Un bellissimo sole che sorge su Las Vegas è quello che ci vuole per enfatizzare l’inizio di una tappa che si preannuncia non eccessivamente lunga ma sicuramente non priva di soddisfazioni.
Tuttavia, nonostante mi sia svegliato presto, non riesco a capire come mai, quasi sempre, i preparativi per la partenza comportino un tempo esagerato e non mi metto in strada prima delle nove.
Questa volta però c’è una spiegazione perché il casinò del mio hotel è parte in causa, rilevante.
Ho già accennato che i tavoli da gioco e le macchinette mangia soldi sono posizionate lungo il grande salone dell’ingresso, ben prima del banco della
reception, e hanno il compito di allettare e spingere i clienti a tentare la fortuna. Qualcuno deve per forza di cose cadere nella trappola!
Quel “qualcuno”, in questo momento sono proprio io, che, pur essendo in procinto di lasciare l’albergo, abbocco all’amo che mi spinge a giocare un dollaro alla
roulette. Al tavolo non c’è alcun giocatore e il
croupier, guardandomi con un ghigno sfacciatamente sarcastico, a ragione del mio esiguo budget, mi avverte che per “tentare” la fortuna ci vogliono almeno cinque dollari.
Sono perplesso e sto quasi per allontanarmi ma l’istinto che ti spinge a rivaleggiare ha il sopravvento e gioco quei dollari sul “rosso”, sperando di vincerne altrettanti.
Il
croupier mette in funzione la
roulette, infila la pallina bianca e attendo che cada sul colore che ho scelto. Poche veloci giravolte e il risultato è che …ho perso! La pallina si è incanalata sul “nero”.
Un po’ deluso, questa volta non mi faccio sopraffare dallo spirito di rivincita e decido che è meglio andare a prendere la macchina dal garage per raggiungere
Zion Park e
Bryce Canyon, lontani 250 chilometri. Sono due gioielli dai paesaggi fantastici fra i numerosi parchi nazionali degli Stati Uniti ed entrambi si trovano nello
Utah, lo stato dei Mormoni che ne annovera ben altri otto, per lo più nella parte meridionale.
Il cuore di
Zion Park è una vallata lunga circa 16 chilometri scavata nei millenni dal fiume
Virgin e il canyon formatosi è l’unico fra tutti gli altri presenti negli Stati Uniti che possa essere percorso ed esplorato comodamente a bordo di un’automobile. Si ipotizza che il nome Zion sia stato attribuito da alcuni mormoni che ritenevano di aver trovato in quel luogo la Sion descritta dal profeta Isaia nella Bibbia.
Il
Bryce Canyon, nonostante il nome, non è un vero e proprio canyon, ma un altopiano eroso da vento, acqua e gelo che hanno dato vita a fantasmagoriche rocce colorate a forma di pinnacoli chiamati
hoodoos e lo spettacolo per quanti lo visitano è assicurato.
Per l’escursione in quei due parchi, queste le informazioni che ho sommariamente disponibili nel mio
road book.
Per uscire da Las Vegas, nel mio libro guida di navigazione sono indicate due possibilità: la prima, più veloce, prevede di percorrere un breve tratto di
Tropicana Avenue e salire poi sull’autostrada
Interstate 15; la seconda, più lunga, mi farebbe percorrere tutta la
strip e poi, per mezzo di un raccordo, mi offrirebbe l’opportunità di immettermi sulla medesima autostrada.
Qualche indecisione sul da farsi, ma alla fine, già che ci sono, scelgo di percorrere tutto
Las Vegas Boulevard. Così facendo, ho anche la possibilità di poter vedere quello che si trova al di là di
Bellagio e del
Caesars Palace, raggiunti ieri a piedi.
A quest’ora del mattino non c’è molto traffico e dopo aver fatto il pieno di benzina a un distributore alle spalle del mio albergo, mi accingo a percorrere tutta
The Strip.
Il tempo è splendido e sereno e tutti i casinò e le attrattive turistiche visti ieri sfilano velocemente a destra e sinistra dei miei finestrini fino a
Paris Las Vegas.
Passo un incrocio ed ecco che compare a sinistra il grande complesso del
Mirage dove mi risulta che vada in scena lo spettacolo di eruzione vulcanica con esplosioni, fuochi e lava. Tutto, ovviamente, rigorosamente finto. L’importante è attrarre e intrattenere i visitatori con la subdola intenzione di spennarli ai tavoli da gioco.
Di fronte al
Mirage, alla mia destra il casinò
Venetian, con la sua tematica architettonica dedicata a Piazza San Marco con tanto di gondole e gondolieri, asiatici per lo più, che nei canali finti di Venezia cantano in italiano ‘
O surdato ‘nnammurato, oppure altre ben note canzoni
.
Ancora un incrocio e si parano, da una parte e dall’atra,
Treasure Island e
The Palazzo.
Ovviamente, questi che ho citato sono forse i casinò più gettonati ma, oltre la strada, a destra e sinistra, fra discoteche, pub, ristoranti, passatempo e negozi, ce ne sono moltissimi altri e vale per tutti il casinò
Circus Circus dove si dice che ci siano trapezisti che volteggiano sui tavoli da gioco per divertire ancor più gli incalliti scommettitori.
Più avanti è in costruzione
Riviera, casinò in stile marinaresco, e almeno altri quattro sono già quasi completati, mentre la fine di questo lunghissimo
boulevard sembra essere definito da una torre altissima, molto simile alla
CN Tower di Toronto:
Stratosphere Las Vegas. La torre è il “biglietto da visita” con il quale si presenta ai turisti questo casinò con hotel e attrazioni ad alta quota.
Dal momento della partenza ho percorso più di dieci chilometri, tanti in questo specie di autostrada che taglia Las Vegas, città piena di stravaganti illusioni alla quale, in ogni caso e per puro divertimento, bisogna dedicare più tempo rispetto a quello dell’infarinatura della mia visita.
Sembra che da
Stratosphere in poi il paesaggio cambi perché abbondano basse costruzioni a un sol piano,
motel di poco conto, infrastrutture logistiche, saloni di noleggio auto e distributori di carburante. Sono certo di essere giunto al termine di
Las Vegas Boulevard e sono prossimo al punto evidenziato nella mia guida cartacea dove devo svoltare per dirigermi sulla
Interstate 15. Comunque, a scanso di equivoci, metto in funzione il navigatore del cellulare che mi fornirà indicazioni più precise per prendere la direzione che ho programmato.
Non mi sembra vero, ma un cartello stradale mi informa che mi sto dirigendo verso
Down Town Las Vegas, cioè “in centro città” e allora mi chiedo: “Fin’ora dove sono stato?”
Il percorso avanza fra due corsie con spartitraffico centrale abbellito dalle consuete palme e la sensazione è quella di trovarmi in una grande e anonima zona periferica di una città che devo attraversare. Il mio navigatore, intanto, indica di tirar dritto e per ora non vedo cartelli con l’indicazione dell’autostrada.
Ad un tratto e inaspettatamente, in prossimità di un incrocio, la voce femminile artefatta del cellulare, facendomi sobbalzare, mi avverte di svoltare a sinistra e continuare dritto ancora per poco. Ho l’impressione che la strada su cui transito e che conduce al raccordo autostradale sia stata realizzata di recente perché le canalizzazioni di cemento grigio sono nuove e pulitissime. Qualche centinaia di metri più avanti, ecco apparire quasi d’incanto un piccolo cartello verde:
Free Entrance –
Nord e la sagoma dello scudo rosso/blu della
Interstate 15.
Insomma, guidando piano per poter “guardare”, a causa di grandi incroci con semaforo, del traffico e di qualche cantiere stradale, ho impiegato almeno un’ora per uscire da Las Vegas.
Incomincio a viaggiare tranquillo sull’autostrada dove il deserto è ancora protagonista, assieme alle costruzioni della nuova zona nord di espansione di quella città. Il contachilometri parziale dell’auto, lasciata parcheggiata all’hotel, segna ora 40 chilometri ed è questa la sua estensione territoriale est/ovest,
hinterland compreso.
Uno sguardo alla mappa satellitare del telefono mi fa comprendere che devo percorre almeno 180 chilometri, in circa due ore abbondanti, prima di uscire dalla I/15 per recarmi al parco nazionale dello Zion e purtroppo sono già le 11:00. Devo affrettarmi!
104 chilometri di autostrada che si snoda nell’arido e monotono deserto, con un caldo fuori dalla macchina che sfiora i 38°, non sono proprio una piacevole passeggiata almeno fino a quando arrivo a
Mesquite, una città dotata di tutti i confort e molto verde perché lambita dal
Virgin River, un fiume che regala
umus fertile al terreno circostante.
Di solito, nei pressi delle zone abitate, piccole o grandi che siano, c’è sempre la possibilità di uscire dall’autostrada per far benzina, mangiare o riposarsi in albergo e tutto questo è sistematicamente segnalato da grossi cartelli con le insegna delle compagnie petrolifere, dei motel e del Subway, a me caro.
L’insediamento di
Mesquite non fa eccezione, ma ha una particolarità importante: è a soli 3 km dal confine del Nevada e l’ultima possibilità per chi lascia questo stato di …giocare al casinò.
Dopo due ore di viaggio ci vuole una sosta e così approfitto per andare a dare un’occhiata.
Il casinò e
resort si chiama
Casablanca, una bella struttura appetibile collocata in un parco messo a verde con cascatelle e piscine rilassanti. Pertanto, questa sorta di oasi marocchina nel deserto è un
location – termine ora molto in voga - che accoglie elegantemente i proprietari delle molte automobili che vedo parcheggiate, desiderosi di spendere gli ultimi dollari al gioco d’azzardo.
Riparto dopo essermi fermato poco tempo, osservando che le case e tutte le altre attività sono costruzioni a un sol piano e quindi il territorio sul quale insiste l’urbanizzazione è allungato a dismisura. Una cosa mi sorprende ancora ed è un cavalcavia dove sono state eseguite pitture geometriche che richiamano l’arte espressiva di indiani o messicani che prima dei pionieri hanno abitato questa zona di deserto, fortunatamente bagnata dal fiume
Virgin. E impensabile come sia stata ben sfruttata l’acqua perché passo davanti a un parco comunale verdissimo e perfettamente rasato che contrasta in modo spietato con l’aridità che si trova dalla parte opposta, a sinistra dell’autostrada.
D’un tratto avvisto la grande insegna, posta sul confine del Nevada, che mi dà il benvenuto in un nuovo stato americano:
ARIZONA.
– The Grand Canyon State Welcomes You.
In realtà, questo mio transito in Arizona è breve perché, percorrendo appena 50 chilometri, passa nell’angolo nord/ovest del quadrato dei confini dello stato raggiungendo subito dopo quello dello
Utah. Il paesaggio non è che cambi molto, arido era e arido rimane, tranne un esteso campo da golf che appare quasi subito alla mia destra, quasi fosse un miraggio.
Ancora zona desertica quindi, ma davanti si profilano alcune alture attraverso le quali dovrei passare. Proseguendo, mi sembra di percorrere, con ampie curve, una sorta di canyon scavato nella roccia e non pochi sono i cartelli che avvertono di stare attenti alla caduta massi, anche di grosse dimensioni.
Il passo è a 600 metri di altitudine e proprio in questo punto la strada scavalca il fiume
Virgin che scorre biancastro nella gola. Lunghe curve e controcurve si alternano nella lunghissima e lieve discesa verso una vallata desertica inframmezzata da rilievi di modesta entità, fino a quando un rettilineo mi fa attraversare la linea di confine dell’
Arizona. Sto entrando nello stato dello
Utah e poco più avanti un bellissimo cartellone me lo conferma:
Welcome to UTAH – Life Eleveted.
Sono obbligato a scendere dalla macchina e fotografare!
Già che ci sono, esco all’uscita 5 segnalata per recarmi al
Welcome Center, vicinissimo alla città di
St. George. Non devo faticare troppo per trovarlo perché le indicazioni sono ottime e mi ritrovo in un’area grandissima, attrezzata con parcheggi, aiuole fiorite, alberata a dovere e panchine con prato perfettamente rasato.
Il
Visitor Center ha anche un modesto museo che però relaziona a dovere sulla fauna, la flora e la geologia dello Utah. E’ inutile precisare che il personale è molto cortese. Chiedo di favorirmi una mappa dello Stato e questa si rivela assolutamente prodiga di informazioni, consigli per le escursioni nei parchi nazionali e per i tracciati panoramici che si possono praticare.
Intanto il tempo passa e per arrivare a
Zion Park è necessario percorrere ancora 70 chilometri in almeno un’ora di tragitto. Comunque, nessuno mi corre dietro e se devo fermarmi per vedere qualcosa cammin facendo lo faccio volentieri anche perché in tal modo posso stemperare la fatica del viaggio.
Non mi sembra di aver visto qualche indicazione che mi indirizzi verso lo
Zion Park, forse perché sono stato più attento al colore rossastro dell’arenaria che ora caratterizza lo scenario desertico, dopo aver oltrepassato la città di
St.George. Però, dando uno sguardo fuggente al mio
road book, ravviso che fra poco, all’uscita numero 16, dovrò lasciare la Interstate-15 su cui sto ora viaggiando per dirigermi verso
Hurricane. Dopo solo una quindicina di chilometri impegno l’uscita, continuando ora in un territorio molto urbanizzato nel quale il paesaggio è più variegato mentre le aree verdi contrastano efficacemente con l’arenaria rossa, specialmente a
Hurricane, attraversata centralmente dalla UT-9.
Poco oltre questo grande paese, vedo per la prima volta il cartello con fondo marrone, colore tipico per tutte le informazioni turistiche, con l’indicazione per
Zion e
Bryce Canyon che occorre raggiungere seguendo la statale 9 che passa per
Virgin e
Springdale.
L’ambiente, ancorché desertico, è collinoso con bellissimi colori che vanno dal biancastro al rosato, mentre il territorio ai lati della strada, piano e sterminato, è disseminato di piccoli cespugli di piante grasse che non so da dove possano trarre sostentamento. L’orizzonte, invece, è delimitato dalle
mesa, altopiani caratteristici di queste regioni occidentali degli Stati Uniti.
Nelle note del roadbook è evidenziato che sulla statale, prima di arrivare a
Virgin, si trova
Fort Zion e di lì a poco, sulla sinistra, protetto alle spalle da una
mesa, trovo una specie di fortino, del tutto simile a quelli che si vedono nei film western. Entro nel parcheggio, non scendo e faccio un giro distrattamente perché, a parte l’ambientazione decisamente
old west con tanto di carro, banca e prigione di stampo pioneristico, è solo e soltanto un punto vendita di souvenir.
Il transito del paese di
Virgin non riserva sorprese per le poche case sparse e defilate ma più avanti compaiono numerosi alberi dalla folta chioma verde che allietano il paesaggio sul lato destro della strada, segno che è ancora una volta il
Virgin River che compie il suo dovere irrorando le sue sponde. Il tracciato stradale segue l’andamento del fiume, protetto sulla mia sinistra dall’altopiano roccioso che scivola verso una vallata verde e rigogliosa dove, quasi mimetizzato, compare anche un villaggio turistico non di grande rilevanza. Più avanti il paesaggio ha un aspetto più lussureggiante, mentre l’orizzonte è delimitato dalle creste seghettate e appuntite del parco dello
Zion.
Finalmente giungo a
Springdale, quasi una porta di accesso al canyon, e a prima vista sembra essere una bella cittadina. Sono già le due del pomeriggio, fa molto caldo e per giunta devo trovare un motel per pernottare. Al primo che incontro mi chiedono cento dollari e preferisco tentare al campeggio più oltre, ma è esaurito.
So che nel canyon dello
Zion, propriamente detto, si può accedere soltanto con una navetta, peraltro gratuita, che porta fino al cosiddetto
Tempio di Sinawava e lungo il percorso si possono ammirare alcune tra le più spettacolari formazioni del parco. Ho segnato nella mia guida che potrei fare alcuni
trail, in particolare l’
Agel’s Lansing un itinerario lungo cinque miglia della durata di almeno tre o quattro ore. E’ abbastanza faticoso e non consigliabile a persone che soffrono di vertigini, tanto che negli ultimi ottocento metri di percorso è necessario aggrapparsi a delle catene per poter proseguire. Naturalmente arrivati in cima il panorama della valle e del fiume
Virgin River dovrebbero essere bellissimi.
Per il momento devo soprassedere perché con il caldo pomeridiano non si può andare da nessuna parte. Di più, ho anche fame e siccome vedo una specie di locanda, dopo aver convenientemente messo in ombra la macchina sotto le chiome verdi di un albero, approfitto per pranzare. Mi faccio servire carne arrostita con contorno e poi una coppa di gelato talmente freddo che mi ci vuole più di mezz’ora per terminare di gustarlo.
Troppo tardi per intraprendere qualsivoglia escursione e, tenuto conto dell’impossibilità di pernottamento, ho solo un’opportunità: attraversare il parco grazie alla bellissima strada panoramica. In tal modo, potrò anticipare i tempi di domani e dedicare maggior attenzione al
Bryce Canyon.
La tessera dei parchi fa il suo dovere facendomi passare velocemente dal casello dei
rangers e subito dopo lo
Zion Park mostra tutto il suo fascino con dirupi mozzafiato altissimi, incredibili rocce scolpite e colori meravigliosi che variano dal rosso brillante al bianco. Fluisce di fianco il
Virgin River che nel corso dei millenni con l’'azione impetuosa ed erosiva delle sue acque ha messo a nudo l'antichissima storia geologica di questa regione e di questo parco.
La strada panoramica di nove chilometri, attraverso ripidi tornanti, fa cogliere ad ogni curva la spettacolarità di queste rocce che scendono a strapiombo nell’alveo del fiume dove la flora e certamente la fauna trovano il loro ambiente selvaggio per svilupparsi appieno. Poi, dopo un tunnel lungo due chilometri, trovo un’area parcheggio dalla quale è possibile intraprendere il sentiero denominato
Canyon Overlook Trail, non molto lungo e non difficile, che permetterebbe di arrivare a un bellissimo punto panoramico. Manca il tempo, sfortunatamente, ma almeno apprezzo per qualche minuto un bellissimo cervo che, fermo su una roccia, osserva con fierezza tutti noi dall’alto.
Uscendo dal parco lo spettacolo continua perché la strada si sviluppa nei pressi di un affluente del
Virgin con curve e controcurve che fanno apprezzare basse colline sulle quali il colore sabbia e rossastro si fondono insieme sulla tavolozza cromatica del paesaggio.
Quasi dieci chilometri di queste seducenti attrattive e poi d’un tratto compare una grande e bellissima
mesa, colorata di verde sulla sommità per la presenza di una folta vegetazione.
Ancora otto chilometri e la strada, che ora attraversa una sorta di pianura, giunge allo
Zion Mountain Ranch. Niente di particolare, se non fosse opportunamente pubblicizzato da una statua a grandezza naturale di un pellerossa. Poco oltre c’è un recinto di cavalli e poi un altro ancora in cui pascola tranquillo un branco di bisonti in cattività per soddisfare la curiosità dei turisti che, in seguito, possono approvvigionarsi di souvenir nello
store annesso al
ranch.
Le ombre si allungano sotto il sole che sta calando e dieci minuti percorsi su questa bella e tranquilla strada che corre in una piana verde mi conducono a
Mt. Carmel, punto di innesto con la statale UT-9 che porta a
Bryce Canyon. Il crocevia sembra abbastanza frequentato perché sono presenti un’area parcheggio per camper, un motel, un hotel/ristorante dalla bassa costruzione di colore rosa e scenografia messicana, un grande distributore di benzina con annesso
shop e quello che più conta per me…un Subway.
Per Bryce Canyon bisogna percorrere non meno di cento chilometri e a quest’ora non è certo la cosa migliore. Allora è consigliabile andare a cenare, trastullarmi nello shop per vedere di comprare qualche souvenir e poi andare a nanna.
Se
Zion Park, non per colpa, mi ha concesso poco, spero che
Bryce Canyon, domani, possa offrirmi molto di più, in compenso.
Good Night.