Dopo una sollecitazione che non si può rifiutare (mia moglie!) torno sulla questione
della condizione femminile in questi Paesi e sull'uso del velo, esulando per una volta
dalla leggerezza che dovrebbe contraddistinguere un forum sulle crociere...
E' vero che gli Emirati sono per alcune scelte più avanzati di altre nazioni islamiche (a cominciare dall'Arabia Saudita dove una donna
non può guidare da sola l'auto) ma la frequenza con cui si incontrano donne con l'abaya integrale (il vestito nero che copre dalla testa
ai piedi) è comunque notevole. Anche in Paesi molto occidentalizzati come Dubai l'incontro
è più probabile rispetto a un normale tour tra popoli che hanno già conosciuto (finta o reale che sia stata)
la democrazia come Tunisia o Egitto. A nostro parere, lo Stato
monarchico e teocratico degli sceicchi rallenta in ogni caso il processo di liberazione
delle donne: se la poligamia è stata abolita sin dagli anni Cinquanta in alcuni Paesi arabi,
negli Emirati è ancora possibile avere fino a quattro mogli.
Come è noto, il fondamento di un simile modo di vestire delle donne viene trovato
nella sura 24 del Corano, anche se alcuni studiosi fanno risalire l'uso addirittura
ad un'epoca pre-islamica e alle abitudini dei beduini. In alcuni casi (vedi la regina
del Qatar) tale interpretazione è messa in discussione in tutto o in parte. In base
a questa applicazione della Sura, il corpo della donna viene coperto totalmente (burqa),
si lasciano scoperti almeno gli occhi (niqab) o si coprono soltanto la testa e i capelli
con un velo quadrato (hijab) che può essere nero ma anche colorato (quest'ultimo
è uno dei souvenir più apprezzati nei negozi). In alcuni casi, infine, abbiamo incontrato donne
che indossavano, oltre al velo, anche maschere di pelle che coprono la bocca e parte
delle guance come in queste due foto.
L'uso di questa sorta di "museruola", che ci ha lasciati sconcertati, non è avvertito
come politically uncorrect dalle autorità locali, tanto che
nel libro fotografico che viene distribuito ai turisti nel terminal crocieristico di Abu
Dhabi una pagina è dedicata proprio a una donna con questa maschera. La didascalia
del libro dice soltanto che è un uso della tradizione consentito e che ha per la donna il significato
"di mostrare la sua modestia e umiltà".
Consapevoli del rispetto dovuto alle tradizioni religiose, forse è bene concludere (ovviamente
non è questa la sede più adatta per analizzare più a lungo un tema del genere) con la citazione di una donna araba. Si tratta
di Ayaan Hirsi Ali, la somala che, arrivata in Olanda, stava collaborando col regista Theo Van Gogh
per il film Submission. Questo lavoro era centrato proprio sulla condizione femminile delle donne
nell'Islam: un fondamentalista marocchino ha però impedito che venisse concluso, uccidendo il regista a coltellate.
Scrive Ayaan: "So che accettare la presenza dell'Islam in Occidente non basta ad allontanare la realtà.
Persiste nell'Islam una mentalità feudale basata sui concetti tribali di onore e vergogna, si fonda sull'illusione,
sfrutta i progressi tecnologici dell'Occidente. Io mi sono trasferita dal mondo dell'infibulazione
e dei matrimoni combinati a quello dell'emancipazione sessuale, al mondo dei valori e dei diritti
delle persone...Non ho più voluto essere una di quelle donne ingabbiate".