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5ª Tappa /2 - Road to CANYON de CHELLY
Più avanti, giungo a Second Mesa, un agglomerato di case sparse con molti furgoni parcheggiati uno accanto all’atro, ma senza alcuna presenza visiva di nativi Hopi.
Poi, ancora deserto di cespugli inariditi, niente alture, case sparse simili a lunghi container dove penso siano stati relegati gli indiani dei quali non ancora ho visto l’ombra. Transito da First Mesa, un villaggio che sembra abbandonato a se stesso.
5ª Tappa /2 - Road to CANYON de CHELLY
Il Canyon de Chelly è un parco nazionale quasi nascosto e lontano dal turismo di massa che affolla quelli più noti come Bryce, Grand Canyon e Monument Valley, quest’ultimo lontano meno di due ore di macchina. A mio avviso, non è detto che il ruolo di secondo piano svolto dal parco che ho inteso visitare, assieme al territorio, sia uno svantaggio. Tutt’altro e quando preparai il viaggio i miei occhi spaziavano sulla carta geografica per individuare aree meno note ma non per questo meno interessanti che potevano stimolare la mia indole avventurosa e il desiderio di scoperta.
Parrebbe che il nome del canyon sia riferito a chi per primo l’abbia condotto alla ribalta, ma è interessante, invece, l’attinenza con la pronuncia in lingua navajo che vuol dire “Canyon di pietra” e che a partire da molti secoli fa sia stato abitato ininterrottamente.
La Riserva Navajo venne istituita nel 1868 all'interno del trattato stipulato fra iNavajo e il governo degli Stati Uniti dopo il fallito tentativo di confinamento degli indiani a Bosque Redondo e si trova a cavallo di ASrizon, Nuovo Messico e Utah.
All’interno della riserva vivano principalmente gli indiani delle tribù Hopi che dal punto di vista etnologico discendono dagli Anasazi. Infatti, sulla base di testimonianze archeologiche, molto prima dell’arrivo degli spagnoli nel 1598, alcune tribù di quell’antico popolo abbandonarono il loro territorio e scendono dal nord si mescolarono con gli indiani Hopi e Zuni.
Il fatto più sorprendente è l'architettura dei villaggi Hopi che rispecchiava quella dei pueblo dell'antica cultura degli Anasazi: le abitazioni erano principalmente di pietra, potevano raggiungere anche i cinque piani di altezza ed erano insediate in anfratti rocciosi, simili a grotte, sulle pareti dei canyon.
I iioro insediamenti furono descritti dal frate francescano italiano Marcos de Niza come grandi città colme d'oro e per questo motivo furono punto di passaggio della violenta spedizione di Francisco Vàasquez de Coronado nel 1540.
Tutte queste notizie scritte sul road book avevano su di me la forza di una calamita e ancor di più adesso rappresentano lo stimolo importante che mi spinge a esplorare e curiosare .
Purtroppo, sono obbligato a percorrere a ritroso il percorso fatto fini qui da Tuba City ma una volta giunto al Canyon sono certo che non rimarrò deluso.
Raggiunta e superata questa città sono nel bel mezzo del territorio della riserva navajo su un rettilineo che si perde nell’orizzonte attraversando una pianura cespugliosa e desertica dove non c’è nulla di nulla. Il territorio ugualmente mi affascina non fosse altro per il senso di libertà che sa infondere.
Tutto questo per ben novanta chilometri fin quando vedo sulla mia destra, una parvenza di villaggio di poche case bassissime, distanti dalla strada, e per lo più isolate. Medesima situazione dopo dieci chilometri e altri ancora fino ad incontrare l’Hopi Cultural Center. Il luogo, abbastanza largo, è segnalato da un grande cippo di mattoni di arenaria rosata che invita a fermarsi perché sono disponibili un museo, un negozio di oggetti regalo, un ristorante e un albergo. L’edificio che dovrebbe contenere tutte queste cose è un caseggiato basso di color rosa cupo, mentre nel parcheggio sostano una decina di automobili.
Parrebbe che il nome del canyon sia riferito a chi per primo l’abbia condotto alla ribalta, ma è interessante, invece, l’attinenza con la pronuncia in lingua navajo che vuol dire “Canyon di pietra” e che a partire da molti secoli fa sia stato abitato ininterrottamente.
La Riserva Navajo venne istituita nel 1868 all'interno del trattato stipulato fra iNavajo e il governo degli Stati Uniti dopo il fallito tentativo di confinamento degli indiani a Bosque Redondo e si trova a cavallo di ASrizon, Nuovo Messico e Utah.
All’interno della riserva vivano principalmente gli indiani delle tribù Hopi che dal punto di vista etnologico discendono dagli Anasazi. Infatti, sulla base di testimonianze archeologiche, molto prima dell’arrivo degli spagnoli nel 1598, alcune tribù di quell’antico popolo abbandonarono il loro territorio e scendono dal nord si mescolarono con gli indiani Hopi e Zuni.
Il fatto più sorprendente è l'architettura dei villaggi Hopi che rispecchiava quella dei pueblo dell'antica cultura degli Anasazi: le abitazioni erano principalmente di pietra, potevano raggiungere anche i cinque piani di altezza ed erano insediate in anfratti rocciosi, simili a grotte, sulle pareti dei canyon.
I iioro insediamenti furono descritti dal frate francescano italiano Marcos de Niza come grandi città colme d'oro e per questo motivo furono punto di passaggio della violenta spedizione di Francisco Vàasquez de Coronado nel 1540.
Tutte queste notizie scritte sul road book avevano su di me la forza di una calamita e ancor di più adesso rappresentano lo stimolo importante che mi spinge a esplorare e curiosare .
Purtroppo, sono obbligato a percorrere a ritroso il percorso fatto fini qui da Tuba City ma una volta giunto al Canyon sono certo che non rimarrò deluso.
Raggiunta e superata questa città sono nel bel mezzo del territorio della riserva navajo su un rettilineo che si perde nell’orizzonte attraversando una pianura cespugliosa e desertica dove non c’è nulla di nulla. Il territorio ugualmente mi affascina non fosse altro per il senso di libertà che sa infondere.
Tutto questo per ben novanta chilometri fin quando vedo sulla mia destra, una parvenza di villaggio di poche case bassissime, distanti dalla strada, e per lo più isolate. Medesima situazione dopo dieci chilometri e altri ancora fino ad incontrare l’Hopi Cultural Center. Il luogo, abbastanza largo, è segnalato da un grande cippo di mattoni di arenaria rosata che invita a fermarsi perché sono disponibili un museo, un negozio di oggetti regalo, un ristorante e un albergo. L’edificio che dovrebbe contenere tutte queste cose è un caseggiato basso di color rosa cupo, mentre nel parcheggio sostano una decina di automobili.
Più avanti, giungo a Second Mesa, un agglomerato di case sparse con molti furgoni parcheggiati uno accanto all’atro, ma senza alcuna presenza visiva di nativi Hopi.
Poi, ancora deserto di cespugli inariditi, niente alture, case sparse simili a lunghi container dove penso siano stati relegati gli indiani dei quali non ancora ho visto l’ombra. Transito da First Mesa, un villaggio che sembra abbandonato a se stesso.