson di Peter Fonda, il protagonista del film Easy Rider, icona del motociclismo americano e del viaggio avventuroso lungo la mitica
Route 66.
Entro nel negozio con l’idea di comprare le magliette del raduno, ma la grafica non è molto interessante e costano molto di più rispetto a quelle che ho visto nello
store della stazione di servizio che ho incontrato prima di arrivare in centro. Allora rimedio con il logo calamitato del Raduno, altre calamite che vanno a aggiungersi a quelle che ho già comprato cammin facendo e che riproducono i luoghi più interessanti che sto visitando nel mio viaggio. Per finire, compro qualcosa da regalare al ritorno, sperando che trovi spazio sulla moto e poi nei bagagli.
Me ne sto ancora ad osservare il “passeggio” ininterrotto delle moto e potrei mettere in risalto molto. Per brevità vale segnalare quanto segue: passano strombazzanti motociclette condotte allegramente e disinvoltamente da donne con scollature vertiginose.
Transita “l’uomo tigre”, un motociclista che indossa una specie di vestito da carnevale di quell’animale.
Passa la moto dove tutti gli spazi sono stati occupati da piccoli adesivi metallici; altre moto strane e divertenti con accessori a non finire, ma tutte rigorosamente Harley.
Tranne una che ho scoperto parcheggiata più avanti: BMW R1200 GS, targata Alaska! Anch’essa fa il suo figurone a Sturgis dove si va per apparire, divertirsi …e spendere soldi!
E’ un vero peccato che non possa fermarmi qualche giorno in più perché il Motorally di Sturgis necessita ed è degno di essere “vissuto” nel miglior modo possibile. Mi piacerebbe andare a vedere i concerti serali che si svolgono al camping
Buffalo Chip o al
Full Throttle Saloon, solo per citare quelli che vanno per la maggiore, fra una folla sterminata di spettatori. Oppure partecipare a eventi giornalieri, la cui lista è praticamente infinita, che riguardano esibizioni, mostre di moto elaborate, musica, grigliate e molto altro ancora al
Broken Spoke Saloon, all’
Easyriders Saloon oppure nella stessa
Main Street.
Ecco perché la manifestazione dura una settimana e, purtroppo, non posso spostarmi agevolmente fra tutte queste attrazioni. La motocicletta che ho noleggiato non posso lasciarla incustodita come semplice regola di buon senso. Il tempo disponibile non è dalla mia parte, condizionato com’è dalla tabella di marcia che non ho potuto rispettare. Tuttavia, il viaggio fin qui è stato esaltante: mi ha riservato sorprendenti paesaggi, luoghi e riserve indiane desiderati e alla fine “
partecipare al Rally”, anche brevemente, è di fatto per me la cosa più importante!
Dopo questa emozionate “scorpacciata” di moto e motociclisti torno verso il campeggio, ma non potevo certo esimermi dal comprare le magliette dallo
store della stazione di benzina
Conoco.
Ne sono rimaste poche della mia taglia e ne acquisto tre. Una sicuramente la regalerò a qualcuno dei miei amici mentre le altre due le terrò per me. Le indosserò quando vorrò “apparire” andando in giro con la mia BMW, sperando che qualcuno faccia caso all’immagine stampata: Rushmore, aquila e bandiera americana e la scritta
73° Annual Black Hills Rally Sturgis.
Per completare i miei acquisti, compro anche un bellissimo cappellino con la visiera “fiammeggiante” e il logo del Rally.
Al camping giungo abbastanza stanco dopo essere andato in giro tutto il giorno a piedi. Sistemo il bagaglio nelle borse e mi preparo per ad andare al punto ristoro dell’accampamento.
Incamminandomi, conosco una coppia di motociclisti, marito e moglie, con i quali instauro una conversazione e insieme andiamo a cena. La birra mi viene offerta da costoro, mentre per nove dollari compro una pietanza che il mio compagno mi ha consigliato. In verità, quello che sto mangiando non ha un gusto particolare, ma riempie comunque la mia pancia vuota.
E’ una sorpresa piacevole constatare che anche nel nostro campeggio, non certo al livello degli altri che ho menzionato, c’è musica
live. E’ offerta da una
band il cui chitarrista principale ce la mette tutta per allietare quelli che son lì ad ascoltarlo e applaudirlo: per concludere la serata in tranquillità e allegria non c’è niente di meglio!
Sono le nove di sera e forse farei bene ad andare a dormire perché domani sarà giorno di partenza. Ma prima di congedarmi dal Raduno mi attende la “
old west town” di
Deadwood.