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Puglia andata e ritorno

Riprendiamo il viaggio....
Ci mettiamo in macchina ed andiamo verso Vieste che ci appare da lontano come distesa sul mare

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Vediamo appena sotto la strada un trabucco, tipica "macchina" da pesca delle coste dell'Adriatico e notiamo che in un parcheggio lì vicino ci sono molte macchine. Siamo incuriositi e ci fermiamo anche noi.

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Ci avviciniamo al trabucco per vederlo da vicino e ci accorgiamo che è aperto, decidiamo di salire ed incontriamo due signori che fanno parte dell'associazione che si adopera per ristrutturare i vecchi trabucchi garganici e di mantenere vivo il ricordo dei mastri trabuccolanti. L'associazione ha restaurato diversi trabicchi e si sostiene con donazioni e con visite guidate e dimostrazioni di pesca sui trabucchi. Prenotiamo la dimostrazione che ci sarà un po' più tardi e di cui poi vi racconterò.

Ci rimettiamo in cammino per raggiungere Vieste.

Vieste, come Peschici è un susseguirsi di vicoletti che si snodano tra le case ammassate quasi una sull'altra e talvolta unite da archi e sottopassi.

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Arriviamo in una piazza con un grande bastione e da lì su una terrazza da cui si gode un panorama incantevole

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ci dirigiamo verso la chiesa che avevamo visto in fondo al paese, la chiesa di San Francesco

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Il complesso inizialmente fu dedicato a Santa Caterina d’Alessandria e commissionato nel 1438 alle monache Clarisse dal conte stabulo Algracio il quale ne ordinò l’edificazione sulla piccola e stretta penisola rocciosa.
La chiesa fu’ distrutta nel 1480 e fu l’esito di un lungo assedio ad opera di Acmet Pascià, rais agli ordini di Maometto II.
Le conseguenze di questo intervento militaresco resero il complesso inutilizzabile condannandolo inevitabilmente ad uno stato di abbandono finchè nel 1546 giunsero nel paese i frati francescani i quali non solo si adoperarono per rimettere in sesto il santuario, costruendo accanto ad esso un piccolo convento utilizzato dagli stessi frati, ma misero in sicurezza l’intera penisola edificando un baluardo armato per scoraggiare nuove ed eventuali incursioni esterne. La chiesa di San Francesco di Vieste fu’ nuovamente danneggiata da uno spaventoso terremoto che nel 1646 colpì l’intera cittadina, distrusse innumerevoli abitazioni costringendo tantissimi viestani ad uscire dalle mura del paese ed a spostarsi e stabilirsi nelle campagne circostanti. In questa occasione fu’ ancora una volta determinante l’intervento dei francescani che ripararono la chiesa e vi rimasero fino al 1809, anno in cui l’abrogazione degli ordini religiosi da parte di Napoleone allontanò definitivamente i frati dal convento e da Vieste, ma non riuscì ne a modificare ne a sostituire il nome della chiesa lasciandola ancorata al nome e alla figura Di San Francesco.

Ma la chiesa principale di Vieste è la Cattedrale in stile romanico il cui ingresso si raggiunge salendo una ripida scalinata


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L'interno è piuttosto austero. La chiesa nel corso degli anni ha subito diversi rimaneggiamenti ed in particolare tutte le colonne erano state nascoste ed inglobate in pilastri quadrati come quello che si vede a destra in primo piano. Negli ultimi restauri sono state riportate alle luce le colonne originarie di forma tondeggiante e sormontate da capitelli in gran parte deteriorati e che vengono fatti risalire all'XI secolo.

Spostando lo sguardo verso l'alto si può ammirare il soffitto ligneo dipinto a tempera

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molto bello anche il fonte battesimale in marmo policromo


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Usciamo dalle cattedrale e giriamo ancora un po' ripassando davanti al bastione

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e ad un certo punto notiamo una strana roccia che si erge solitaria davanti alla spiaggia

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è il Pizzomunno.

Si racconta che al tempo in cui l’attuale città era solo un villaggio composto da sparute capanne ed abitato da pescatori vi vivesse un giovane alto e forte di nome Pizzomunno. Sempre nello stesso villaggio abitava anche una fanciulla di rara bellezza, con i lunghi capelli color del sole di nome Cristalda. I due giovani si innamorarono, amandosi perdutamente senza che niente potesse separarli. Pizzomunno ogni giorno affrontava il mare con la sua barca e puntualmente le sirene emergevano dai flutti marini per intonare in onore del pescatore dolci canti. Le creature marine non si limitavano a cantare, ma prigioniere dello sguardo di Pizzomunno gli offrirono diverse volte l’immortalità se lui avesse accettato di diventare il loro re e amante.
L’amore che il giovane riversava su Cristalda, però, rendeva vane le offerte delle sirene. Una delle tante sere in cui i due amanti andavano ad attendere la notte sull’isolotto che si erge di fronte alla costa, le sirene, colte da un raptus di gelosia, aggredirono Cristalda e la trascinarono nelle profondità del mare. Pizzomunno rincorse invano la voce dell’amata. I pescatori il giorno seguente ritrovarono il giovane pietrificato dal dolore nel bianco scoglio che porta ancora oggi il suo nome. Ancora oggi ogni cento anni la bella Cristalda torna dagli abissi per raggiungere il suo giovane amante e rivivere per una notte sola il loro antico amore.

Ma è arrivata l'ora di tornare al trabucco per la dimostrazione di pesca....
 
Ed eccoci di nuovo al trabucco.

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I trabucchi sono vere e proprie macchine da pesca dove alberi, antenne, funi e argani funzionano con precisione e permettono la calata delle grandi reti e una veloce salpata delle stesse appena fossero state piene di pesce.
Nel Gargano non si è mai sviluppata la pesca tradizionale con imbarcazioni a causa delle continue scorribande di pirati ottomani che misero letteralmente a ferro e fuoco i paesi garganici. Famosi sono gli eccidi di Vieste (7.000 morti) nel 1554 ad opera del pirata Dragut e di Manfedonia (500 trucidati e migliaia ridotti in schiavitù) ad opera del pirata Chalil Pascià nel 1620.
D'altro canto sia Vieste sia Peschici erano sede di importanti cantieri navali dediti soprattutto alla costruzione di navi militari. L'abilità dei mastri d'ascia e degli ingegneri navali di fine '700 - inizi '800 portò alla ideazione e costruzione dei trabucchi concepiti per la cattura dei branchi di pesce che regolarmente transitavano lungo le coste rocciose del gargano a 20-30 metri dalla riva.
Tali macchine avevano una tale efficienza di pesca che tra il 1850 e il 1950 se ne contavano 36 in attività tra Peschici e Vieste.
Alla fine degli anni '50 furono pian piano abbandonati in quanto non più produttivi: la pesca d'altura condotta con grandi pescherecci e con mezzi tecnici avanzati (sonar, eco-scandagli) ha progressivamente impoverito l'Adriatico e i branchi di pesci non giungono più sotto costa.

Su ogni trabucco lavorava una squadra di circa 20 uomini e nei periodi di maggiore pesca il trabucco funzionava 24 ore su 24; la reta veniva calata e salpata ogni 40-50 minuti e si pescavano anche 200 kg di pesce per volta.
Le reti sono molto grandi a forma di sacco e venivano calate e salpate a forza di braccia attraverso due argani detti "ciucci" e sorrette da funi collegate alle cosiddette "antenne" che si sporgono sul mare per almeno 40 metri

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Ogni trabucco ha una rete cucita appositamente per le caratteristiche del fondale e della costa su cui si erge ma in linea generale sono reti quadrangolari di cui tre lati vengono calati in modo che il bordo sfiori la superficie dell'acqua e un quarto lato, a favore della corrente, che viene calato completamente. Una vedetta si appostava alla sommità dell'antenna del lato aperto e appena il pesce entrava nella rete dava il comando di issare la rete agendo sui ciucci.
Il trabucco era dotato di una massiccia porta a chiuderne l'accesso ed una piccola finestrella attraverso cui passare le cassette di pesce e ricevere il denaro. Anche la finestrella era dotata di una spessa anta che poteva essere chiusa rapidamente in caso di assalto da parte di banditi; assalti non infrequenti e improbabili vista la quantità di denaro che poteva essere presente sul trabucco al termine di una giornata di pesca.

Abbiamo anche sperimentato una battuta di pesca con la calata della rete e ai ciucci ci sono finiti i mariti... La pesca è stata veramente misera, una sola aguglia che è stata liberata di nuovo in mare, ma il divertimento è stato grande. Nel frattempo il sole è tramontato regalandoci immagini molto suggestive
 
Lasciamo il Gargano ed arriviamo a Porto Cesareo nel Salento Ionico dove di solito soggiorniamo durante le nostre vacanze pugliesi. Il pomeriggio è dedicato a scambiare qualche chiacchiera con gli amici dell'hotel che non vediamo da un po', sistemare le valigie e fare una passeggiata per il piccolo centro per vedere cosa è cambiato dall'ultima volta.... veramente molto poco.

Il porticciolo di fronte all'hotel e sullo sfondo l'Isola dei Conigli

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La mattina dopo ci fiondiamo in spiaggia, una bellissima spiaggia bianca a circa tre Km dal centro del paese nella frazione di Torre Lapillo.

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IMG_20200916_091901.webp Qui trascorreremo gran parte delle nostre vacanze: del resto siamo venuti soprattutto per il mare.
 
Porto Cesareo si trova in posizione strategica, a distanza di poco più o poco meno di un'ora dai principali luoghi del Salento: Otranto, Lecce, Gallipoli e da località meno conosciute ma sempre molto belle. Nelle nostre precedenti frequentazioni salentine abbiamo già visitato molti di questi paesi e questa volta abbiamo deciso di dedicarci a quelli meno conosciuti. Ma prima una scappata in provincia di Brindisi a San Pietro Vernotico per andare a trovare due cari amici. Come al solito l'accoglienza è indescrivibile , come solo le persone del sud sanno fare. E alla sera viene addirittura organizzata una "pizzata" fatta in casa con tutto il vicinato che avevamo avuto modo di conoscere in una delle nostre precedenti visite. Prima di cena facciamo una breve passeggiata lungo il litorale

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Ed ecco laggiù, laggiù quasi invisibili due navi Costa bloccate dall'emergenza covid.

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vero, Maria. Un mare splendido e spiagge bianche come quelle dei caraibi. A volte mi diverto con gli amici a far vedere una foto delle spiagge dei caraibi e quelle di Torre Lapillo: spesso non sanno dirmi quale è una e quale l'altra

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Iniziamo il nostro viaggio nel Salento meno conosciuto ma che custodisce veri e propri tesori naturali ed artistici. Prima tappa la frazione di Marina Serra nel comune di Tricase. Partiamo la mattina da Porto Cesareo e ci dirigiamo a sud Verso Santa Maria di Leuca da cui poco distante si trova Marina Serra. Qui si trovano le così dette “piscine”: vasche di pietra in parte naturali e in parte scavate dall’uomo in collegamento con il mare. L’origine di queste piscine naturali che si trovano anche in altre zone della costa salentina si deve alla caduta delle volte che un tempo ricoprivano grotte marine. Nelle giornate di sole l’acqua è cristallina e molte persone vengono a fere il bagno. Noi siamo capitati in una giornata piuttosto grigia ma non è venuta meno la bellezza di queste vasche e delle rocce che le circondano.

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Tutto intorno le rocce che arrivano fino al mare sono di colore scuro, quasi nero e testimoniano una origine di natura vulcanica.

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C’è parecchio vento ed ogni tanto pioviggina quindi decidiamo che non è il caso di fare il bagno e ci dirigiamo verso l’abitato di Tricase.

La città di Tricase ha origine attorno al X-XI secolo quando, si racconta, esistevano tre casali e, dall'unione di essi, pare sia nato il primo nucleo di abitazioni che diede il nome alla cittadina. In realtà l'etimologia del nome della città deriverebbe da Inter casas, cioè centro sorto tra altri nuclei abitati, che si sarebbero fusi o in seguito a incremento demografico o, con maggiore probabilità, per motivi di sicurezza, determinando così la nascita di un nuovo centro abitato.
Tricase era sede di un feudo in cui si sono succedute diverse famiglie feudatarie fino alla caduta del sistema feudale e al passaggio dei territori a Stefano I Gallone, primo Barone di Tricase. Dal 1558 al 1806 Tricase rimase sempre nelle mani dei Principi Gallone, nobile famiglia probabilmente originaria di Otranto. L’ultima discendente di tale famiglia è stata Maria Bianca Gallone Principessa di Tricase, venuta a mancare nel 1982.

Arriviamo nella piazza del paese su cui da un lato sorge la chiesa della Natività delle Beata Maria Vergine che si continua con il Castello dei Principi Gallone alla cui sinistra sorge la Chiesa di San Domenico; e dall’altro lato si sviluppa il caratteristico Rione Puzzu: un dedalo di stradine e piazzette. Ma iniziamo dalla Chiesa Madre di Tricase…
 
La prima chiesa parrocchiale di Tricase dedicata a San Demetrio fu danneggiata più volte nel corso degli anni: nel 1480 dai Turchi, nel 1495 dai soldati del Conte di Lecce nel 1495 e dai Veneziani nel 1528, e quindi abbandonata fino al 1581 quando fu riedificata e dedicata alla Madonna del Foggiaro. Nel 1763 iniziarono importanti interventi di restauro e ampliamento della chiesa che terminarono nel 1784. La nuova chiesa, dedicata alla Natività della Beata Maria Vergine, si affaccia su Piazza don Tonino Bello, con un ampio sagrato e una larga scalinata; la facciata è decorata da eleganti volute e ravvivata da statue e pinnacoli. È aperta da un grandioso portale, ha colonne binate ed è sormontata da una finestra lobata, al di sotto della quale vi è la Madonna orante e l'iscrizione con la data MDCCLXX.

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Si affaccia, ancora, con due bracci laterali, su vico Campane, a sinistra, e su piazza Giuseppe Pisanelli, a destra, dove si erge anche l'incompiuto campanile.

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L'interno della Chiesa è di dimensioni maestose e ha forma di croce latina; è piena di luce, perché illuminata da 18 finestroni a forma di lira.

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Oltre all'altare maggiore, dedicato alla Natività di Maria, del 1876, esistono altri dodici altari, sei nel transetto e sei nella navata; L'ingresso è sormontato da grandel dipinto dell' "Ultima Cena" di Roberto Buttazzo di Lequile, commissionato in occasione della riapertura della chiesa, dopo i lavori di restauro, nel febbraio del 1995. Molto bello anche il pulpito del 1795, di legno intarsiato, opera di Raffaele Monteanni di Lequile, in cui è scolpito lo stemma del paese, recante tre case e un albero.
 
Alla sinistra della porta principale si trova il cinquecentesco fonte battesimale, in pietra ornata da bassorilievi, con pregiate iscrizioni e raffigurazioni, relative alla storia della salvezza; tra le altre, la creazione, il trasporto dell'arca dell'alleanza, Mosè, l'Annunciazione, il Battesimo di Gesù e la risurrezione di Lazzaro. E' interessante sottolineare che questo fonte battesimale rappresentava quasi una sorta di "Bibbia dei poveri", come era in uso a quei tempi, quando, tramite tali rappresentazioni, anche chi non era istruito poteva avvicinarsi ai fatti delle Scritture e capire meglio l'importanza dei sacramenti.

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Ed ora le immagini di alcuni degli altri 12 altari presenti all'interno della chiesa

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Questa la maestosa Cappella dedicata a San Carlo Borromeo che si trova alla sinistra dell'altare maggiore

L'altare all'interno di questa cappella è una struttura imponente composta da quattro colonne pseudo-tortili con capitelli, sovrastate da un alto cornicione dal quale si eleva il fastigio, ai cui lati stanno due figure angeliche , e al cui centro spicca l'immagine dello Spirito Santo in forma di colomba, dalla quale parte una decorata raggiera. La mensa, rivestita di preziosi marmi policromi, risale alla fine del '700

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La tela, del 1616, è opera del pittore Domenico Catalano, di Gallipoli, proviene dalla precedente chiesa madre e pertanto è stata ingrandita per adattarla alla nuova sede. S. Carlo Borromeo vi è raffigurato orante e genuflesso davanti al Crocifisso.

Un altro altare è dedicato alla Vergine del Buon Consiglio

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La tela è del 1836 di autore ignoto.

C'è poi l'altare dedicato alla Vergine Immacolata: L'altare ospita il dipinto della titolare, eseguito dal rinomato pittore veneziano Jacopo Palma il giovane (1544-1628) su commissione del barone Angelo Gallone: la tela giunse a Tricase, via mare da Venezia, nel dicembre 1612.

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Altare del Crocefisso che è dominato dal crocifisso ligneo del XVI secolo

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L'altare di San Giuseppe ai cui lati si trovano gli altari dedicati a San Pietro in trono a sinistra e alle Anime Sante caratterizzata dalla pala d'altare che raffigura la Madonna con ai piedi le anime del purgatorio

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Un ultimo sguardo al cenacolo sopra il grande portone ed usciamo per continuare la nostra visita di Tricase

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Continua.....
 
Usciti dalla chiesa ci dirigiamo verso la piazza principale del paese su cui si affaccia il Palazzo dei principi Gallone, oggi sede del comune della città di Tricase. Inizialmente la costruzione aveva una funzione prettamente difensiva e ciò è testimoniato dalla presenza del torrione (Turris Magna) ancora visibile ad un lato del palazzo e risalente al 1401-1406. Il palazzo fu ampliato una prima volta e trasformato in struttura abitativa a partire dal XVI quando entrò in possesso della famiglia Gallone, importanti mercanti d'olio che scelsero il basso Salento come base dei loro commerci. Nel 1651 Filippo IV concesse a Stefano Gallone il titolo di principe e questi decise di ampliare ulteriormente il palazzo per costruire una dimora degna del suo rango. L'imponente dimora fu costruita tra il 1657 e il 1661 e fino al 1982 è stata la dimora dei discendenti dei principi Gallone.

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Due vedute del torrione quattrocentesco.

Entriamo nel cortile del palazzo passando attraverso un ingresso sormontato dallo stemma dei principi Gallone riproposto anche nei pavimenti delle sale principali del palazzo.

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Si può ammirare l'imponenza del palazzo che diede adito alla leggenda delle 365 stanze, una per ogni giorno dell’anno.

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Entriamo all'interno del palazzo salendo ampie scale che portano ai piani nobiliari e poi su fino alle ampie terrazze

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