Gandalf
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Casablanca
Considerata non proprio una città tranquilla e visto che viaggiamo con un piccolo terremoto di 3 anni, decidiamo di visitarla con l’escursione organizzata da Costa che ci farà visitare, oltre a Casablanca, anche la moschea di Hassam II e Rabat con la sua kasbah.
Come tutte le metropoli anche Casablanca è molto caotica: il suo traffico ti stordisce, ma soprattutto ti stordiscono i clacson degli automobilisti marocchini. Qui tutti hanno una gran fretta e sembrano tanti Gioele Dix, incaz….ti neri.
Immersi nel caos cittadino, alla nostra guida, una figura mitologica mix perfetto tra Adolf Hitler e la mia professoressa di Storia delle superiori, scappa addirittura un “meriterebbe due frustate da dietro quest’idiota!” quando un automobilista troppo lento intralcia il nostro cammino.
Il nostro autobus è diretto alla visita di chiesa di Notre Dame de Lourdes che contiene al suo interno delle enormi, 800mq di superficie, e meravigliose vetrate realizzate da Gabriel Loire, maestro vetraio francese di Chartres, e che sono la rappresentazione di alcune apparizioni mariane. Questa riproduzione sacra è composta da più di 20.000 tesserine di vetro colorato, tutte realizzate a mano e diverse l’una dall’altra e pare sia l’unica al mondo dove compare, all’interno di una chiesa, la figura del diavolo. Davvero spettacolare.
All’esterno della chiesa, invece, è presente una riproduzione della grotta di Lourdes e soprattutto una marea di marocchini che cercano di venderti collanine, braccialetti ed abitini di ogni genere. Se non fossimo a Casablanca penserei di essere al Poetto (per chi non la conosce è la storica e lunghissima, 12km, spiaggia urbana di Cagliari, un po’ la nostra Copacabana ) a Ferragosto. L’assillo di questi ragazzi ci seguirà, udite udite, sino a Rabat, dove incontreremo alcuni degli stessi volti visti qui a Casablanca. Incredibile!
Il tour prosegue facendoci visitare diverse strutture governative, molto belle, all’interno e all’esterno delle quali, la nostra guida ci invita (diciamo che invitare è un eufemismo: ci intima) di non fotografare i militari, perché dice di non avere voglia di discutere con loro: visto il caratterino del personaggio non faccio fotografie non per non finire nelle grinfie di qualche militare nelle patrie galere marocchine ma nelle sue!
Dopo i palazzi governativi è l’ora della piazza delle nazioni unite e in seguito della vecchia medina, dove possiamo ammirare tanti prodotti di artigianato locale e soprattutto una fornitissima rivendita di olive: per me che ne vado ghiotto è come per il mio piccolo principe entrare in un negozio di giocattoli. Vorrei toccare tutto e portarmi tutto a casa! La vista è spettacolare: decine di piatti contenenti olive di ogni genere e colore e preparate e condite in altrettanti diversi modi. Il loro prezzo, tra l’altro, è molto conveniente ma sarebbe davvero difficile riuscire a tornare in Italia con un vaso di olive marocchine senza ridurre tutto l’abbigliamento contenuto in valigia simile alla tovaglia della peggior trattoria, per cui rinuncio, mio malgrado a queste prelibatezze.
Finito il nostro tour a piedi è ora di risalire a bordo con “Adolf”.
Ci porterà ora in un negozio di artigianato locale dove potremmo acquistare qualche souvenir: qualcuno dei passeggeri probabilmente gli ha mosso, coraggiosamente, degli appunti e lui ci spiega che non centra nulla con la scelta dei negozi da visitare e che tale scelta è fatta da Costa Crociere insieme alle società turistiche locali. Ammette di essere nativo di quel quartiere e di conoscere personalmente diverse persone di quel negozio e che spesso gli fanno dei regali ma che non ha commissioni su quello che eventualmente abbiamo comprato: mi sembra onesto e soprattutto mi sembra credibile la storia dei “circuiti” privilegiati.
Anche qui facciamo scorta di qualche ricordino e dopo essere stati praticamente assaltati dai soliti venditori, un vero incubo, risaliamo a bordo dell’autobus.
Ci dirigiamo verso il Palazzo Reale e la visita dev’essere stata sinora cosi interessante che un signore francese che sta dietro di noi dorme come un bambino, tanto che, giunti alla meta, scendiamo tutti dal pullman e lui rimane abbracciato al suo Morfeo a bordo. Paolo, impietosito dalla scena, ritorna al pullman e lo sveglia e gli dice che siamo arrivati: lui, probabilmente nemmeno rendendosi conto di dove si trova, scende tutto felice, mostrando due occhi assonnati tipo genitore che non dorme da settimane perché il pargolo ha le coliche , e si accoda al gruppo. Si renderà conto solo dopo diversi minuti dove si trova.
La guida ci informa che qui potremo anche fotografare, anche se a distanza, le guardie e i militari.
Ci racconta un po’ della storia del Re e di come sia visto dalla popolazione locale: si legge nelle sue parole l’estremo rispetto che portano nei confronti della famiglia reale e la fiducia anche nelle capacità di governo del suo massimo rappresentante.
Ci avviciniamo agli alloggi reali ma possiamo osservare la struttura solo da lontano: siamo d’altronde sempre in un luogo molto protetto, per ovvie ragioni. Si scatta qualche foto e si torna al nostro amato autobus.
Ci deve portare a visitare quella meraviglia che è la moschea di Hassan II: io non sono esattamente quello che si può definire un amante dei luoghi di culto ma questa struttura è incredibile, enorme, bellissima, affascinante, molto ma molto attraente.
E’ lunga 200mt e larga più di 100 e si sviluppa su più livelli. Il suo minareto, con i suoi 210 metri, è il più alto del mondo. All’interno c’è una zona soppalcata che ospita solamente le donne in preghiera. Il venerdi alle 12, giorno e orario di preghiera più sentito, questa meraviglia riesce ad accogliere più di 25.000 persone e nonostante questo non ospita tutti i fedeli: la piazza, infatti, enorme, può contenere oltre 80.000 persone e fa da luogo di preghiera per chi non riuscirà ad essere tra i 25.000 fortunati.
Per entrare al suo interno ci invitano a toglierci le scarpe e ci danno una busta per contenere le scarpe: qualcuno non capisce lo scopo della busta e, dopo averne chiesto un’altra, invece di infilarci le scarpe ci infila i piedi e le usa a mò di moppine domestiche.
L’interno è davvero spettacolare: il marmo di Carrara ricopre l’intera superficie del pavimento, il legno di cedro decorato a mano costituisce l’imperiosa struttura del tetto (oltre 1.000 tonnellate di peso) che è capace anche di aprirsi in due sezioni e far entrare la luce del sole all’interno di questa meraviglia.
Al soffitto, poi, sono appesi dei fantastici lampadari in vetro di Murano e le pareti sono interamente decorate a mano e, riportando i classici motivi geometrici di stile marocchino, completamente rivestite di gesso misto a pietra.
L’arte italiana è molto presente qui dentro: oltre al marmo e al vetro di Murano, anche le finestre sono state interamente realizzate da artigiani italiani.
La cosa che più attrae la mia attenzione è, però, la fantastica porta principale di questa moschea: è enorme, bellissima ed è fatta interamente in titanio. Fantastica.
Il pavimento è, oltre che molto bello, anche molto freddo! E il fatto di essere scalzi non aiuta: dopo una ventina di minuti il sangue si rifiuta di scendere ai miei piedi e anche se incantato dallo spettacolo che sto osservando non vedo l’ora di rimettere le mie scarpe e risentire il sangue scorrere nelle dita.
L’impressione di essere “dentro” qualcosa di speciale è davvero molto forte e la guida, che “simpaticamente” definivo prima un Fuhrer, con le sue parole ricche di cultura, conoscenza, ma anche di orgoglio, mi trasmette la sensazione che quel posto per loro è molto più di un luogo di culto e preghiera ma è davvero un pezzo della loro storia, della loro religione, di loro stessi.
Usciamo dalla sala di preghiera e, rimesse le nostre amate e calde scarpe, scendiamo al piano inferiore dove sono presenti 41 fontane votive, 38 più piccole e 3 molto grandi, tutte a forma di fiore di loto. Prima di pregare, infatti, bisogna fare le cosidette abluzioni: bisogna purificare il corpo per poter pregare e ci si lava le mani, le braccia, i piedi, il naso, anche al suo interno, le orecchie e ci si bagna i capelli. Le fontane servono allo scopo.
Il pavimento vicino alle fontane è scivolosissimo in quanto il marmo che lo riveste è levigatissimo e l’acqua delle fontane lo rende molto insidioso: la guida ci avverte di stare attenti per evitare di cadere a pelle di leone, fare brutte figure in diretta mondiale, rompersi l’osso del collo e magari pigliarsi due frustate .
La visita di Casablanca per ora è finita: dobbiamo andare a fare la pappa e per l’occasione siamo ospiti del Golden Tulip di Casablanca. Tornati all’autobus, però, scopro con raccapriccio che manca parte della comitiva sarda: Michele, Marta e Stefano, infatti, si sono attardati, per cui, armato di coraggio, scendo e mi dirigo verso la guida, proponendomi volontario per andare a recuperarli: il suo sguardo è simile a quello di Rambo davanti ai vietkong che gli sparano all’impazzata e le sue parole hanno il tono di Ivan Drago in Rocky IV.
Il suo “li ho già visti!” mi fa presagire ritorsioni fisiche al loro ritorno per cui giro i tacchi e torno in pullman, pregando per loro: il posto, poi, è quello giusto. Poco dopo anche loro sono a bordo e non presentano evidenti segni di tortura, meglio cosi.
Recuperato anche un turista svizzero ritardatario (aveva al polso un orologio italiano, da qui il ritardo), anche lui senza segni di frustate o altro, ci dirigiamo verso il nostro hotel a 5 stelle. Che dire? Struttura molto spettacolare, si sale al terzo piano e si pranza a bordo piscina, con tanto di sottofondo musicale naturale dato dall’acqua che scende dalla cascata che fa da coreografia alla piscina.
C’è un piccolo particolare: ci scambiano non per degli europei ma per dei pigmei e approntano in un tavolo, che potrà contenerne al massimo 8 - 9, la bellezza di 12 (!) coperti.
Sono costretto praticamente a mangiare a distanza siderale dal tavolo e a tenere in braccio il bambino cercando di lanciargli in bocca il cibo. Capisco che prima o poi lancerò un pezzo di pollo speziato in piscina quindi chiedo di essere spostato in un altro tavolo: il cameriere mi urla in faccia un “hascallonà” (tipica esclamazione sardo marocchina che significa “mi stai leggermente disturbando”) però mi prepara immediatamente un altro tavolo dove ci accomodiamo con tutta la compagnia.
Il pranzo è tipico locale: infatti digerirò le pietanze ingerite solo dopo 3 giorni a causa del loro “leggerissimo” grado di speziatura. I dolci, però, sono semplicemente S T R A O R D I N A R I ! Ne faremo tutti una gran scorpacciata.
Un consiglio: non chiedete di usufruire dei bagni in questa struttura, almeno non di quelli del 3° piano e all’interno del centro benessere, perché sono letteralmente imbarazzanti! Non sono nemmeno da mezza stella!
Finita la pausa pranzo e cambiato, senza sapere mai il perché, l’autobus, subito ci dirigiamo verso l’autostrada che ci condurrà a Rabat per visitare il mausoleo di Hassan V, che è stato fatto costruire dal figlio per contenere sia la sua salma del padre che del fratello, scomparso in giovane età. Anche questa struttura è molto bella e molto belle sono anche le divise delle guardie che la proteggono, anche a cavallo.
La visita dura pochi minuti e quindi risaliamo in autobus, che ci condurrà verso la kasbah di Rabat: non è un mercato come molti potrebbero pensare ma solo un quartiere della città racchiuso tra mura di fortificazione. In lingua marocchina kasbah significa appunto questo (almeno cosi dice Adolf ).
Al suo interno veniamo presi d’assalto in sequenza da:
una donna che rischiando di strapparle un braccio cerca di fare un tatuaggio provvisorio non desiderato a Vale e poi a Magna (dice che sparirà dopo 15 giorni ma qualche turista che ci ha provato in passato prova tutt’oggi, dopo 3 anni, a farlo andare via ma sembra che solo l’amputazione possa farlo sparire), due ragazzine che adocchiando borse e borsette chiedono l’elemosina, un fotografo che cerca di venderci, riuscendoci, le foto che ci ha scattato la mattina alla moschea e i soliti venditori di collanine/abitini che ci seguono dalla prima chiesa visitata al mattino e che sono palesemente soci delle due ragazzine.
La kasbah è, comunque, carina, col suo dedalo di vicoli e vicoletti ma entrare la dentro da soli può significare uscirne nudi e privati anche dell’anima. Finita la visita alla kasbah che qualcuno nei suoi filmati spaccerà per la kasbah di Marrakech torniamo al pullman e ci dirigiamo in direzione del porto. Il tramonto è iniziato e il sole calante disegnerà dei panorami spettacolari sull’oceano durante il nostro viaggio di rientro.
Qualcuno ripete le canzoni intonate al pomeriggio e cala pesantemente la testa sui vetri dell’autobus: tutti desideriamo solamente risalire a bordo della nave.
Un’oretta e siamo al porto: il tempo di ritirare il passeggino e mi avvicino a salutare la nostra guida. L’ho un po’ presa in giro, senza farmi sentire sennò erano guai, per tutto il viaggio ma a me piaceva: il suo modo diretto e spiccio denotava solo, secondo me, grande rigore e disciplina, ma è un uomo di gran cultura e anche educazione. Il suo sorriso a 200 denti quando lo ringrazio mi fa molto piacere come i suoi auguri, a tutti noi, delle migliori fortune nella nostra vita.
Considerata non proprio una città tranquilla e visto che viaggiamo con un piccolo terremoto di 3 anni, decidiamo di visitarla con l’escursione organizzata da Costa che ci farà visitare, oltre a Casablanca, anche la moschea di Hassam II e Rabat con la sua kasbah.
Come tutte le metropoli anche Casablanca è molto caotica: il suo traffico ti stordisce, ma soprattutto ti stordiscono i clacson degli automobilisti marocchini. Qui tutti hanno una gran fretta e sembrano tanti Gioele Dix, incaz….ti neri.
Immersi nel caos cittadino, alla nostra guida, una figura mitologica mix perfetto tra Adolf Hitler e la mia professoressa di Storia delle superiori, scappa addirittura un “meriterebbe due frustate da dietro quest’idiota!” quando un automobilista troppo lento intralcia il nostro cammino.
Il nostro autobus è diretto alla visita di chiesa di Notre Dame de Lourdes che contiene al suo interno delle enormi, 800mq di superficie, e meravigliose vetrate realizzate da Gabriel Loire, maestro vetraio francese di Chartres, e che sono la rappresentazione di alcune apparizioni mariane. Questa riproduzione sacra è composta da più di 20.000 tesserine di vetro colorato, tutte realizzate a mano e diverse l’una dall’altra e pare sia l’unica al mondo dove compare, all’interno di una chiesa, la figura del diavolo. Davvero spettacolare.
All’esterno della chiesa, invece, è presente una riproduzione della grotta di Lourdes e soprattutto una marea di marocchini che cercano di venderti collanine, braccialetti ed abitini di ogni genere. Se non fossimo a Casablanca penserei di essere al Poetto (per chi non la conosce è la storica e lunghissima, 12km, spiaggia urbana di Cagliari, un po’ la nostra Copacabana ) a Ferragosto. L’assillo di questi ragazzi ci seguirà, udite udite, sino a Rabat, dove incontreremo alcuni degli stessi volti visti qui a Casablanca. Incredibile!
Il tour prosegue facendoci visitare diverse strutture governative, molto belle, all’interno e all’esterno delle quali, la nostra guida ci invita (diciamo che invitare è un eufemismo: ci intima) di non fotografare i militari, perché dice di non avere voglia di discutere con loro: visto il caratterino del personaggio non faccio fotografie non per non finire nelle grinfie di qualche militare nelle patrie galere marocchine ma nelle sue!
Dopo i palazzi governativi è l’ora della piazza delle nazioni unite e in seguito della vecchia medina, dove possiamo ammirare tanti prodotti di artigianato locale e soprattutto una fornitissima rivendita di olive: per me che ne vado ghiotto è come per il mio piccolo principe entrare in un negozio di giocattoli. Vorrei toccare tutto e portarmi tutto a casa! La vista è spettacolare: decine di piatti contenenti olive di ogni genere e colore e preparate e condite in altrettanti diversi modi. Il loro prezzo, tra l’altro, è molto conveniente ma sarebbe davvero difficile riuscire a tornare in Italia con un vaso di olive marocchine senza ridurre tutto l’abbigliamento contenuto in valigia simile alla tovaglia della peggior trattoria, per cui rinuncio, mio malgrado a queste prelibatezze.
Finito il nostro tour a piedi è ora di risalire a bordo con “Adolf”.
Ci porterà ora in un negozio di artigianato locale dove potremmo acquistare qualche souvenir: qualcuno dei passeggeri probabilmente gli ha mosso, coraggiosamente, degli appunti e lui ci spiega che non centra nulla con la scelta dei negozi da visitare e che tale scelta è fatta da Costa Crociere insieme alle società turistiche locali. Ammette di essere nativo di quel quartiere e di conoscere personalmente diverse persone di quel negozio e che spesso gli fanno dei regali ma che non ha commissioni su quello che eventualmente abbiamo comprato: mi sembra onesto e soprattutto mi sembra credibile la storia dei “circuiti” privilegiati.
Anche qui facciamo scorta di qualche ricordino e dopo essere stati praticamente assaltati dai soliti venditori, un vero incubo, risaliamo a bordo dell’autobus.
Ci dirigiamo verso il Palazzo Reale e la visita dev’essere stata sinora cosi interessante che un signore francese che sta dietro di noi dorme come un bambino, tanto che, giunti alla meta, scendiamo tutti dal pullman e lui rimane abbracciato al suo Morfeo a bordo. Paolo, impietosito dalla scena, ritorna al pullman e lo sveglia e gli dice che siamo arrivati: lui, probabilmente nemmeno rendendosi conto di dove si trova, scende tutto felice, mostrando due occhi assonnati tipo genitore che non dorme da settimane perché il pargolo ha le coliche , e si accoda al gruppo. Si renderà conto solo dopo diversi minuti dove si trova.
La guida ci informa che qui potremo anche fotografare, anche se a distanza, le guardie e i militari.
Ci racconta un po’ della storia del Re e di come sia visto dalla popolazione locale: si legge nelle sue parole l’estremo rispetto che portano nei confronti della famiglia reale e la fiducia anche nelle capacità di governo del suo massimo rappresentante.
Ci avviciniamo agli alloggi reali ma possiamo osservare la struttura solo da lontano: siamo d’altronde sempre in un luogo molto protetto, per ovvie ragioni. Si scatta qualche foto e si torna al nostro amato autobus.
Ci deve portare a visitare quella meraviglia che è la moschea di Hassan II: io non sono esattamente quello che si può definire un amante dei luoghi di culto ma questa struttura è incredibile, enorme, bellissima, affascinante, molto ma molto attraente.
E’ lunga 200mt e larga più di 100 e si sviluppa su più livelli. Il suo minareto, con i suoi 210 metri, è il più alto del mondo. All’interno c’è una zona soppalcata che ospita solamente le donne in preghiera. Il venerdi alle 12, giorno e orario di preghiera più sentito, questa meraviglia riesce ad accogliere più di 25.000 persone e nonostante questo non ospita tutti i fedeli: la piazza, infatti, enorme, può contenere oltre 80.000 persone e fa da luogo di preghiera per chi non riuscirà ad essere tra i 25.000 fortunati.
Per entrare al suo interno ci invitano a toglierci le scarpe e ci danno una busta per contenere le scarpe: qualcuno non capisce lo scopo della busta e, dopo averne chiesto un’altra, invece di infilarci le scarpe ci infila i piedi e le usa a mò di moppine domestiche.
L’interno è davvero spettacolare: il marmo di Carrara ricopre l’intera superficie del pavimento, il legno di cedro decorato a mano costituisce l’imperiosa struttura del tetto (oltre 1.000 tonnellate di peso) che è capace anche di aprirsi in due sezioni e far entrare la luce del sole all’interno di questa meraviglia.
Al soffitto, poi, sono appesi dei fantastici lampadari in vetro di Murano e le pareti sono interamente decorate a mano e, riportando i classici motivi geometrici di stile marocchino, completamente rivestite di gesso misto a pietra.
L’arte italiana è molto presente qui dentro: oltre al marmo e al vetro di Murano, anche le finestre sono state interamente realizzate da artigiani italiani.
La cosa che più attrae la mia attenzione è, però, la fantastica porta principale di questa moschea: è enorme, bellissima ed è fatta interamente in titanio. Fantastica.
Il pavimento è, oltre che molto bello, anche molto freddo! E il fatto di essere scalzi non aiuta: dopo una ventina di minuti il sangue si rifiuta di scendere ai miei piedi e anche se incantato dallo spettacolo che sto osservando non vedo l’ora di rimettere le mie scarpe e risentire il sangue scorrere nelle dita.
L’impressione di essere “dentro” qualcosa di speciale è davvero molto forte e la guida, che “simpaticamente” definivo prima un Fuhrer, con le sue parole ricche di cultura, conoscenza, ma anche di orgoglio, mi trasmette la sensazione che quel posto per loro è molto più di un luogo di culto e preghiera ma è davvero un pezzo della loro storia, della loro religione, di loro stessi.
Usciamo dalla sala di preghiera e, rimesse le nostre amate e calde scarpe, scendiamo al piano inferiore dove sono presenti 41 fontane votive, 38 più piccole e 3 molto grandi, tutte a forma di fiore di loto. Prima di pregare, infatti, bisogna fare le cosidette abluzioni: bisogna purificare il corpo per poter pregare e ci si lava le mani, le braccia, i piedi, il naso, anche al suo interno, le orecchie e ci si bagna i capelli. Le fontane servono allo scopo.
Il pavimento vicino alle fontane è scivolosissimo in quanto il marmo che lo riveste è levigatissimo e l’acqua delle fontane lo rende molto insidioso: la guida ci avverte di stare attenti per evitare di cadere a pelle di leone, fare brutte figure in diretta mondiale, rompersi l’osso del collo e magari pigliarsi due frustate .
La visita di Casablanca per ora è finita: dobbiamo andare a fare la pappa e per l’occasione siamo ospiti del Golden Tulip di Casablanca. Tornati all’autobus, però, scopro con raccapriccio che manca parte della comitiva sarda: Michele, Marta e Stefano, infatti, si sono attardati, per cui, armato di coraggio, scendo e mi dirigo verso la guida, proponendomi volontario per andare a recuperarli: il suo sguardo è simile a quello di Rambo davanti ai vietkong che gli sparano all’impazzata e le sue parole hanno il tono di Ivan Drago in Rocky IV.
Il suo “li ho già visti!” mi fa presagire ritorsioni fisiche al loro ritorno per cui giro i tacchi e torno in pullman, pregando per loro: il posto, poi, è quello giusto. Poco dopo anche loro sono a bordo e non presentano evidenti segni di tortura, meglio cosi.
Recuperato anche un turista svizzero ritardatario (aveva al polso un orologio italiano, da qui il ritardo), anche lui senza segni di frustate o altro, ci dirigiamo verso il nostro hotel a 5 stelle. Che dire? Struttura molto spettacolare, si sale al terzo piano e si pranza a bordo piscina, con tanto di sottofondo musicale naturale dato dall’acqua che scende dalla cascata che fa da coreografia alla piscina.
C’è un piccolo particolare: ci scambiano non per degli europei ma per dei pigmei e approntano in un tavolo, che potrà contenerne al massimo 8 - 9, la bellezza di 12 (!) coperti.
Sono costretto praticamente a mangiare a distanza siderale dal tavolo e a tenere in braccio il bambino cercando di lanciargli in bocca il cibo. Capisco che prima o poi lancerò un pezzo di pollo speziato in piscina quindi chiedo di essere spostato in un altro tavolo: il cameriere mi urla in faccia un “hascallonà” (tipica esclamazione sardo marocchina che significa “mi stai leggermente disturbando”) però mi prepara immediatamente un altro tavolo dove ci accomodiamo con tutta la compagnia.
Il pranzo è tipico locale: infatti digerirò le pietanze ingerite solo dopo 3 giorni a causa del loro “leggerissimo” grado di speziatura. I dolci, però, sono semplicemente S T R A O R D I N A R I ! Ne faremo tutti una gran scorpacciata.
Un consiglio: non chiedete di usufruire dei bagni in questa struttura, almeno non di quelli del 3° piano e all’interno del centro benessere, perché sono letteralmente imbarazzanti! Non sono nemmeno da mezza stella!
Finita la pausa pranzo e cambiato, senza sapere mai il perché, l’autobus, subito ci dirigiamo verso l’autostrada che ci condurrà a Rabat per visitare il mausoleo di Hassan V, che è stato fatto costruire dal figlio per contenere sia la sua salma del padre che del fratello, scomparso in giovane età. Anche questa struttura è molto bella e molto belle sono anche le divise delle guardie che la proteggono, anche a cavallo.
La visita dura pochi minuti e quindi risaliamo in autobus, che ci condurrà verso la kasbah di Rabat: non è un mercato come molti potrebbero pensare ma solo un quartiere della città racchiuso tra mura di fortificazione. In lingua marocchina kasbah significa appunto questo (almeno cosi dice Adolf ).
Al suo interno veniamo presi d’assalto in sequenza da:
una donna che rischiando di strapparle un braccio cerca di fare un tatuaggio provvisorio non desiderato a Vale e poi a Magna (dice che sparirà dopo 15 giorni ma qualche turista che ci ha provato in passato prova tutt’oggi, dopo 3 anni, a farlo andare via ma sembra che solo l’amputazione possa farlo sparire), due ragazzine che adocchiando borse e borsette chiedono l’elemosina, un fotografo che cerca di venderci, riuscendoci, le foto che ci ha scattato la mattina alla moschea e i soliti venditori di collanine/abitini che ci seguono dalla prima chiesa visitata al mattino e che sono palesemente soci delle due ragazzine.
La kasbah è, comunque, carina, col suo dedalo di vicoli e vicoletti ma entrare la dentro da soli può significare uscirne nudi e privati anche dell’anima. Finita la visita alla kasbah che qualcuno nei suoi filmati spaccerà per la kasbah di Marrakech torniamo al pullman e ci dirigiamo in direzione del porto. Il tramonto è iniziato e il sole calante disegnerà dei panorami spettacolari sull’oceano durante il nostro viaggio di rientro.
Qualcuno ripete le canzoni intonate al pomeriggio e cala pesantemente la testa sui vetri dell’autobus: tutti desideriamo solamente risalire a bordo della nave.
Un’oretta e siamo al porto: il tempo di ritirare il passeggino e mi avvicino a salutare la nostra guida. L’ho un po’ presa in giro, senza farmi sentire sennò erano guai, per tutto il viaggio ma a me piaceva: il suo modo diretto e spiccio denotava solo, secondo me, grande rigore e disciplina, ma è un uomo di gran cultura e anche educazione. Il suo sorriso a 200 denti quando lo ringrazio mi fa molto piacere come i suoi auguri, a tutti noi, delle migliori fortune nella nostra vita.
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