Re: Un libro al giorno...e divagazioni cinematografiche
Re: Un libro al giorno...e divagazioni cinematografiche
Ciao ragazzi/e. Tra le molte (troppe) attività / passioni ho anche quella di scrivere articoli per una magazine annuale specializzata in anni '60, Misty Lane, scritta in inglese e dedicata al mercato internazionale. Sto scrivendo (in italiano...poveraccio quello che dovrà tradurlo) un articolo che, vista la lunghezza, sarà presentato in due puntate (quindi in due anni). E' un articolo su una serie di film del regista Edgar Reitz dal titolo "Heimat 2", dedicato ai sixteen in germania, che considero un capolavoro della cinematografia. Sono circa 25 ore di film in 13 episodi, e dopo una presentazione generale, nell'articolo recensisco tutti e tredici gli episodi. Mi piacerebbe proporvelo in anteprima, o in questo topic o in un altro appositamente creato. Di seguito, inserisco la prefazione e la recensione del primo film. Se dovesse interessarvi e incuriosirvi, me lo dite che proseguo con le altre recensioni, un film alla volta. Sono curioso di una vostra opinione. Se non vi dovesse interessare...no problem. Riprendo coi libri...argomento sempre entusiasmante! Aspetto vostre news.
" Bisogna prendersi del tempo per vedere l’opera cinematografica “Heimat 2 – Cronaca di una giovinezza”, di Edgar Reitz. E’ un film che si sviluppa in 13 episodi per un totale di 25 ore e 32 minuti e, sebbene la trama sia di suo già appassionante, necessita comunque di appropriata riflessione per ogni episodio conclusosi. Riflessione che proveremo a fare insieme proponendo, di seguito, una lettura critica di ognuna delle 13 parti.
Heimat in tedesco significa “patria”, “casa” e con questa serie di episodi continua un progetto cinematografico iniziato da Reitz di ricerca e documentazione che inerisce allo spaccato sociale tedesco del 1900. Una prima serie di episodi, intitolato Heimat 1, si dipana attraverso la saga di tre generazioni raccontate dagli albori del secolo al 1959. In un successivo terzo volume, non rinunciando alla formula della saga, il regista racconta gli anni della caduta del muro di Berlino. La seconda serie, quella a cui ci stiamo interessando, si sviluppa nei 10 anni sixteen. A tergo della bella confezione in DVD della Dolme Home Video, l’opera viene così sintetizzata: “Un vasto romanzo per immagini della generazione tedesca degli anni ’60, piena di sogni e utopie. Un variopinto gruppo di ventenni innamorati della vita, della musica e dell’arte alla ricerca di una “seconda patria” dove realizzare le proprie aspirazioni. Un terreno incerto dove il lavoro, le amicizie e gli amori si intrecciano alle speranze, alle sconfitte e al desiderio assoluto di libertà”. Si…ma non basta questa descrizione. C’è da dire molto altro.
Si…prendetevi il tempo necessario. Non rinunciatevi. Se leggete questa magazine nutrite la passione per quel periodo magico che è il decennio sixties e mai come questa volta e come in questo “ipermetraggio” ho trovato una trasposizione cinematografica così intelligente, esauriente e puntigliosa da rispettare il pathos che richiede un’opera di fantasia e il presupposto documentaristico che vuole avere il regista rivolgendo le sue telecamere nella Germania della contestazione e del fermento sociale e artistico del decennio in esame. Trasposizione intelligente, certamente…ma non ruffiana! Non occhieggia a nessuno, Reitz, nel mentre che dipana la trama dove i personaggi si distinguono più per la loro diversa forza piuttosto che per i sogni e gli ideali. Non c’è veramente un lieto fine. Non c’è un personaggio o una categoria che vinca. Piuttosto ci sono personaggi che si bruciano e altri che crescono e maturano in un presupposto storico importante e assolutamente ben tratteggiato ma che resta ancora materia collante di una società che segue un suo corso, influenzando e facendosi influenzare dall’uomo abbandonato alle sue tristezze o alla sua intraprendenza. E’ in questo quadro che può essere vista la scelta di Reitz di dedicare ad ogni episodio un approfondimento particolare a uno dei personaggi che attraversano la saga.
Il film inizia con una panoramica della società tedesca rurale e cittadina nel 1960 e introducendo il personaggio principale, Hermann Simon, che altri non è che l’alter ego del suo autore, già comparso peraltro nella prima serie di Heimat. Ma presto i personaggi che gireranno intorno al protagonista diventeranno tantissimi: Il sensibilissimo cileno Juan, la problematica Helga, la complessa Clarissa, donna dei sogni e degli incubi di Hermann, il disperato e sfortunato Ansgar.
Il film non è adatto a chiunque. Non ha effetti speciali eclatanti ma utilizza piccoli grandi stratagemmi visivi e farcisce la storia di enciclopedici riferimenti che spaziano dalla musica sperimentale al cinema di Truffaut e Antonioni, dalle citazioni di filosofi come Spinoza o Hoederlin agli avvenimenti storici e sportivi. E’ un film adatto per chi ama e ama leggere i libri con a fianco una enciclopedia, andare a fondo al significato di un dipinto, cogliere i suoni e cercare la logica della sequenza dei detti suoni in un pezzo musicale. E’ un film consigliato a chi voglia approfondire la propria cultura senza rinunciare a farsi struggere dalla “Sehnsucht”, nostalgia, parola che spesso appare nei primi episodi e che inevitabilmente s’inculca nell’animo dell’appassionato spettatore.
Prendetevi il tempo necessario…
1° episodio: Monaco
E’ la storia, che si svolge nel 1960, di Hermann, diciottenne tedesco che abita in provincia, intelligente e portato alla composizione musicale, che per un amore impossibile provato nei confronti di una clandestina che ha 18 anni più di lui e duramente interrotto dalla madre e dalla parentela, decide di diplomarsi e di andarsene di casa, a Monaco, per iscriversi al conservatorio. In una preghiera quasi blasfema, in mutande inginocchiato nella sua stanza da letto chiusa a chiave per non far entrare lo spirito patriarcale e il mondo rurale che l’opprime, prima di diplomarsi giurerà a Dio che non amerà mai più nessuna donna, perché se l’amore esiste è solo per una volta e non gli interessa l’amore di una seconda o terza volta. Al termine della preghiera l’anta a specchio dell’armadio si aprirà scricchiolando e Hermann, voltandosi sempre in ginocchio, si vedrà in mutande riflesso nello specchio. Tale figura simbolica, dove lui in più occasioni si guarderà indietro e vedrà riflesse le sue tante nudità, paure o solitudini in uno specchio, sarà più volte ripreso nel corso dei tredici episodi. Hermann finalmente parte dal suo paese con una valigia e una chitarra. Un viaggio in treno in compagnia occasionale di uno strambo filosofo chiacchierone che cita filosofi e scrittori del passato, adattandone le massime alle sue pretese discorsive non sempre coerenti. E’ in questa fase, durante il viaggio verso la città e verso l’indipendenza e la realizzazione dei sogni, che Hermann dirà:”Non riesco a credere che io riesca a vivere più di 30 anni. Se Gesù fosse arrivato a 50 anni, la sua religione sarebbe stata solo un peccato di gioventù e basta”. Ed è proprio in questa frase che riusciamo a cogliere uno dei presupposti che motivano questo film. In questo assunto si legge lo spirito dei sixties, della contestazione, della contro – cultura, del rifiuto di arrivare a pensare come le vecchie generazioni. Vivere oltre i 30 anni è visto da Hermann, che rappresenta la gioventù del mitico decennio, come uno spreco, un inquinamento, una banalizzazione. Non riesce a immaginare un progetto di vita che possa avere un senso e una valenza dopo una certa età.
Arriva comunque in una Monaco molto diversa dalla campagna ove abitava. C’è fermento e avanguardia. Molti cineasti in erba filmano per le strade; molti giovani si ritrovano in sit-in spontanei per suonare e per discutere. Hermann riesce a passare l’ammissione al conservatorio e inizia a fare alcune amicizie, tra cui alcuni ragazzi corsisti dell’ultimo anno del conservatorio che suonano in maniera strana, avanguardista, con il solo scopo di scandalizzare i professori. Hermann è attirato da questa musica. Fa amicizia anche con un giovane sudamericano, Juan, che verrà scartato alla prova d’ammissione al conservatorio, seppur dopo aver fatto una interpretazione stupenda con lo xilofono ed altri strumenti percussivi, che però viene definita dagli esaminatori troppo “folkloristica”. Nei discorsi tra Hermann e Juan, che peraltro ha imparato da autodidatta a parlare 11 lingue (l’undicesima è la musica che lui considera una lingua), compare sempre il ricorso tematico della nostalgia, soprattutto legata alla visione di una bella ragazza, Clarissa, che assomiglia alla clandestina unico amore di Hermann. Clarissa suona il violoncello e si intuisce che avrà nel proseguo della storia una parte importante.
Da subito viene affrontato un argomento ricorrente negli episodi: il conflitto generazionale e il rapporto genitoriale. Vedremo come, sia dal punto di vista sociologico che psicologico, siano molti e con diversi esiti i rapporti tra genitori e figli, come quando ad esempio Reitz, più avanti, tratteggia Evelyne, che non ha mai conosciuto la madre e che alla morte del padre partirà per Monaco per sapere quanto più possibile della genitore; quando narra di Ansgar, con la sua ferale rabbia verso la madre e il padre; quando indugia nell’indagine dei sogni e delle visioni paterne di Alex; quando dipinge il bell’affresco natalizio della numerosa famiglia provinciale di Schnusschen. Ma Reitz, forse in quanto il personaggio principale è il suo alter ego, racconta il rapporto tra Hermann e la sua famiglia in maniera anomala e quasi violenta; la madre di Hermann c’è, se ne sente la voce, se ne scorge l’ombra ma è anche sempre in un’altra stanza chiusa a chiave, in un altro paese, in un altro universo. Non viene mai ripresa da Reitz, come a indicare che in questa fase della saga e della sua vita ha esaurito il suo infausto ruolo e gli si preclude ogni diritto ad interferire ed anche ad esistere. Hermann ha già fatto una sua scelta autonoma dove la madre, oltre a non essere più decisiva nelle sue future scelte, viene anche già trattata come elemento passato, come ricordo. Ella esiste nella “Storia” e nella narrazione ma è nascosta dal personaggio.
Anche la fotografia regala spettacolari momenti di passaggio dal bianco e nero al colore. Ancor meglio quando il bianco/nero e il colore sono commisti come nella scena dello specchio su cui Hermann si ritrova, voltandosi, riflesso in bianco e nero mentre la scena reale è a colori.
Ciò che lega il tutto è il grande amore per la musica. La colonna sonora è soprattutto dettata dai graziosi esercizi che i vari giovani, dotati, eseguono. Stupenda è la scena d’improvvisazione musicale in cui alcuni studenti che si trovano nella mensa universitaria, con cucchiai, termosifoni bicchieri e quant’altro a disposizione nell’ambiente creano vera musica divertendosi.
Sono molti i richiami ai fatti storici della Germania del periodo, come la apparentemente casuale ripresa di un quotidiano che in prima pagina esalta la vittoria ed il record mondiale di un atleta tedesco.