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My USA on the Road...and more.

Molto bene, spero ti abbiano trattato con tutti i riguardi a Luxor. Hai giocato?
Giada50 come mi piacerebbe parlare con te di quando eravamo ragazzi e facevamo le frecce con le stecche degli ombrelli e le pistole con la creta!
Grazie perchè mi segui assiduamente.
Sedona e i navajo arriveranno in seguito ma non in questo viaggio.
 
13 – seguito USA Coast to Coast and Park to Park

LAS VEGAS STRIP /2

Come volevasi dimostrare, l’attrazione delle macchinette mangia soldi del casinò è un invito allettante e perentorio al quale nessuno, sottolineo nessuno, può sfuggire. Alla fine, questa esortazione contagia anche me che sono pur ampiamente “vaccinato” contro lo sperpero di moneta praticato in tal modo. Quindi anch’io “gioco”…ma solo per tener fede alla promessa fatta a mia figlia di tentare la fortuna con un sol dollaro. Tuttavia, non avendo mai avuto occasione di adoperare quegli arnesi, non so proprio dove mettere le mani. Al contrario, seduta quasi accanto a me, una signora attempata, sigaretta in bocca e dollari alla mano gioca imperturbabile al “one armed bandit”. Sono tentato di distrarla con una richiesta di “soccorso” ma non voglio importunarla nei suoi tentativi di vincita che, da quel che vedo, non vanno mai a buon fine. Allora chiedo lumi a una signora del personale di sicurezza – presenza discreta ma attenta - che è ben lieta di assecondare la mia titubanza.
Dopo le necessarie spiegazioni, infilo un dollaro nella macchinetta che mi consente di effettuare almeno dieci tentativi, pigiando un tasto di innesco, I meccanismi interni si muovono quasi impazziti di gioia emettendo suoni, luci e colori, ma al primo tentativo non accade nulla se non l’invito a riprendere a giocare. Nulla accade nelle successive prove e solo alla quinta opportunità si verifica l’evento tanto atteso: la baldanzosa macchinetta si congratula con me perché…ho vinto 1,50 dollari!

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In ogni caso, furbescamente, mi incoraggia a rimetterli in gioco, aumentando le possibilità di vincita a mia disposizione.
Non ci casco affatto e avendo rispettato la promessa, preferisco …incassare. Perciò, mi rivolgo ancora una volta alla signora della sicurezza per sapere come fare. Lei preme un pulsante e la slot machine emette uno scontrino che devo consegnare a un’altra signora seduta dietro una postazione protetta da una grata, quasi fosse uno sportello bancario. Eseguo.
Il mio dollaro e la vincita sono nelle mie tasche per farne dono a mia figlia!

Me ne sto in camera tutto il pomeriggio perché è impossibile andare in giro sotto la calura pomeridiana del deserto, ma verso le sei giudico che è tempo di uscire e passeggiare sulla Strip.
Il flusso di turisti è ora notevole al pari di un andirivieni di lunghissime limousine sul Bolulevard con a bordo personaggi noti o meno noti ma tutti forniti di quattrini da dilapidare.
Altri personaggi si accontentano di sbarcare il luonario sui marciapiedi imitando personaggi famosi come Elvis Presley, mentre un musicista, per l’occasione, si è portato dietro e ha piazzato un pianoforte a coda. Tutto, ma proprio tutto è all’insegna di far soldi in qualunque modo, con qualsiasi mezzo e per tutto il tempo disponibile. Nei casinò la partecipazione è altissima e non da meno sono gli incassi che fanno di Las Vegas un bacino fluviale dove vanno a finire milioni di dollari.
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Pian piano, giungo dapprima a Paris Las Vegas il cui tema è ovviamente legato alla città francese, rappresentata da una replica della Torre Eiffel alta quasi 170 metri, da una Mongolfiera e da una copia dell’Arco di Trionfo. La facciata del casinò vero e proprio imita l’Operà e il museo del Louvre.
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Non c’è tempo per entrare e mi dirigo alla parte opposta della strip dove giganteggia il Caesars Palace con uno stile che richiama inevitabilmente l’impero romano. A ragione del nome altisonante, insinua, suggestiona e cattura il potenziale cliente per fargli capire che, dentro l'albergo, l’ospite sarà omaggiato e trattato al pari di un “imperatore”. Infatti, a parte le lussuosissime camere, le suite sono ampie cento metri quadri e, per spendere le proprie fortune e divertirsi, gli ospiti hanno a disposizione ristoranti esclusivi, concerti di famosissimi artisti e ben 15,000 metri quadri di molteplici possibilità di intrattenimento al gioco d’azzardo.
Davanti all’ingresso sono sconcertato dalla moltitudine di colonne, statue, frontespizi neoclassici imperiali e giochi d’acqua, mentre su tutto dominano le cinque torri dell’hotel e l’imitazione ridotta del Colosseo che ospita gli eventi.
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Il Caesars si affaccia su Bellagio e sul lago artificiale e mi basta attraversare una strada laterale per trovarmi davanti a una balconata panoramica a livello di marciapiede, assieme a una folla di turisti lì assiepata.
Che succede?
Sono le 20.00 in punto e basta un attimo perché dalle bocche di grosse pompe semoventi a pelo d’acqua, quasi fossero cannoncini, esplodono altissimi e candidi getti d’acqua dando inizio all’esibizione delle famose fontane del lago, l’attrazione principale del casinò e di tutti noi che stiamo a guardare, meravigliati ed entusiasti. E’ anche incantevole il fatto che i giochi d’acqua si muovono ed esplodono al ritmo della musica di una canzone di Frank Sinatra, formando spettacolari coreografie e colonne d'acqua alte fino a 76 metri.
Migliaia di fonti luminose, sul far della sera, rendono lo spettacolo ancora più coinvolgente mentre le sinuose movenze dell’acqua, che si innalzano a ritmo di musica, sono tanto belle ed entusiasmanti da far esclamare di esultanza i moltissimi spettatori che seguono con attenzione e ammirazione la fantasmagorica esibizione.
Lo spettacolo dura 15 minuti circa. Alla fine, una clamorosa cannonata – nel vero senso della parola - di un potentissimo getto d’acqua, che la solleva a oltre cento metri di altezza, conclude lo show suscitando uno scrosciante applauso spontaneo che accomuna la soddisfazione e la gioia degli spettatori presenti, me compreso, per l’evento apprezzabile, bellissimo e irrinunciabile che Las Vegas ci ha dedicato.
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E’ l’ora in cui questa megalopoli si riempie di milioni di sfavillanti e multicolori luci al neon e non c’è insegna, edificio e attrazione che ne sia priva, mentre macchine lussuose e limousine percorrono incessantemente Las Vegas Boulevard. Non da meno sono i tantissimi turisti che invadono i marciapiedi in cerca di divertimento, di distrazioni, di follie, di spensieratezza che dureranno tutta la notte in questa mega città del piacere che è pronta a soddisfare qualunque sfrenatezza, qualsiasi puntata alla roulette, qualsiasi giocatore di poker, qualsiasi ambizione di vincere qualcosa, mettendo le avide mani nel portafoglio pieno di dollari.

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Tornando al mio hotel, mi fermo per un attimo a guardare l’emblematica Statua della Libertà del casinò New York New York. Pur in considerazione della sua imitazione scenica, tuttavia non posso fare a meno di pensare alla libertà di cui disponiamo: un bene e un valore che non dobbiamo mai disperdere ed al quale non dobbiamo mai rinunciare.
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Pur avendo soggiornato in modo assolutamente limitato e aver visto molto poco di quello rende disponibile, Las Vegas mi ha quasi sedotto, mi ha stupito, mi ha confermato tutto quanto avevo appreso sul gioco d’azzardo che vi prolifera indisturbato, sui mitici casinò, attrazioni più eclatanti e le luci sfavillanti che l’abbracciano per tutta la notte, ogni notte e in questa notte che mi vede andare a riposare per abbandonarla domani al suo destino.

Good By Las Vegas!

continua...
 
Al Luxor sono stato benissimo ed è davvero sbalorditivo come quasi tutti gli hotel/casinò di Las Vegas. Se ho giocato? No, ho fatto solo qualche tiro alle slot con mia moglie ma niente di più.
 
14 - seguito USA Coast to Coast and Park to Park

2ª Tappa - LAS VEGAS – ZION NATIONAL PARK - 250 km

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Un bellissimo sole che sorge su Las Vegas è quello che ci vuole per enfatizzare l’inizio di una tappa che si preannuncia non eccessivamente lunga ma sicuramente non priva di soddisfazioni.
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Tuttavia, nonostante mi sia svegliato presto, non riesco a capire come mai, quasi sempre, i preparativi per la partenza comportino un tempo esagerato e non mi metto in strada prima delle nove.
Questa volta però c’è una spiegazione perché il casinò del mio hotel è parte in causa, rilevante.

Ho già accennato che i tavoli da gioco e le macchinette mangia soldi sono posizionate lungo il grande salone dell’ingresso, ben prima del banco della reception, e hanno il compito di allettare e spingere i clienti a tentare la fortuna. Qualcuno deve per forza di cose cadere nella trappola!
Quel “qualcuno”, in questo momento sono proprio io, che, pur essendo in procinto di lasciare l’albergo, abbocco all’amo che mi spinge a giocare un dollaro alla roulette. Al tavolo non c’è alcun giocatore e il croupier, guardandomi con un ghigno sfacciatamente sarcastico, a ragione del mio esiguo budget, mi avverte che per “tentare” la fortuna ci vogliono almeno cinque dollari.
Sono perplesso e sto quasi per allontanarmi ma l’istinto che ti spinge a rivaleggiare ha il sopravvento e gioco quei dollari sul “rosso”, sperando di vincerne altrettanti.
Il croupier mette in funzione la roulette, infila la pallina bianca e attendo che cada sul colore che ho scelto. Poche veloci giravolte e il risultato è che …ho perso! La pallina si è incanalata sul “nero”.
Un po’ deluso, questa volta non mi faccio sopraffare dallo spirito di rivincita e decido che è meglio andare a prendere la macchina dal garage per raggiungere Zion Park e Bryce Canyon, lontani 250 chilometri. Sono due gioielli dai paesaggi fantastici fra i numerosi parchi nazionali degli Stati Uniti ed entrambi si trovano nello Utah, lo stato dei Mormoni che ne annovera ben altri otto, per lo più nella parte meridionale.
Il cuore di Zion Park è una vallata lunga circa 16 chilometri scavata nei millenni dal fiume Virgin e il canyon formatosi è l’unico fra tutti gli altri presenti negli Stati Uniti che possa essere percorso ed esplorato comodamente a bordo di un’automobile. Si ipotizza che il nome Zion sia stato attribuito da alcuni mormoni che ritenevano di aver trovato in quel luogo la Sion descritta dal profeta Isaia nella Bibbia.
Il Bryce Canyon, nonostante il nome, non è un vero e proprio canyon, ma un altopiano eroso da vento, acqua e gelo che hanno dato vita a fantasmagoriche rocce colorate a forma di pinnacoli chiamati hoodoos e lo spettacolo per quanti lo visitano è assicurato.
Per l’escursione in quei due parchi, queste le informazioni che ho sommariamente disponibili nel mio road book.
Per uscire da Las Vegas, nel mio libro guida di navigazione sono indicate due possibilità: la prima, più veloce, prevede di percorrere un breve tratto di Tropicana Avenue e salire poi sull’autostrada Interstate 15; la seconda, più lunga, mi farebbe percorrere tutta la strip e poi, per mezzo di un raccordo, mi offrirebbe l’opportunità di immettermi sulla medesima autostrada.
Qualche indecisione sul da farsi, ma alla fine, già che ci sono, scelgo di percorrere tutto Las Vegas Boulevard. Così facendo, ho anche la possibilità di poter vedere quello che si trova al di là di Bellagio e del Caesars Palace, raggiunti ieri a piedi.
A quest’ora del mattino non c’è molto traffico e dopo aver fatto il pieno di benzina a un distributore alle spalle del mio albergo, mi accingo a percorrere tutta The Strip.
Il tempo è splendido e sereno e tutti i casinò e le attrattive turistiche visti ieri sfilano velocemente a destra e sinistra dei miei finestrini fino a Paris Las Vegas.
Passo un incrocio ed ecco che compare a sinistra il grande complesso del Mirage dove mi risulta che vada in scena lo spettacolo di eruzione vulcanica con esplosioni, fuochi e lava. Tutto, ovviamente, rigorosamente finto. L’importante è attrarre e intrattenere i visitatori con la subdola intenzione di spennarli ai tavoli da gioco.
Di fronte al Mirage, alla mia destra il casinò Venetian, con la sua tematica architettonica dedicata a Piazza San Marco con tanto di gondole e gondolieri, asiatici per lo più, che nei canali finti di Venezia cantano in italiano ‘O surdato ‘nnammurato, oppure altre ben note canzoni.
Ancora un incrocio e si parano, da una parte e dall’atra, Treasure Island e The Palazzo.
Ovviamente, questi che ho citato sono forse i casinò più gettonati ma, oltre la strada, a destra e sinistra, fra discoteche, pub, ristoranti, passatempo e negozi, ce ne sono moltissimi altri e vale per tutti il casinò Circus Circus dove si dice che ci siano trapezisti che volteggiano sui tavoli da gioco per divertire ancor più gli incalliti scommettitori.
Più avanti è in costruzione Riviera, casinò in stile marinaresco, e almeno altri quattro sono già quasi completati, mentre la fine di questo lunghissimo boulevard sembra essere definito da una torre altissima, molto simile alla CN Tower di Toronto: Stratosphere Las Vegas. La torre è il “biglietto da visita” con il quale si presenta ai turisti questo casinò con hotel e attrazioni ad alta quota.
Dal momento della partenza ho percorso più di dieci chilometri, tanti in questo specie di autostrada che taglia Las Vegas, città piena di stravaganti illusioni alla quale, in ogni caso e per puro divertimento, bisogna dedicare più tempo rispetto a quello dell’infarinatura della mia visita.
Sembra che da Stratosphere in poi il paesaggio cambi perché abbondano basse costruzioni a un sol piano, motel di poco conto, infrastrutture logistiche, saloni di noleggio auto e distributori di carburante. Sono certo di essere giunto al termine di Las Vegas Boulevard e sono prossimo al punto evidenziato nella mia guida cartacea dove devo svoltare per dirigermi sulla Interstate 15. Comunque, a scanso di equivoci, metto in funzione il navigatore del cellulare che mi fornirà indicazioni più precise per prendere la direzione che ho programmato.
Non mi sembra vero, ma un cartello stradale mi informa che mi sto dirigendo verso Down Town Las Vegas, cioè “in centro città” e allora mi chiedo: “Fin’ora dove sono stato?”
Il percorso avanza fra due corsie con spartitraffico centrale abbellito dalle consuete palme e la sensazione è quella di trovarmi in una grande e anonima zona periferica di una città che devo attraversare. Il mio navigatore, intanto, indica di tirar dritto e per ora non vedo cartelli con l’indicazione dell’autostrada.
Ad un tratto e inaspettatamente, in prossimità di un incrocio, la voce femminile artefatta del cellulare, facendomi sobbalzare, mi avverte di svoltare a sinistra e continuare dritto ancora per poco. Ho l’impressione che la strada su cui transito e che conduce al raccordo autostradale sia stata realizzata di recente perché le canalizzazioni di cemento grigio sono nuove e pulitissime. Qualche centinaia di metri più avanti, ecco apparire quasi d’incanto un piccolo cartello verde: Free Entrance Nord e la sagoma dello scudo rosso/blu della Interstate 15.
Insomma, guidando piano per poter “guardare”, a causa di grandi incroci con semaforo, del traffico e di qualche cantiere stradale, ho impiegato almeno un’ora per uscire da Las Vegas.
Incomincio a viaggiare tranquillo sull’autostrada dove il deserto è ancora protagonista, assieme alle costruzioni della nuova zona nord di espansione di quella città. Il contachilometri parziale dell’auto, lasciata parcheggiata all’hotel, segna ora 40 chilometri ed è questa la sua estensione territoriale est/ovest, hinterland compreso.
Uno sguardo alla mappa satellitare del telefono mi fa comprendere che devo percorre almeno 180 chilometri, in circa due ore abbondanti, prima di uscire dalla I/15 per recarmi al parco nazionale dello Zion e purtroppo sono già le 11:00. Devo affrettarmi!
104 chilometri di autostrada che si snoda nell’arido e monotono deserto, con un caldo fuori dalla macchina che sfiora i 38°, non sono proprio una piacevole passeggiata almeno fino a quando arrivo a Mesquite, una città dotata di tutti i confort e molto verde perché lambita dal Virgin River, un fiume che regala umus fertile al terreno circostante.
Di solito, nei pressi delle zone abitate, piccole o grandi che siano, c’è sempre la possibilità di uscire dall’autostrada per far benzina, mangiare o riposarsi in albergo e tutto questo è sistematicamente segnalato da grossi cartelli con le insegna delle compagnie petrolifere, dei motel e del Subway, a me caro.
L’insediamento di Mesquite non fa eccezione, ma ha una particolarità importante: è a soli 3 km dal confine del Nevada e l’ultima possibilità per chi lascia questo stato di …giocare al casinò.
Dopo due ore di viaggio ci vuole una sosta e così approfitto per andare a dare un’occhiata.
Il casinò e resort si chiama Casablanca, una bella struttura appetibile collocata in un parco messo a verde con cascatelle e piscine rilassanti. Pertanto, questa sorta di oasi marocchina nel deserto è un location – termine ora molto in voga - che accoglie elegantemente i proprietari delle molte automobili che vedo parcheggiate, desiderosi di spendere gli ultimi dollari al gioco d’azzardo.
Riparto dopo essermi fermato poco tempo, osservando che le case e tutte le altre attività sono costruzioni a un sol piano e quindi il territorio sul quale insiste l’urbanizzazione è allungato a dismisura. Una cosa mi sorprende ancora ed è un cavalcavia dove sono state eseguite pitture geometriche che richiamano l’arte espressiva di indiani o messicani che prima dei pionieri hanno abitato questa zona di deserto, fortunatamente bagnata dal fiume Virgin. E impensabile come sia stata ben sfruttata l’acqua perché passo davanti a un parco comunale verdissimo e perfettamente rasato che contrasta in modo spietato con l’aridità che si trova dalla parte opposta, a sinistra dell’autostrada.
D’un tratto avvisto la grande insegna, posta sul confine del Nevada, che mi dà il benvenuto in un nuovo stato americano: ARIZONA. – The Grand Canyon State Welcomes You.
In realtà, questo mio transito in Arizona è breve perché, percorrendo appena 50 chilometri, passa nell’angolo nord/ovest del quadrato dei confini dello stato raggiungendo subito dopo quello dello Utah. Il paesaggio non è che cambi molto, arido era e arido rimane, tranne un esteso campo da golf che appare quasi subito alla mia destra, quasi fosse un miraggio.
Ancora zona desertica quindi, ma davanti si profilano alcune alture attraverso le quali dovrei passare. Proseguendo, mi sembra di percorrere, con ampie curve, una sorta di canyon scavato nella roccia e non pochi sono i cartelli che avvertono di stare attenti alla caduta massi, anche di grosse dimensioni.
Il passo è a 600 metri di altitudine e proprio in questo punto la strada scavalca il fiume Virgin che scorre biancastro nella gola. Lunghe curve e controcurve si alternano nella lunghissima e lieve discesa verso una vallata desertica inframmezzata da rilievi di modesta entità, fino a quando un rettilineo mi fa attraversare la linea di confine dell’Arizona. Sto entrando nello stato dello Utah e poco più avanti un bellissimo cartellone me lo conferma:
Welcome to UTAH – Life Eleveted.
Sono obbligato a scendere dalla macchina e fotografare!

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Già che ci sono, esco all’uscita 5 segnalata per recarmi al Welcome Center, vicinissimo alla città di St. George. Non devo faticare troppo per trovarlo perché le indicazioni sono ottime e mi ritrovo in un’area grandissima, attrezzata con parcheggi, aiuole fiorite, alberata a dovere e panchine con prato perfettamente rasato.
Il Visitor Center ha anche un modesto museo che però relaziona a dovere sulla fauna, la flora e la geologia dello Utah. E’ inutile precisare che il personale è molto cortese. Chiedo di favorirmi una mappa dello Stato e questa si rivela assolutamente prodiga di informazioni, consigli per le escursioni nei parchi nazionali e per i tracciati panoramici che si possono praticare.
Intanto il tempo passa e per arrivare a Zion Park è necessario percorrere ancora 70 chilometri in almeno un’ora di tragitto. Comunque, nessuno mi corre dietro e se devo fermarmi per vedere qualcosa cammin facendo lo faccio volentieri anche perché in tal modo posso stemperare la fatica del viaggio.
Non mi sembra di aver visto qualche indicazione che mi indirizzi verso lo Zion Park, forse perché sono stato più attento al colore rossastro dell’arenaria che ora caratterizza lo scenario desertico, dopo aver oltrepassato la città di St.George. Però, dando uno sguardo fuggente al mio road book, ravviso che fra poco, all’uscita numero 16, dovrò lasciare la Interstate-15 su cui sto ora viaggiando per dirigermi verso Hurricane. Dopo solo una quindicina di chilometri impegno l’uscita, continuando ora in un territorio molto urbanizzato nel quale il paesaggio è più variegato mentre le aree verdi contrastano efficacemente con l’arenaria rossa, specialmente a Hurricane, attraversata centralmente dalla UT-9.
Poco oltre questo grande paese, vedo per la prima volta il cartello con fondo marrone, colore tipico per tutte le informazioni turistiche, con l’indicazione per Zion e Bryce Canyon che occorre raggiungere seguendo la statale 9 che passa per Virgin e Springdale.
L’ambiente, ancorché desertico, è collinoso con bellissimi colori che vanno dal biancastro al rosato, mentre il territorio ai lati della strada, piano e sterminato, è disseminato di piccoli cespugli di piante grasse che non so da dove possano trarre sostentamento. L’orizzonte, invece, è delimitato dalle mesa, altopiani caratteristici di queste regioni occidentali degli Stati Uniti.
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Nelle note del roadbook è evidenziato che sulla statale, prima di arrivare a Virgin, si trova Fort Zion e di lì a poco, sulla sinistra, protetto alle spalle da una mesa, trovo una specie di fortino, del tutto simile a quelli che si vedono nei film western. Entro nel parcheggio, non scendo e faccio un giro distrattamente perché, a parte l’ambientazione decisamente old west con tanto di carro, banca e prigione di stampo pioneristico, è solo e soltanto un punto vendita di souvenir.
Il transito del paese di Virgin non riserva sorprese per le poche case sparse e defilate ma più avanti compaiono numerosi alberi dalla folta chioma verde che allietano il paesaggio sul lato destro della strada, segno che è ancora una volta il Virgin River che compie il suo dovere irrorando le sue sponde. Il tracciato stradale segue l’andamento del fiume, protetto sulla mia sinistra dall’altopiano roccioso che scivola verso una vallata verde e rigogliosa dove, quasi mimetizzato, compare anche un villaggio turistico non di grande rilevanza. Più avanti il paesaggio ha un aspetto più lussureggiante, mentre l’orizzonte è delimitato dalle creste seghettate e appuntite del parco dello Zion.

Finalmente giungo a Springdale, quasi una porta di accesso al canyon, e a prima vista sembra essere una bella cittadina. Sono già le due del pomeriggio, fa molto caldo e per giunta devo trovare un motel per pernottare. Al primo che incontro mi chiedono cento dollari e preferisco tentare al campeggio più oltre, ma è esaurito.
So che nel canyon dello Zion, propriamente detto, si può accedere soltanto con una navetta, peraltro gratuita, che porta fino al cosiddetto Tempio di Sinawava e lungo il percorso si possono ammirare alcune tra le più spettacolari formazioni del parco. Ho segnato nella mia guida che potrei fare alcuni trail, in particolare l’Agel’s Lansing un itinerario lungo cinque miglia della durata di almeno tre o quattro ore. E’ abbastanza faticoso e non consigliabile a persone che soffrono di vertigini, tanto che negli ultimi ottocento metri di percorso è necessario aggrapparsi a delle catene per poter proseguire. Naturalmente arrivati in cima il panorama della valle e del fiume Virgin River dovrebbero essere bellissimi.
Per il momento devo soprassedere perché con il caldo pomeridiano non si può andare da nessuna parte. Di più, ho anche fame e siccome vedo una specie di locanda, dopo aver convenientemente messo in ombra la macchina sotto le chiome verdi di un albero, approfitto per pranzare. Mi faccio servire carne arrostita con contorno e poi una coppa di gelato talmente freddo che mi ci vuole più di mezz’ora per terminare di gustarlo.
Troppo tardi per intraprendere qualsivoglia escursione e, tenuto conto dell’impossibilità di pernottamento, ho solo un’opportunità: attraversare il parco grazie alla bellissima strada panoramica. In tal modo, potrò anticipare i tempi di domani e dedicare maggior attenzione al Bryce Canyon.
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La tessera dei parchi fa il suo dovere facendomi passare velocemente dal casello dei rangers e subito dopo lo Zion Park mostra tutto il suo fascino con dirupi mozzafiato altissimi, incredibili rocce scolpite e colori meravigliosi che variano dal rosso brillante al bianco. Fluisce di fianco il Virgin River che nel corso dei millenni con l’'azione impetuosa ed erosiva delle sue acque ha messo a nudo l'antichissima storia geologica di questa regione e di questo parco.
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La strada panoramica di nove chilometri, attraverso ripidi tornanti, fa cogliere ad ogni curva la spettacolarità di queste rocce che scendono a strapiombo nell’alveo del fiume dove la flora e certamente la fauna trovano il loro ambiente selvaggio per svilupparsi appieno. Poi, dopo un tunnel lungo due chilometri, trovo un’area parcheggio dalla quale è possibile intraprendere il sentiero denominato Canyon Overlook Trail, non molto lungo e non difficile, che permetterebbe di arrivare a un bellissimo punto panoramico. Manca il tempo, sfortunatamente, ma almeno apprezzo per qualche minuto un bellissimo cervo che, fermo su una roccia, osserva con fierezza tutti noi dall’alto.
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Uscendo dal parco lo spettacolo continua perché la strada si sviluppa nei pressi di un affluente del Virgin con curve e controcurve che fanno apprezzare basse colline sulle quali il colore sabbia e rossastro si fondono insieme sulla tavolozza cromatica del paesaggio.
Quasi dieci chilometri di queste seducenti attrattive e poi d’un tratto compare una grande e bellissima mesa, colorata di verde sulla sommità per la presenza di una folta vegetazione.

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Ancora otto chilometri e la strada, che ora attraversa una sorta di pianura, giunge allo Zion Mountain Ranch. Niente di particolare, se non fosse opportunamente pubblicizzato da una statua a grandezza naturale di un pellerossa. Poco oltre c’è un recinto di cavalli e poi un altro ancora in cui pascola tranquillo un branco di bisonti in cattività per soddisfare la curiosità dei turisti che, in seguito, possono approvvigionarsi di souvenir nello store annesso al ranch.
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Le ombre si allungano sotto il sole che sta calando e dieci minuti percorsi su questa bella e tranquilla strada che corre in una piana verde mi conducono a Mt. Carmel, punto di innesto con la statale UT-9 che porta a Bryce Canyon. Il crocevia sembra abbastanza frequentato perché sono presenti un’area parcheggio per camper, un motel, un hotel/ristorante dalla bassa costruzione di colore rosa e scenografia messicana, un grande distributore di benzina con annesso shop e quello che più conta per me…un Subway.
Per Bryce Canyon bisogna percorrere non meno di cento chilometri e a quest’ora non è certo la cosa migliore. Allora è consigliabile andare a cenare, trastullarmi nello shop per vedere di comprare qualche souvenir e poi andare a nanna.

Se Zion Park, non per colpa, mi ha concesso poco, spero che Bryce Canyon, domani, possa offrirmi molto di più, in compenso.

Good Night.
 
15 - seguito USA Coast to Coast and Park to Park

3ª Tappa - Mounth Camel Junction - BRYCE CANYON - 100 km

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Temperatura piuttosto fresca stanotte - siamo pur sempre a 1.600 metri di altitudine - e stamani il cielo si presenta abbastanza sereno con qualche nuvoletta che non guasta.

Ho informazioni abbastanza dettagliate per poter apprezzare, nel Bryce Canyon, il risultato dell’erosione millenaria che ha dato vita agli hoodoos: sono pinnacoli di roccia dai colori bellissimi, che vanno dal rosso all'arancione e al bianco e che nel tempo hanno plasmato un paesaggio suggestivo e meraviglioso.
Una colazione veloce al bar della Shell e questa volta parto abbastanza in orario per non perdermi lo spettacolo del canyon.

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Viaggio sulla statale 89 in direzione di Glendale e poi, per un tratto, anche all’interno della Dixie National Forest, attraversando zone rurali, pascoli, boschi di conifere e piccole praterie in un contesto paesaggistico bellissimo. Nell’ora di viaggio apprezzo notevolmente il senso di libertà e la simbiosi con la natura circostante, giungendo infine al raccordo con la UT-12.
La statale dello Utah è nota come “una delle più belle strade panoramiche degli Stati Uniti” e attraversa per duecento chilometri il Grand Staircase-Escalante, territorio selvaggio e, ancor oggi, non del tutto esplorato.
Pochi chilometri dopo il raccordo, la Scenic Byway UT-12 presenta subito il suo biglietto da visita perché attraversa il Red Canyon che posso definire come l’antipasto del piatto forte Bryce Canyon.
Si passa da una prateria collinosa a uno spettacolo di massi, pinnacoli e pareti rocciose color rosa che l’azione erosiva degli elementi ha scolpito in modo sorprendente eliminando le parti più friabili.
Per di più, spuntano alberi di conifere dappertutto in uno scenario di colori che mi è difficile esprimere con parole perché la cosa più importante per poter guardare con meraviglia è trovarsi sul posto.
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Transito attraverso due piccole gallerie che oserei definire veri e propri buchi scavati nella roccia color salmone per permettere alla strada di passare oltre. Non mancano certo le banchine di sosta che sono state messe proprio a ridosso di questi sorprendenti fori per permettere di lasciare l’auto e fotografare. Non mi sottraggo a questa opportunità che ho a portata di mano, però non posso incamminarmi su alcuni sentieri, il cui inizio è ben segnalato, per addentrarmi in questo paesaggio spettacolare che merita attenzione e curiosità.

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Sei chilometri di questo bellissimo assaggio naturalistico e poi la strada attraversa una prateria fino alla deviazione sulla Utah-63 che dopo tre miglia mi conduce a Bryce, il paese dove sono predisposti tutti i servizi per accogliere turisti e campeggiatori. Lo attraverso in un attimo e giungo al grande cippo di arenaria del Bryce Canyon con l‘emblema scudato del Servizio Nazionale che contraddistingue tutti i parchi americani.
Più avanti c’è il casello per l’ingresso al Parco e il ranger di turno mi consegna una mappa dettagliata in cui sono indicati i sentieri e le piste percorribili, nonché una copia gratuita del bollettino The Hoodoo, in cui sono descritte le curiosità e la storia del parco…in inglese purtroppo. Anche in questo parco di foreste di conifere e piante verdi, l’ordine e le strade ben curate e ampie sono la regola e non potevano certo mancare le navette gratuite di collegamento con i punti panoramici.
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Con la mappa a portata di mano mi dirigo subito verso il parcheggio Sunrise Point perfettamente segnalato. L’area è abbastanza grande, c’è un campeggio, un General Store e certo non poteva mancare la pensilina di sosta per il servizio navetta gratuito. Lì vicino, una grande tabella illustra l’ambiente, la flora e la fauna di questo altopiano posto a 2.300 metri di altitudine.
Sunrise Point è il primo punto strategico che desidero visitare e scendere giù nell’anfiteatro di questo paesaggio mozzafiato e fiabesco.
Poi desidero andare a visitare gli atri tre punti panoramici per eccellenza:
Sunset Point, Inspiration Point e Bryce Point.

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continua...


 
Seguito Bryce Canyon

Camicia leggera, pantaloni corti, scarpe da trekking e sono pronto per avventurarmi nel Queen Garden Trail il sentiero paesaggistico di un chilometro e mezzo, abbastanza facile, che scende nel canyon partendo da circa cento metri di quota.
La balconata di Sunrise Point è il punto di partenza e già da questo belvedere ho una vista bellissima e fantastica di ciò che il capriccio della natura ha saputo creare in questo territorio. Quello che osservo stupito, disseminata giù nel canyon, è una meravigliosa e interminabile sequenza di torri di altezze diverse, quasi fossero camini, con in cima una sorta di masso per cappello, assiepate una accanto all’altra con stratificazioni erosive trasversali.
Però, oltre la forma, ciò che le rocce pavoneggiano maggiormente è il colore, l’elemento forse determinante affinché questo spettacolo possa offrire al viaggiatore la certezza di un’esibizione straordinaria: un incredibile colore rosso e arancio che sfuma anche in un rosa delicato per effetto della direzione della luminosità che colpisce le rocce scolpite dall'erosione.
Questo paesaggio fiabesco che si perde fin quasi all’orizzonte evoca inevitabilmente e straordinariamente un territorio dove possono vivere solo magiche fate che al sol tocco della virtuosa bacchetta fanno di una scarna roccia un artificio splendido di colore rosa.
Questo “splendido artificio color rosa” si chiama hoodoos, il frutto di lunghissime notti invernali, che si ripetono ogni anno. L'acqua, gelando, erode la roccia e, poco alla volta, la priva di tutti i sedimenti più fragili. L'ossidazione dei minerali, poi, contribuisce a regalare la tipica colorazione arancio, rosa e rossa per via del’intrinseco materiale di arenaria, mentre il bianco è originato dalle stratificazioni calcaree.
Una tabella di legno segna e indica l’inizio del percorso Qeen Garden Trail che parte dalla balconata. Quasi subito compaiono le avvertenze, stampate a fuoco e poi dipinte di bianco, su un tabellone piantato nel terreno: “Per la vostra sicurezza rimanete sul sentiero, usate scarpe adatte e non gettate sassi”.
La discesa è abbastanza agevole su una pista larga qualche metro, percorsa anche da famiglie con bambini. Più si scende e più lo scenario diventa quasi irreale osservando le pareti rocciose che si levano possenti dietro di me. Poi, quando arrivo in fondo al canyon, trovo un ambiente meraviglioso fatto di terreno rossiccio e ondulato nel quale crescono alberi che spuntano dal suolo come per incanto. Inoltre, guardando verso l’alto, ci si sente quasi accerchiati dagli hoodoos color rosso salmone che si stagliano contro il cielo azzurro. Questi totem altissimi creati dalle forze della natura, sembrano incombere su di me facendomi sentire infinitamente piccolo al loro cospetto e con la sensazione di essere osservato silenziosamente con atteggiamento severo. Non da meno, lo spettacolo stupendo che offrono è irripetibile in qualsiasi altro posto della terra e i colori che si creano sulle pareti rocciose, per effetto di luci e ombre, sono assolutamente magnifici.
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L’atmosfera è del tutto idilliaca e rilassante quaggiù, tanto che si potrebbero trascorre ore di piacere anche perché, poche ma sufficienti, sono state sistemate panchine ricavate da sezioni di tronchi, opportunamente messe all’ombra di qualche albero.
Proprio una di queste panche è posizionata vicino alla congiunzione fra il Queen Garden Trail che ho disceso e il Navajo Trail, un percorso che sale al belvedere di Sunset Point.
Mi avvio e attraverso una grande spaccatura della roccia rosa (pinna) che incombe su un tratto inimmaginabile fra i camini delle fate che spuntano dal basso e si innalzano vertiginosamente. Lo sterrato brulica di persone che diventano sempre più piccole di statura man mano che le vedo allontanarsi in salita. A metà dell’ascesa, guardando indietro e dall’alto, osservo il tratto che ho percorso ed è come se la pista si avvitasse su se stessa come un cavatappi. Infine, quando arrivo a Sunset Point la visione delle guglie e dell’anfiteatro naturale dal quale sono partito rendono ancor più suggestivo lo scenario fantastico e quasi irreale.
La strabiliante ingordigia paesaggistica non è ancora terminata perché, come se non bastasse, ho il piacevole impegno di andare a vedere quello che il parco nazionale è in grado di propormi ancora.
Sulla mappa consegnatami all’ingresso, ravviso che c’è un percorso pedonale che segue il bordo del canyon e arriva a Inpiration Point. Avendo tempo disponibile potrebbe rivelarsi una passeggiata molto interessante ma, fra andata e ritorno, dovrei percorrere almeno dieci chilometri. Mettendo in conto le soste obbligate in aree panoramiche, avrei bisogno di almeno tre ore di tempo. Allora, preferisco andarci in macchina e seguendo le indicazioni arrivo ben presto a Inspitation Point dove sono disposte tre logge panoramiche.
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Come si fa a descrivere l’immenso spettacolo di guglie, trafori e archi di roccia che variano colore dal rosso al rosa, dall’arancio e al bianco? Ovunque volgo lo sguardo ciò che vedo ha qualcosa sempre diverso ma contemporaneamente spettacolare trattandosi di un anfiteatro naturale, talmente amalgamato nelle striature della roccia, nei pinnacoli, nei massi in equilibrio incerto sostenuti dagli hoodoos, che rende unico questo paesaggio che da adito a suggestioni e sensazioni straordinarie.
In cinque minuti di macchina giungo poi a Bryce Point forse il miglior punto di osservazione del parco giacché la quota è la più elevata fra tutti i punti panoramici. Dal’altitudine di oltre 2.400 metri sul cui mi ritrovo, l’anfiteatro del Bryce Canyon offre il meglio di sé perché, fra guglie e camini di roccia a perdita d’occhio, si dispiega uno scenario di incantevoli colori e bizzarrie della natura con un contrasto evidente con il verde del piano di fondo valle.
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Lo sguardo scende pian piano giù nella conca geologica così plasmata nel corso di milioni di anni. Scruta, smanioso di sensazioni, paesaggi forti da impressionare sulla rètina e tra un intricato miscuglio di un mosaico di luci, di colori, di forme curve e rotondeggianti, risale lentamente sulle pareti rossicce e poi si perde nell’orizzonte infinito.
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Sono sazio, sazio fino all’inverosimile per quanto mi è stato dato di vedere e per le emozioni di magnificenza che il tempo, l’acqua e il ghiaccio continuano a perpetuare sulle rocce rosse del Bryce Canyon.
Devo dagli un voto? Certo: 10 e lode, più una "standing ovation".

Me ne torno al punto di partenza, al General Store, dove mi accomodo a un tavolino del terrazzino, mangio qualcosa, osservo il via vai di turisti e tento di prendere appunti nel mio diario circa l’esplorazione di questo canyon magico, stupendo e unico.
Ancora una volta un luogo irrinunciabile nel viaggio alla scoperta degli Stati Uniti.​

continua...
 
Il tuo diario ci fa ripercorrere il nostro itinerario del 1995: quanti ricordi ed emozioni, ogni giorno un parco diverso...
Quello che abbiamo apprezzato molto sono state le indicazioni con i tempi di percorrenza dei sentieri, in modo da valutare approvigionamento acqua e dosare le forze.
Continuiamo a seguire e a risvegliare i ricordi🤠
 
16 - seguito USA Coast to Coast and Park to Park

3ª Tappa /2 - BRYCE CANYON - PAGE (Arizona) - 250 km

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Non ho prestato attenzione, ma solo adesso mi rendo conto di aver impiegato forse meno tempo del previsto per questa escursione al Bryce Canyon. Penso di non aver perso nulla di interessante rispetto a quanto il parco rende disponibile e l’esplorazione è stata davvero gratificante.
Sono appena le tredici e trenta e credo sia meglio anticipare i tempi per percorrere i 250 chilometri che mi separano da quello che domani ho in programma: Antelope Canyon, Horseshoe Bend sul fiume Colorado e l’avvicinamento al famosissimo Grand Canyon.
Tutto questo in Arizona.
L’unico inconveniente è determinato dal fatto di dover tornare sui miei passi. Devo percorrere a ritroso i 100 chilometri di stamattina, fino a Mount Carmel e poi continuare, per i restanti 150, sulla UT-89 che mi condurrà alla città di Page e alla omonima diga sul fiume Colorado.

Parto, attraverso ancora una volta il bellissimo Red Canyon, e fino all’incrocio che porta allo Zion Park non ho nulla da segnalare se non un gruppo nutrito di motociclisti che al distributore situato proprio in quel punto strategico stanno “dando da bere” alle Harley-Davidson, assetate come sempre di benzina. La loro meta è sicuramente Sturgis.
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La UT-89 scivola tranquilla attraverso un paesaggio costituito per lo più da prati erbosi e colline ricoperte da fitte pinete e poi un lunghissimo rettilineo si perde fino all’orizzonte in una piana di cespugli radi e terreno desertico. Ad un certo punto il viaggio si fa divertente perché sembra che il territorio faccia di tutto per non annoiare il guidatore. Infatti, il percorso si fa strada fa colline di roccia rossastra, tagliate ad arte per far passare la strada, e ricoperte dalla verde vegetazione che, in contrasto, mette in risalto proprio il colore rosa e le striature bianche del calcare.
Mentre viaggio tranquillo, rallento perché un grande cartellone sulla sinistra pubblicizza un sito che forse merita attenzione: Moqui Cave.
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C’è abbastanza spazio per parcheggiare e, incuriosito, scendo dalla macchina e noto un varco che immette in una grotta scavata nell’arenaria rossa di una collinetta. Mi affaccio dentro, ma per la visita bisogna pagare un biglietto. Chiedo al custode di farmi dare solo uno sguardo fugace perché ho l’impressione che si tratti solo di un luogo abitato in passato da qualche famiglia indiana. Ci dovrebbero essere anche reperti archeologici, ma ritengo che il costo del biglietto non giustifichi la visita e soprattutto la perdita di tempo. Fuori, invece, c’è l’immagine di un attore e una didascalia di commento che fa riferimento al mitico Lex Barker, attore western, ma più noto come Tarzan nei film che andavamo a vedere quando eravamo ragazzi.
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Ho l’impressione che in questo territorio, che si presta molto a riprese cinematografiche, siano state girate scene di film negli anni ‘60 che avevano come protagonisti “pellerossa” e “giubbe blu”. Questa intuizione si trasforma in certezza quando proseguendo in auto giungo a Kanab un paese dove i turisti, allettati da un grande richiamo pubblicitario, possono visitare Little Holliwood, studi cinematografici per film “old west”. Inutile fermarsi e perdere ancora tempo.

La Highway 89 corre dritta verso l’infinito nel deserto del sud dello Utah e per consolazione, sulla mia sinistra, c’è solo l’altopiano di un’estesissima mesa color rosa; poi solo e soltanto deserto di terra rossiccia per ben 130 chilometri.
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Il confine con l’Arizona è vicino e quando lo raggiungo mi fermo almeno per fare una foto ricordo, sapendo che mi separano soltanto 14 chilometri dalla città di Page. Più avanti c’è l’indicazione per un sito panoramico: Wahweap View, tanto vale andare a vedere di che cosa si tratta.
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Un breve tratto di strada stretta mi fa raggiungere una collinetta arida e sassosa che ha sulla modestissima elevazione un parcheggio e una piccola tettoia, sorretta da quattro pali, sotto la quale sono poste due panche rivolte verso il paesaggio. Fa ancora caldo a quest’ora e l’ombra della pensilina, necessaria per proteggersi dai raggi solari, fa il suo dovere per permettermi di ammirare il bellissimo panorama delle acque azzurre dell’esteso Lago Pawell, generato dalla diga di sbarramento di Page che ha imbrigliato le acque del bellissimo fiume Colorado che vedo in anteprima. La marina di Wahweap, invece, si presta benissimo per sport acquatici sul lago e numerosi motoscafi sono ancorati alle banchine. All’orizzonte lontano che corona tutto si staglia il parco Grand Staircase-Escalante.
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Anche se il sole sta calando e il chiarore non è il massimo per poterlo apprezzare maggiormente, questo bellissimo approccio panoramico è quanto di meglio potessi attendermi dopo il lunghissimo tragitto desertico che ho percorso da Bryce.
Lascio la collinetta, mi dirigo verso la città di Page e ben presto compaiono gli alti tralicci per la produzione di energia elettrica prodotta dalla diga Glenn Canyon sul fiume Colorado. Proprio in prossimità del viadotto c’è il Visitor Center dove è data l’occasione di informarsi sul luogo ed effettuare escursioni guidate. Non posso concedermi tanto perché sono circa le sette di pomeriggio, ho bisogno di cenare e cercare una sistemazione notturna.
Transito sul ponte che passa proprio sulla diga, volgo lo sguardo giù a destra nel canyon dove scorre il fiume Colorado e poi ancora deserto di arenaria rossa fino alla vicinissima Page.
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Guidando un po’ in città, non trovo al momento alcuna sistemazione che mi faccia spendere poco per pernottare. Ci penserò dopo e non avendo visto alcun Subway per soddisfare almeno le mie esigenze alimentari, mi ficco in un piccolo McDonald: una sorta di bettola da dimenticare e nemmeno un briciolo di aria condizionata. con il caldo che imperversa.
Mangio quel che posso e poi, andando ancora in giro, mi sistemo in un motel nei sobborghi di Page. E’ quanto basta per permettermi di passare una notte fresca e tranquilla perché fuori, anche a quest’ora di sera, il caldo si fa sentire…eccome!

Good Night Arizona...the Grand Canyon State!

continua...
 
Ci sono davvero luoghi che tolgono il fiato da quanto siano belli e suggestivi.

p.s. io da Las Vegas sono tornato indietro verso Flagstaff per poi piegare su verso nord arrivando al Visitor Center del Grand Canyon dove ci sono molti punti Panoramici per ammirare quella meraviglia.
 
"giada50" al Grand Canyon ci andrò fra poco. Nel frattempo guarda il mio prossimo canyon che sicuramente piacerà anche a Oriana.
Ciao.
 
17 - seguito USA Coast to Coast and Park to Park

4ª Tappa /1 - ANTELOPE CANYON

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Quando misi a punto il mio viaggio, a proposito del programma sull’escursione ad Antelope Canyon annotai nel road book le seguenti notizie, reperite soprattutto tramite Wikipedia:

- Antelope Canyon è lo "slot canyon" più visitato degli Stati Uniti sudoccidentali e si compone di due formazioni separate, chiamate Upper Antelope e Lower Antelope.
- Lo “slot canyon” è un canyon molto stretto, che si sviluppa nel terreno più in profondità che in larghezza ed è stato formato dall'erosione della roccia per mezzo della forza dell'acqua. I canyon dell'Antelope possono essere soggetti a inondazioni improvvise (flash flood). Violente piogge, anche molto distanti dal sito, possono infatti provocare improvvise e pericolose inondazioni con scarso o nullo preavviso.
- Upper Antelope è il sito più visitato, ma l’escursione è più superficiale perchè fatta in fretta.
- Lower Antelope, invece, impegna circa due ore per la visita e sarebbe ideale effettuarla verso mezzogiorno per avere il sole perpendicolare alla stretta spaccatura del terreno sotto il quale si sviluppa il canyon.
- Per l’escursione bisogna servirsi esclusivamente delle guide navajo presenti nella riserva.

Stamani quindi devo sbrigarmi. Qualche biscotto per colazione e poi lascio Page per andare a vedere soltanto Lower Antelope, che penso sia più interessante di Upper Antelope.
Devo essere sul posto prima delle otto e mezzo perché a quell’ora incomincia la prima escursione.

Ho dato uno sguardo alla carta stradale e mi è facile trovare l’insediamento che viene preavvisato da un cartello con il segnale di ingresso nel territorio della riserva Navajo. L’indicazione per Antelope è successiva e mi fa giungere in un grande sterrato rossiccio e sabbioso; nel mezzo c’è il gabbiotto della biglietteria di Ken’s Tour per la visita guidata al canyon. Sono presenti solo due ragazze navajo e due turisti, padre e figlio, seduti su panche sotto una pensilina che offre ombra e riparo alla calura desertica. Il navajo addetto alla biglietteria mi fa pagare venti dollari per la visita e anche una tassa di otto dollari per il “permesso di escursione” nel Navajo Park.
Aspettando la partenza per l’esplorazione, trovo l’occasione di farmi scattare una bella fotografia assieme alla ragazza indiana che ha acconsentito simpaticamente a ragione di un garbato invito.

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Poi, ancora qualche minuto (sono trascorsi solo nove dal mio arrivo) e la ragazza navajo ci invita a seguirla per iniziare la visita al Lower Antelope Canyon, il cui ingresso si trova lontano un centinaio di metri.
Camminando sullo sterrato sabbioso mi rendo conto che avrei fatto meglio a mettere ai piedi le scarpe da trekking perché nei mocassini che indosso la sabbia rossa si infila dove meglio crede.
Giunti sul luogo, scendiamo nel canyon attraverso una ripida scala di ferro e arrivati sul fondo le pareti di arenaria rossa già mostrano tutta la loro stupefacente bellezza.

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Siamo solo in tre, guida a parte, e questa condizione ci permette di dedicare tutto il tempo necessario all’esplorazione e scattare molte fotografie che avranno come soggetto soltanto ciò che fra poco potremo ammirare.
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La nostra guida ci propone alcune informazioni, in inglese, spiegandoci che in lingua navajo il nome del canyon è Hasdeztwazi, che significa "Archi di roccia a spirale”. Narra anche che, molti anni fa, mandrie di antilopi pronghorn vagavano liberamente nel canyon e ciò spiega il nome con il quale è conosciuto. Questo incredibile canyon è stato creato nel corso di molte migliaia di anni dalle forze implacabili dell'acqua e del vento che hanno lentamente intagliato e scolpito la pietra arenaria nelle forme che possiamo osservare.
Ci conferma che il momento migliore per la visita è tra le undici mattino e l'una del pomeriggio quando le pareti di arenaria assumono colori di tonalità che vanno dal rosso all’arancio e dal rosa al violetto in base alla posizione del sole al di sopra della fenditura. In quell’intervallo temporale la spettacolarità del canyon raggiunge il suo massimo livello. I raggi del sole, penetrando da dieci o venti metri di altezza sopra di noi, attraverso piccole fenditure del canyon, colpiscono l’arenaria levigata dalle acque e, rimbalzando su di essa, creano scenografie e colori superlativi di tonalità che fluttuano dal viola, per le parti in ombra, fino all’arancio chiaro per quelle direttamente colpite dalla sorgente luminosa.
Per quanto mi riguarda, purtroppo, non potevo certo attendere fino a mezzogiorno, anche oltre, per questo spettacolo. Tuttavia, come attenuante e conforto, mi sembra che oggi la giornata non sarà proprio luminosa. Il cielo è stratificato da una cappa di umidità che offusca il sole, abbastanza rintanato a quest’ora è chissà se si farà vedere oltre mezzogiorno con il suo calore insidioso.

Giù nel canyon, la prima sensazione, ancora una volta, è quella di trovarmi di fronte a qualcosa di incredibile per il modo, per la forza e per i colori con cui la natura è in grado di esaltarsi tracciando forme tanto sinuose da farle sembrare onde di un mare rossiccio disegnate sulle pareti della roccia arenaria accarezzata dal vento.
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continua…
p.s. Le foto sono state ridimensionate per non appesantire il sito.
 
18 - seguito USA Coast to Coast and Park to Park

ANTELOPE CANYON ...even more!

Antelope è un susseguirsi di curve sinuose sull’arenaria levigata dall’impeto dell’acqua, spaccature smussate, colori indescrivibili e giochi di luce, difficili da vedere in nessun altra parte, in una mescolanza di scenari rocciosi disegnati fluidamente e magicamente.
Per di più, le pareti del canyon, da parte a parte, misurano quanto le mie due braccia distese, in alcuni punti ancor meno, e questa condizione accentua maggiormente la meravigliosa sensazione di trovarmi in un ambiente che si fatica a credere possa essere reale.
Anche a quest’ora del mattino, non il massimo per la visita, i giochi disegnati dalla luce riflessa e dalle sue mille sfumature di colore sorprendono ad ogni angolo.
A nostro vantaggio, il canyon si può godere appieno e fotografare senza fretta, approfittando dell’assenza di carovane turistiche che anche a causa del fastidioso vociare inquinerebbero notevolmente il silenzio accattivante di questo seducente e meraviglioso angolo di natura selvaggia.
Percorro Antelope con calma, distanziandomi dalla guida indiana e dai due compagni d’avventura, ora avanti e qualche volta dietro, proprio per apprezzare ancor più questa escursione straordinaria e unica.​
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In alcune situazioni, la nostra guida ci suggerisce di scattare fotografie a rocce particolarmente “fotogeniche” e che forse senza il suo ausilio potrebbero passare inosservate.
Ecco allora rappresentata, scolpita e levigata sulla roccia arancione da un eccelso artista quale si dimostra sempre la natura, l’immaginaria testa di un’aquila oppure, più in là, il profilo di un indiano navajo.
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A volte il canyon diventa talmente stretto che si fatica a proseguire nel percorso, largo un metro o meno, mentre il fondo è soltanto sabbia rosacea dalla consistenza finissima che continua imperterrita a infilarsi nelle mie scarpe e a smerigliarne il bordo.

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…e uno scatto imprescindibile in questo luogo magico con la nostra deliziosa guida navajo.

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Continuiamo per più di un’ora immersi in quest’ambiente fantastico e poi la salita verso l’uscita si rivela più impegnativa della discesa per via di almeno quattro rampe di scale metalliche da impegnare. Forse questo è il motivo per cui gruppi di turisti attempati frequentano meno Antelope Lower, al contrario dell’Upper Antelope che ha invece l’ingresso e l’uscita posti allo stesso livello.
Appena fuori mi faccio ritrarre a gambe larghe sulla stretta fenditura del canyon dalla quale non si evincerebbe affatto lo spettacolo magico e stupefacente che si cela nelle sue viscere.

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Intanto, nei pressi della biglietteria c’è già molta gente in attesa e molti di più si presenteranno verso mezzogiorno, sperando nella presenza del sole grazie al quale Antelope stupirà maggiormente con i colori straordinari della luce riflessa sulle accattivanti pareti di arenaria.

Personalmente, mi accontento per quello che ho visto, già notevole, senza calca e senza fretta!

continua…
 
Direi che sono luoghi da visitare con calma, hai fatto bene a scegliere quell' orario altrimenti ti sarebbe rimasta la rabbia di non poter godere appieno di simile meraviglia!!
 
Per quanto vi possano sembrare spettacolari le foto, non rendono le emozioni che si provano sul posto: ti fanno sentire dentro una cartolina e ovunque posi lo sguardo ti stupisci delle meraviglie della natura 🤩
 
Queste foto mi hanno veramente emozionata. Sto cominciando a organizzare il prossimo viaggio negli USA, spero già l'anno prossimo, e spero di riuscire a includere questo luogo magico....
 
Sono proprio d'accordo con voi "lilly" perchè le sensazioni che ognuno può provare
sono quelle che restano impresse per sempre negli occhi e nella mente.
Grazie ancora perchè mi seguite e conto di non deludervi più avanti.
Ciao.
 
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