Ciao Seafoam !
Premetto che non era mia intenzione dubitare delle capacita' professionali dei nostri militari.....
Dalle informazioni che sono riuscito a “reperire” mi risulta che la forza militare impiegata e’ costituita da 80 fanti di marina del Regimento San Marco, di stanza a Gibuti.
60 militari probabilmente della Compagnia Operazioni Navali (distaccati dal proprio reparto, al momento di stanza nella provincia afghana di Farah) costituiscono i 10 team operativi (6 uomini per ogni team fra cui uno sniper) che si imbarcano sui mercantili italiani in transito.
I restanti 20 militari gestiscono un piccolo reparto logistico a terra.
L’impiego della base i Gibuti da parte del nostro personale militare e’ oggetto di un accordo bilterale (Italia - Repubblica di Gibuti) che prevede per il 2012 forniture militari italiane per un valore pari a circa 430.000 euro (essenzialmente mezzi militari gommati).
Attualmente ogni squadra di 6 uomini imbarcata per la tratta di navigazione in aree a rischio, ha un costo per l’armatore pari a 2.100,00 euro/giorno. (praticamente una pacchia rispetto ai costi delle security company private)
L’imbarco dei nostri militari a bordo delle navi italiane e’ stato reso possibile grazie all’accordo fra Confitarma e Ministero della Difesa a seguito dell’emanazione del Decreto Legge 12 luglio 2011 - n° 107 (se interessa, qui la trascrizione del testo
http://gazzette.comune.jesi.an.it/2011/160/2.htm).
L’articolo 5 - comma 2 - specifica le attribuzioni ai militari imbarcati.
E qui, a mio giudizio, iniziano i “problemi” che si sono manifestati nel caso dei nostri militari detenuti in India.
Il Decreto in questione non specifica, a seguito ad esempio di intervento armato dei nostri militari, a chi spetti la gestione del comando.
Il paradosso e’ che nella pratica i nostri militari vengono assoggettati al comando di una autorita’ civile (comandante della nave), che - come nel caso di specie - decide di aderire alle richieste di una autorita’ straniera.
La miglior soluzione sarebbe sicuramente rappresentata da servizi di sicurezza privati che pero’, pur essendo contemplati dal decreto (art. 5 comma 4), non possono di fatto essere impiegati a causa della “latitanza” del legislatore che ad oggi non ha ancora varato l’ulteriore decreto di cui all’art. 5 comma 5, nonostante ne sia sancito il termine in 60 giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso Decreto Legge 12 luglio 2011 - n° 107.
Scusa se “l’ho fatta” un po’ lunga...... ma tutto questo e’ per dire che pur non dubitando della preparazione tecnico/professionale dei nostri militari imbarcati, nella fattispecie entra in gioco il rapportarsi con una autorita’ civile che - di fatto - e’ investita del comando di tutto cio' che esula l'azione militare.
Uomini di formazione strettamente militare, possono in casi simili interagire efficacemente con un’autorita’ civile ? (......e viceversa).
E’ giusto che nostri militari operanti su suolo italiano (nave) ed in acque internazionali, pur avendo tutto il diritto di reagire con le armi nei confronti di attacchi da parte di pirati (risoluzioni parlamento europeo 1816 del 02.06.2008 e 1938 del 06.10.2008), si trovino costretti a subire le decisioni di una autorita’ civile ?
Ecco, a mio parere e’ questo rapporto non ben definito fra “militari” e “civili” che puo’ generare situazioni come quella che ora stiamo vivendo.