La storia delle miniere delle isole Svalbard è una storia recente, i segni sono ancora visibili nella cittadina, lasciati appositamente a ricordo di quel nonno, zio, o semplicemente concittadino, che per quel lavoro, quel guadagno, era disposto a una vita quasi all'estremo di tutto.
Nel museo cittadino, sede anche dell'università dove si studia Geologia, Paleontologia, e numerose altre materie che trovano materiale didattico facilmente nelle isole, c'è una raffigurazione in scala reale del lavoro svolto dall'operaio minatore
a pensare che degli uomini lavorassero così, in queste condizioni, in questi spazi, con quella polvere nera che gli dipingeva il volto, mi aveva lasciato senza fiato e senza parole. Ma quando dalla voce della guida sentii la parola "explosion" e vidi questo luogo
capii subito, pur non conoscendo quasi nulla di inglese, il tono di voce del simpatico Capitan Nostromo era sempre più basso e triste, non so se stesse recitando la parte, perchè lo sappiamo chissà quante volte ha ripetuto quel giro e dette quelle parole, ma il messaggio mi arrivò fino in fondo, rimasi esterrefatto.
Noi li eravamo turisti, giunti fino a li per conoscere e divertirci, e gli abitanti di quei posti ci mostravano una parte triste della loro storia, ferma li dal 1920.
Quella storia diventò ancora più triste e incredibile quando Francesca, che comprende un po meglio l'inglese, mi spiegò che alcuni corpi delle 28 vittime dell'esplosione furono addirittura trovati dall'altra parte della vallata.
Ecco cos'erano quei tralicci della funivia, con le carrucole ferme da tempo
segnano la fatica di uomini giunti fino a li per lavorare, per i quali si trova eretto in memoria forse l'unico monumento di Longyearbyen, quello del minatore, al quale mi sentii di dare la mano in segno di vicinanza e comprensione.