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My USA on the Road...and more.

JonnyV

Well-known member
23 - seguito USA Coast to Coast and Park to Park

5ª Tappa /2 - Road to CANYON de CHELLY

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Il Canyon de Chelly è un parco nazionale quasi nascosto e lontano dal turismo di massa che affolla quelli più noti come Bryce, Grand Canyon e Monument Valley, quest’ultimo lontano meno di due ore di macchina. A mio avviso, non è detto che il ruolo di secondo piano svolto dal parco che ho inteso visitare, assieme al territorio, sia uno svantaggio. Tutt’altro e quando preparai il viaggio i miei occhi spaziavano sulla carta geografica per individuare aree meno note ma non per questo meno interessanti che potevano stimolare la mia indole avventurosa e il desiderio di scoperta.
Parrebbe che il nome del canyon sia riferito a chi per primo l’abbia condotto alla ribalta, ma è interessante, invece, l’attinenza con la pronuncia in lingua navajo che vuol dire “Canyon di pietra” e che a partire da molti secoli fa sia stato abitato ininterrottamente.
La Riserva Navajo venne istituita nel 1868 all'interno del trattato stipulato fra iNavajo e il governo degli Stati Uniti dopo il fallito tentativo di confinamento degli indiani a Bosque Redondo e si trova a cavallo di ASrizon, Nuovo Messico e Utah.
All’interno della riserva vivano principalmente gli indiani delle tribù Hopi che dal punto di vista etnologico discendono dagli Anasazi. Infatti, sulla base di testimonianze archeologiche, molto prima dell’arrivo degli spagnoli nel 1598, alcune tribù di quell’antico popolo abbandonarono il loro territorio e scendono dal nord si mescolarono con gli indiani Hopi e Zuni.
Il fatto più sorprendente è l'architettura dei villaggi Hopi che rispecchiava quella dei pueblo dell'antica cultura degli Anasazi: le abitazioni erano principalmente di pietra, potevano raggiungere anche i cinque piani di altezza ed erano insediate in anfratti rocciosi, simili a grotte, sulle pareti dei canyon.
I iioro insediamenti furono descritti dal frate francescano italiano Marcos de Niza come grandi città colme d'oro e per questo motivo furono punto di passaggio della violenta spedizione di Francisco Vàasquez de Coronado nel 1540.

Tutte queste notizie scritte sul road book avevano su di me la forza di una calamita e ancor di più adesso rappresentano lo stimolo importante che mi spinge a esplorare e curiosare .
Purtroppo, sono obbligato a percorrere a ritroso il percorso fatto fini qui da Tuba City ma una volta giunto al Canyon sono certo che non rimarrò deluso.
Raggiunta e superata questa città sono nel bel mezzo del territorio della riserva navajo su un rettilineo che si perde nell’orizzonte attraversando una pianura cespugliosa e desertica dove non c’è nulla di nulla. Il territorio ugualmente mi affascina non fosse altro per il senso di libertà che sa infondere.

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Tutto questo per ben novanta chilometri fin quando vedo sulla mia destra, una parvenza di villaggio di poche case bassissime, distanti dalla strada, e per lo più isolate. Medesima situazione dopo dieci chilometri e altri ancora fino ad incontrare l’Hopi Cultural Center. Il luogo, abbastanza largo, è segnalato da un grande cippo di mattoni di arenaria rosata che invita a fermarsi perché sono disponibili un museo, un negozio di oggetti regalo, un ristorante e un albergo. L’edificio che dovrebbe contenere tutte queste cose è un caseggiato basso di color rosa cupo, mentre nel parcheggio sostano una decina di automobili.

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Più avanti, giungo a Second Mesa, un agglomerato di case sparse con molti furgoni parcheggiati uno accanto all’atro, ma senza alcuna presenza visiva di nativi Hopi.
Poi, ancora deserto di cespugli inariditi, niente alture, case sparse simili a lunghi container dove penso siano stati relegati gli indiani dei quali non ancora ho visto l’ombra. Transito da First Mesa, un villaggio che sembra abbandonato a se stesso.
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Copia di IMGP2553.JPG

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Ma non è detta l’ultima parola perché d’un tratto, sulla mia sinistra, intravedo un grande assembramento di persone, di automobili e pick up parcheggiati in uno sterrato.
Da quando son partito ho percorso circa 280 chilometri e allora val bene una sosta per vedere cosa succede laggiù.

continua...
 

JonnyV

Well-known member
Road to CANYON de CHELLY /2

Svolto in un piccolo varco pavimentato e poi mi addentro nello sterrato che mi fa accedere a una grandissima area dove è in corso una sorta di festa campagnola di nativi navajo.
Parcheggio la macchina vicino una recinzione di rete metallica che separa da un campo di base ball dove molti giocatori hopi si stanno cimentando in una partita. Resto un po’ a guardare ma poi sposto la macchina in un luogo più sicuro prima che qualche palla scagliata durante il gioco cada sul parabrezza causando danni.

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Oggi è sabato e penso che dopo una settimana lavorativa passata chissà dove le famiglie indiane cercano di trascorrere il weekend. nel migliore dei modi. Peraltro, noto che nella radura ci sono molte bancarelle con retrobotteghe dalle quali si leva il fumo di qualcosa che stanno cucinando.
Sono curioso e mi reco a indagare!

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Le donne sono indaffarate a cuocere frittelle che hanno già preparate con una massa di farina. Gli uomini anziani se ne stanno in disparte, seduti all’ombra di teloni efficacemente sistemati. Sfacciatamente, cerco di fare comunella chiedendo soprattutto se posso fotografarli. Dagli uomini, con un sorriso cortese, non mi viene accordato il permesso, al contrario di qualche signora massaia che è ben lieta di posare assieme a me.

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Mi sorprende simpaticamente la piccola figlia della signora che, non avendo altro con cui giocare, si diverte a stendere con il mattarello le rotonde frittelle, grandi come un piatto, che la mamma immerge poi in una grande padella di olio bollente per cucinarle.
La bambina Hopi mi ricorda moltissimo mia figlia, alla stessa età, accanto a mia moglie e impegnata nello stendere la pasta dei panzerotti.

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Non so di che natura sia quella specie di “olio per frittura” ma, dato che ho fame, chiedo se possono prepararmi due frittelle: le mangerò più tardi. Nel mio road book, infatti, è prevista una sosta a Keams Canyon, un paesello dotato di servizi e lontano solo due chilometri.
Dopo questo simpatico fuori programma festaiolo, in un batter d’occhio arrivo a destinazione. Keams Canyon mi sembra un posto accogliente, con un distributore di benzina, un autoservizio, un negozio di provviste alimentari e di artigianato navajo. Alle spalle, sembra gradevolmente protetto dalla presenza da modesti rilievi di roccia calcarea stratificata.
Dirimpetto, dall’altra parte della strada, c’è una bella area di sosta, anch’essa sterrata, con piccoli alberi che forniscono un’ombra essenziale e qualche fontanella, segno evidente di qualche falda acquifera nel sottosuolo.
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Entro nel negozio e compro qualche derrata, un piccolo cocomero e poi vado a sistemarmi nel boschetto per far colazione e per assaggiare soprattutto le famose frittelle navajo. Non male, devo dire, mentre il cocomero si rivela assolutamente squisito.
Un pò di relax è necessario prima di riprendere a viaggiare per altri cento chilometri, tanto dista ancora la mia meta odierna.
Dopo l’intervallo, torna in primo piano la steppa desertica di questo grande territorio navajo dove vivono confinati circa seimila Hopi. A parte sporadiche abitazioni che sembrano grandi scatole di cartone con qualche improbabile finestra e occasionali pali dell’elettricità, non vi è nulla di nulla almeno fino quando, dopo molti chilometri mi sembra di aver raggiunto la …modernità.
Infatti, c’è una grande insegna McDonald’s e un cartellone stradale che mi avverte che sono in procinto di attraversare un incrocio molto critico.
Detto fatto, mi si para davanti un grandissimo rondò con molti insediamenti e un distributore di benzina. Le indicazioni prima della rotatoria segnano Ganado a sud-est, Dilkon a sud e Chinle a nord sulla 191. La mia direzione che ho già controllato sul road book è quella verso nord che mi permette di raggiungere, dopo 50 chilometri, Chinle un paese di circa 4.500 abitanti, essenzialmente nativi, avamposto del Canyon de Chelly.
La statale 191 passa attraverso una steppa priva di vegetazione, sempre piatta, sempre dritta, con qualche vettura che transita in direzione contraria alla mia. Nessun punto di riferimento a meno di un orizzonte lontanissimo, fino a quando, quasi fosse un miraggio, compaiono grandi cartelloni pubblicitari. Uno di questi invita a soggiornare nel Cottonwood Camping, il solo disponibile a Chinle.
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La periferia è un susseguirsi di grandi e bassi capannoni a destra e a sinistra e finalmente, dopo più di duecentocinquanta chilometri incontro …il primo semaforo!
Più che un piccolo paese mi sembra una zona industriale estesissima, arida, con parvenze di case disseminate in un piatto e desolante territorio.

continua...
 

vera95

Well-known member
Una curiosità: come fai a ricordare tutti questi dettagli? Hai segnato tutto scrupolosamente a fine giornata, o hai altri metodi segreti? 🤣
 

JonnyV

Well-known member
Vera95 una domanda simile me la sono sempre aspettata e grazie per avermela sottoposta.
Non c'è alcun segreto ma io sono molto meticoloso Alcuni dettagli sono parte della preparazione, altri sono stati riportati nel mio diario personale, ma le fotogradfie sono la mia memoria e ancor più quello che impresso nei miei occhi come una pellicola pronta a essere dipanata. Guardando le foto mi ricordo esattamente il luogo, il momento, quello che è successo e quello che ho pensato e scritto sul diario.
Ciao.
 

JonnyV

Well-known member
24 - seguito USA Coast to Coast and Park to Park

5ª Tappa /3 - CANYON de CHELLY

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Attraversato l’abitato di Chinle, cerco di raggiungere velocemente il Visitor Center del Canyon de Chelly, un edificio edificato come le antiche abitazioni navajo: basso, squadrato e di color arenaria scura, ma ciò che attira maggiormente la mia attenzione è un hogan, un manufatto con tronchi di legno e adoperato principalmente come abitazione. Mi sembra opportuno andare a dare uno sguardo veloce e sbirciando dall’unico ingresso sembra che l’inquilino si sia assentato momentaneamente: c’è un letto basso con coperte colorate, un gattino accovacciato, una carriola con badile, un angolo cucina con diverse suppellettili, una stufa al centro con tubo che funge da camino e che fuoriesce da un’apertura alla sommità.

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Copia di IMGP2560.JPG
Nel Visitor Center i richiami alla cultura navajo sono evidenti. Mi reco dal ranger di servizio al quale chiedo se sono disponibili le mappe della zona; sono presto esaudito e anche invogliato a guardare un breve filmato introduttivo sulla visita che così recita: “Welcome to the Canyon de Chelly National Monument, un luogo ricco di vita, storia e storie”. Le persone hanno vissuto in questi canyon per quasi 5.000 anni, più di quanto chiunque abbia vissuto ininterrottamente in qualsiasi punto dell'Altopiano del Colorado. Nel luogo chiamato Tsegi, case e immagini ci raccontano le loro storie. Oggi, le famiglie Navajo costruiscono le loro case, allevano bestiame e coltivano le terre nei canyon. Un posto come nessun altro dove il parco e la Nazione Navajo lavorano insieme per gestire le risorse del territorio. Goditi la visita, l’ingresso non è a pagamento ma l’accesso è limitato perché nel canyon vivono famiglie navajo. Ci sono 3 punti panoramici nel Nord Rim e altri 7 nel Sud Rim. White House trail è l’unico in cui è consentito l’accesso e fra andata e ritorno è lungo 2,5 miglia e ci vogliono 2 ore per completarlo. Fai attenzione ai tuoi limiti, riposa durante il percorso e parta con te acqua potabile. Compagnie private offrono tour guidati con un permesso preventivo e una guida Navajo. Prima di lasciare il Centro prendi una mappa, guarda il video e compra qualche souvenir.
Grazie per il supporto e torna a trovarci”.


Poiché il campeggio è molto vicino, vado a vedere se posso sistemarmi per la notte. Il camping non è proprio economico, anche se il posto è bello, alberato e non affollato ma, per il programma che ho in mente, non mi va di perdere tempo prezioso per sistemare la tenda e svolgere altre attività connesse.
Decido quindi che più tardi andrò a pernottare all’Holiday Inn – ci sono passato davanti prima di raggiungere il Visitor Center – perché è più comodo e mi offrirà soprattutto l’opportunità di soggiornare e riposare confortevolmente.

Il Canyon de Chelly con le sue pareti verticali alte 300 metri è stato scavato nell’arenaria dai fiumi Tsaile Creek e Whiskey Creek, è lungo circa 45 chilometri e i numerosi luoghi da visitare sono interessanti e importanti sia dal punto di vista storico sia paesaggistico.
Il canyon ha una configurazione a èpsilon con tre bracci ed è talmente esteso da permettere a intere famiglie di viverci occupandosi di agricoltura, allevamento e anche di turismo con le guide che conoscono ogni anfratto del luogo.
Pianificando il viaggio, mi resi conto che questo Parco meritava molto ma, studiando, mi accorsi che erano necessari minimo tre giorni di permanenza che nel programma non potevo disporre. La seconda questione riguarda le escursioni che potevano essere praticate con un tour guidato con un navajo, a somiglianza di quanto accaduto a Antelope. La terza questione aveva attinenza con la mia attrezzatura fotografica perché, per questioni di ingombro e di peso, non potevo portarmi dietro una reflex digitale con un bel “cannone” da 200 o 300 mm. Questa volta sarebbe stato fondamentale per poter catturare immagini dai balconi panoramici del nord rim e del sud rim.
Tuttavia, adesso mi basta essere qui, ciò che più conta e questa volta White House trail non mi sfuggirà.
Per non alterare il programma di domani devo sbrigarmi e attenermi a quanto pianificato nel mio road book:
- andare a visitare subito Massacre Cave nel braccio nord, denominato Canyon del Muerto;
- al ritorno spingermi fino a Spider Rock nel braccio sud.
Partendo dal Centro Visitatori dovrò effettuare due viaggi di andata e ritorno ciascuno con una percorrenza totale di ben 90 chilometri. Penso però che ne valga assolutamente la pena!

Mi avvio senz’altro sulla Nord Rim Drive, la strada dalla quale si accede agli “overlook” e dopo 24 chilometri raggiungo il parcheggio del primo sito da visitare. Non c’è nessuno e mi sorprende non poco un cartello che invita i turisti a tener ben chiusa l’automobile e a non lasciare incustoditi oggetti di valore: la prima cosa che penso è che…tutto il mondo è paese!
Chiudo la macchina non lasciando alcunché in vista e percorrendo un camminamento di cemento antiscivolo, sapientemente predisposta sulla pietra arenaria, scendo e raggiungo a il balcone panoramico di Massacre Cave.
Le notizie del road book riportano che il canyon era occupato stabilmente dai Navajo che oltre a coltivare e allevare bestiame lo utilizzarono anche come base per le loro razzie ai danni di altri villaggi e dei coloni spagnoli stanziati nella valle del Rio Grande nel Nuovo Messico settentrionale. Nel 1805 durante una spedizione punitiva effettua dagli spagnoli vennero uccisi molte donne, bambini e anziani che si erano ritirati in un rifugio fortificato situato nel Canyon del Muerto, che da allora è noto come Massacre Cave.​

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Dalla balconata, lo spettacolo del canyon è assolutamente straordinario ed entusiasmante: pareti di roccia arenaria di un bellissimo color rosa, dall’alto di duecento metri, scendono verticalmente in basso dove sono presenti abitazioni, coltivazioni e frutteti irrigati da un torrente che scorre sinuosamente al centro del canyon.
La luce radente del sole pomeridiano fa sì che le ombre che si formano sulla roccia accentuino ancor più il colore rossastro dell’arenaria che infonde un senso di quiete e un silenzio inaspettati che accarezzano il mio animo di spettatore.
Mi sposto nell’altro sito panoramico denominato Mummy Cave, a ragione di due mummie scoperte da una spedizione archeologica nel lontano 1882.
La storia e la cultura di questi popoli nativi sembra che ci parlino ancora da un lontano passato difficile da dimenticare e che ci rammenta con quanta fierezza si opponevano alle difficoltà che imperversavano su questa gente operosa e desiderosa solo di stare in pace.
Questo primo esempio o dimostrazione storica e paesaggistica si è rivelato assolutamente affascinante, qualcosa che non ti aspetti e al riparo di flussi turistici che invadono altri luoghi meno interessanti.
Tempo fa, guardando in tv il film Contact con Jodie Foster, la protagonista Ellie guardava emblematicamente, in una delle ultime scene, l’universo straordinario che si definiva dai bordi del canyon: è il medesimo che adesso osservo realmente e la solitudine che mi circonda riempie il mio animo di una gioia palpabile.

Siccome “l’appetito vien mangiando”, cerco di spostarmi velocemente nel Sud Rim alla scoperta di un’icona scenografica e incredibile del Canyon De Chelly: Spider Rock.
Percorrendo a ritroso i 24 chilometri, a causa della scarsità di tempo disponibile, mi fermo velocemente ad altri due punti panoramici:
- Antelope House, rovine di un Pueblo Anasazi che fu occupato tra l'850 e il 1270 d.C. Non riesco a credere che la parete di roccia possa celare e proteggere le rovine di un di un villaggio navajo con oltre ottanta camere e tre kiva che servivano per funzioni religiose o assemblee;
- l’altra veduta straordinaria è Navajo Fortess, quasi un'isola di roccia difensiva di arenaria rossa posta al centro del canyon e utilizzata dai Navajo come estremo rifugio durante gli attacchi ostili.

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Passando vicino al Centro Visitatori e impegnando la strada dell’altro ramo del canyon, ne percorro altri 24 sulla Sud Rim Drive prima di raggiungere il parcheggio della mia destinazione. Poi, una passerella in leggera discesa, protetta da una ringhiera di ferro che si snoda fra rocce e arbusti arborei, mi fa giungere in breve tempo nel miglior punto panoramico dal quale ammirare Spider Rock.

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E’ una bellissima meraviglia della natura questa doppia torre di arenaria alta 240 metri, simile a un obelisco, formatasi geologicamente 230 milioni di anni fa, che con dignità e fierezza si erge solitaria nella congiunzione fra il Canyon de Chelly, propriamente detto e il Monument Canyon, il terzo braccio di questo parco nazionale.
Mi siedo tranquillo su massi levigati e bassi quasi fossero delle panche messe di proposito per meglio osservare muri stratificati, multicolori e altissimi che nel canyon, al pari di damigelle, fanno a gara per enfatizzare e contendersi l’onore di attorniare Spider Rock.
I racconti mitologici narrano che molto tempo fa la tribù dei Navajo la chiamarono “la roccia del ragno” a ragione di una leggenda riguardante la “donna ragno”. Possedeva enormi poteri nel campo della creazione ed era una delle divinità più onorate e importanti del pantheon navajo. Scelse la sommità di Spider Rock come propria dimora e fu lei ad insegnare alle donne l'uso del telaio con cui fabbricare i tradizionali tappeti e coperte di lana di pecora.
Ancora oggi un genitore o un nonno nostalgico avvertono i bambini che se non fanno i bravi “donna ragno” scenderà la scala di tela del ragno da Spider Rock, li porterà lassù e li divorerà.
Meditando ancora, si fa strada ancora un frammento di pellicola cinematografica legato a un vecchio film western, “L’oro di MacKenna”, interpretato da Gregori Peck, Omar Sharif. Nelle scene finali l’ombra prodotta da una sorta di obelisco di pietra indicava il punto esatto del canyon dove si trovava il giacimento di una grande vena aurifera: quell’obelisco era proprio Spider Rock.

E’ già abbastanza tardi, ma colmo di entusiasmo e appagato ancora una volta dallo spettacolo superlativo di questo canyon, torno nuovamente al punto di partenza quando il sole è già tramontato.
Mi dirigo subito all’Holiday Inn, distante appena tre chilometri. L’hotel è abbastanza elegante, con un’architettura cubica e bassa, una colorazione di un bel rosso arenaria ed è inserito correttamente nel contesto paesaggistico navajo, alla maniera di un Trading Post, con la presenza gradevole di un carro originale “old west”dei pionieri. A mio favore c’è una interessante connessione wi-fi gratuita, una piscina stagionale all'aperto e un ristorante. L’interno è abbastanza simpatico con una zona riservata al ristorante e un’altra al negozio di souvenir.
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Alla reception c’è una ragazza navajo abbastanza carina alla quale chiedo una camera per pernottare. Nessun problema. Acquisisce i dati del passaporto, pago con la carta di credito e salgo in camera.
Sono sfinito per non essermi fermato un attimo da stamani; non ce la faccio nemmeno a stendermi sul letto e, purtroppo, mi tocca fare anche il bucato per lavare soprattutto i pantaloni corti e la camicia, carichi di …borotalco di arenaria rosa!​
Tutto il resto…domani mattina presto!

continua...
 
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