[smilie=cuore_02[1]:Istanbul, parte seconda[smilie=cuore_02[1]:
Dopo mille peripezie,
i nostri viaggiatori, una volta che si furono ritrovati, decisero di iniziare il loro tour alla scoperta di una città così enorme e così carismatica.
Ore 9.30 circa, di Sabato 20 Settembre...
L'arietta è fresca e pungente, sembra che ancora la città in parte dorma, gli unici svegli sono schiere di gatti nelle aiuole, perfetti, sinuosi e fieri della loro residenza.
Una volta scesi dal T1, alla fermata Sulthanamet, ci si trova catapultati in centro, dove tutti i monumenti di maggior interesse si raggruppano.
L'Ippodromo, la Moschea Blu, Santa Sofia, dietro di questa il Topkapi e la Basilica Cisterna, non distante.
Le file alle entrate sono già chilometriche, i musei, se non si paga con carta di credito, accettano solo lire turche, se non si hanno, gli sportelli di cambio sono ovunque, uno proprio sul discesone alla fermata di Sulthanamet.
La prima fila che decidiamo di intraprendere è quella per entrare alla Moschea blu.
C'é un serpentone di gente composta che aspetta il proprio turno, per quella che é, sicuramente, la bellezza maggiore e più fascinosa di Istanbul.
Entriamo nel serpentone, tra giardinieri meticolosi che trattano le aiuole come reliquie e venditori di ciambelle dolci, attendendo il nostro turno.
Alessandro è molto lieto di avermi ritrovata più per la sua macchina fotografica che avevo in consegna sul Tram, appesa al mio collo, che per le altre ovvie motivazioni.
Ne approfitta per scattare foto a più non posso dopo la paura di aver perso la macchinetta per sempre...
Ringraziando Allah...
Io le parole, lui le immagini.
Siamo sempre più vicini all'ingresso, insegne raccomandano pantalone lungo e maglietta mezza manica per l'uomo, per le donne, testa e spalle coperte.
Da casa, mi sono premunita di portare uno scialle apposito, che poi, è il mio solito scialle da viaggio che ha visto tanto mondo con me, tante Chiese e tanti Paesi, dal Muro del Pianto alle Moschee del Marocco.
Se non si è muniti dello scialle, viene distribuita una mantella celeste all'ingresso della Moschea.
Dopo il rito del togliere le scarpe, siamo dentro a cotanta meraviglia.
Il sole che filtra dalle porte, rende i colori interni, cangianti e paradisiaci, i giochi di luce, la penombra, il raccoglimento, fanno di questo luogo un museo d'emozione.
21.000 piastrelle in ceramica ricoprono le pareti, le meravigliose maioliche di Iznik azzurre e blu, rendono la Moschea una vera opera d'arte, un bellissimo spettacolo tra lampadari pesantissimi e uomini inginocchiati verso la Mecca.
Dopo scatti fotografici ed emozioni importanti, ci avviamo verso l'uscita colmi e sazi di bello anche se il calpestio silenzioso dei piedi scalzi sui tappeti mi trattiene, mi incatena.
Dopo un veloce sguardo alla Basilica di Santa Sofia, evitiamo di scalare altre irte file, quali quella per il Topkapi, cercando di evitare lo spendere tutto il nostro tempo solo in musei, sebbene la loro importanza sia ovvia, vogliamo viverci le vie e la gente più di tutto il resto.
Cerchiamo di vedere più possibile, nel minor tempo possibile.
Siamo consci di non poter veder tutto, facciamo una scrupolosa cernita delle cose che più ci interessano da quelle che ci riserveremo per una prossima occasione così da aver una giusta motivazione per dover in ogni modo, a tutti i costi, tornare in questa città.
Qualora si voglia evitare di fare tanta fila alle biglietterie, può essere comodo acquistare i biglietti online dall'Italia.
Ci dirigiamo al famoso Gran Bazar, per raggiungerlo affrontiamo vicoli, scale, salite e discese, ogni cosa mi attira, ogni cosa mi distrae, ogni cosa per me é calamitica.
Schiere di pasticcerie espongono dolci invitanti e tentatori.
Ristoranti, sebbene sia ora di colazione, cominciano a cuocere Kebab.
Umidi Hammam e clacson impazziti ci mostrano Istanbul in due sue unicitá.
Incensi e spezie si fondono, uomini baffuti, tappeti, sprazzi di gente malinconica, altra solare.
Siamo all'entrata del Gran Bazar, approfittiamo per visitarlo quest'oggi dato che l'indomani, sarà Domenica e questo, quindi chiuso.
Colori accesi e potenti ci accompagnano, gente gesticola, altra contratta, uomini contano a ritmi incessanti, soldi.
Il mercato é gigantesco, vie diverse ed uguali si intersecano, venditori urlano, ci chiamano, ci intrattengono.
Orologi e borse contraffatte regnano sovrane.
Uomini seduti su piccoli sgabelli fumano e bevono tè alla mela.
I ragazzi hanno occhi neri e grandi che sembra che sognino senza dormire.
L'immagine che prima di tutte mi salta alla mente é la folla, la calca, un caldo appiccicoso e potente.
Cerchiamo souvenir, cerchiamo un nuovo narghilè da aggiungere alla collezione di quelli custoditi a casa e fumati al gusto di pesca nelle serate d'inverno tra freddo e noia.
Cerchiamo l'uscita.
A furia di cercare, siamo catapultati e spinti dalla calca dentro un altro mercato, questo all'aperto, e poi, come in una matrioska, mercato dopo mercato, a forza di scendere, scorgiamo il mare e la zona di Galata, sprofondiamo nella gola della città tra donne incappucciate di nero e bimbi che vendono strane trottole.
Non nascondo la mia curiosità nel cercare di immaginarmi nei panni di queste giovani donne, super coperte, super protette da veli neri.
Mi domando come sia il mondo da lì sotto...
Non contenti di aver camminato abbastanza, non è ancora tempo della zona di Galata, si risale verso il centro.
Sali, scendi, vicolini, vicoloni, cerchiamo di vedere tutto, sapendo che sarà niente.
La gente é cordiale e gentile, le strade ed i mercati sicuri e controllati.
Istanbul è il posto ideale per il fai da te, facile da girare, intuitiva, moderna per tanti versi e invasa da gente coinvolgente, luogo giusto per non sentirsi mai soli.
Risaliamo verso Sulthanamet percorrendo la ultra chic Via Istiklal Street, l'arteria principale, dove il traffico é top secret e dove grandi gioiellerie luccicano brillante.
Abbiamo una fame blu, mal di piedi, ma non ci fermiamo.
Donne sedute per terra o a piccoli tavolinetti, impastano sfoglie tanto simili a piadine come quelle, della Romagna del mio cuore.
É l'ora della preghiera, dagli altoparlanti dei minareti inizia il "lamento"del Muezzin che recita l'Adhan, col suo gemito affascinate e inconfondibile.
É una dolce nenia per le mie orecchie, una ninna nanna, uno stornello dal gusto dolce.
Provo quasi gelosia per questa fede di massa, per questa fede convinta e potente, se é fede pura e non fanatismo.
Ci rifocilliamo, spendendo tredici lire turche in dolcetti squisiti, impazziamo per i Baklava, pasticcini di pasta sfoglia molto sottile ripieni di noci, pistacchi o nocciole, cotti al forno e guarniti con sciroppo di limone.
Non soddisfatti, facciamo incetta anche di Kadayıf, tipica pasta sfogliata di frumento tagliuzzata come i capelli d’angelo in sciroppo con pistacchi o nocciole.
Una vera e propria sublime esperienza di gusto.
Pregni di zucchero in corpo, riacquistiamo energie.
Ora é davvero tempo di andare nel quartiere di Galata.
Prendiamo ancora il nostro caro T1, questa volta insieme, mano nella mano dopo la brutta esperienza mattutina, scendiamo ad EMİNÖNÜ...
Gente ed ancora gente ci cammina attorno, ci domandiamo dove viva tutta, come la città riesca a contenere tutti loro e tutti noi turisti.
Alla discesa dal tram, l'odore di pesce, di brace, di caldarroste calde sotto un gran caldo, di zucchero, di pannocchie bollite e simit al sesamo, mi penetra nel cervello....
É grazie a questa cultura culinaria di strada che capiamo di essere dentro Istanbul e di capirla profondamente, più che in un museo o in un luogo più scontato.
Tra quest'odore forte e allucinogeno e un traffico assassino, inizia la nostra voglia e intenzione di navigare sul Bosforo...
Saliamo su di un barchino che balla e traballa...
Continua ....
Ely&Ale[smilie=fantasma_03: